Per parlare di qualche cosa è necessario dargli un nome, se poi il nome è quello giusto (cioè rimanda in modo convincente ad un concetto o una nozione ben chiara e condivisa) allora si possono anche evitare tante spiegazioni… Si prenda, ad es., il nome effetto serra assegnato al fenomeno secondo cui il recente aumento delle emissioni antropiche di CO2 (linea tratteggiata e scala a sinistra in Gt nel grafico seguente)1 sarebbe all’origine del concomitante “tumultuoso” incremento della temperatura media globale al suolo (linea continua e scala a destra in °C)2…
…in base a questa teoria l’aumento del CO2 e di altri gas inquinanti nella troposfera (lo strato più basso dell’atmosfera) ne accrescerebbe così tanto la naturale capacità di “intrappolare” il calore emesso dalla superficie terrestre riscaldata dal Sole da aumentare in modo spropositato la temperatura media globale, esattamente come avverrebbe in una serra inspessendone il rivestimento (da cui il nome). Non c’è che dire, “effetto serra” è proprio un bel nome, suona bene ed è talmente evocativo e convincente da indurre tanti a crederci senza se e senza ma.
Ma siamo proprio sicuri che il nome effetto serra sia quello giusto, cioè che il funzionamento di una serra sia assimilabile a quello dell’atmosfera e che per quest’ultima l’inquinamento giochi il ruolo che è del rivestimento trasparente nelle prime?
Le serre e l’effetto serra
Com’è noto, le serre sono un locale delimitato da un rivestimento trasparente ove è mantenuto artificialmente l’habitat ideale per coltivare fiori e piante anche in un ambiente “ostile” (troppo caldo, troppo freddo, troppo secco, troppo umido, troppo ventilato,…).
Sperimentarne il funzionamento è facile: basta mettersi dietro un balcone chiuso ed assolato, fingersi un peperone e riflettere su quanto ci accade. Ed ora proviamo a rispondere a qualche domanda facile facile…
- Perché ci riscaldiamo? Forse per il vetro del balcone che “intrappola” dentro casa il caldo? Dovrebbe essere così se la teoria dell’effetto serra su esposta fosse corretta. Cambierebbe qualche cosa con infissi migliori, magari con dei doppi vetri? A meno che i nostri non siano proprio sgangherati, cambierebbe poco, molto poco: i doppi vetri e gli infissi in PVC sono pensati per eliminare gli spifferi trasformando le nostre case in tanti sottomarini, tant’è che lo stesso tepore potremmo avvertirlo anche spalancando il nostro balcone in una giornata senza vento o, come sanno bene anche i ramarri, addirittura in un cantuccio all’aria aperta purché al riparo dal vento.
- Quanto impiegheremmo per accorgerci dell’apertura della porta di casa o di una finestra anche in un’altra stanza? A meno che non si crei una tromba d’aria a me di solito serve un po’ di tempo, ma a volte penso che alcuni miei conoscenti siano dei mutanti punti da un incrocio tra un anemometro ed un visore notturno, a giudicare dalla velocità con cui avvertono il benché minimo spiffero.
- Cosa sentiremmo spostandoci un metro più in là all’ombra quando siamo ben caldi ed anche un po’ sudaticci? All’istante anch’io sentirei almeno un po’ di refrigerio, indipendentemente dalla temperatura ambiente3.
- Come reagiremmo se qualcuno ci puntasse addosso un ventilatore che gira a manetta? I più educati comincerebbero a starnutire dopo tre secondi, gli altri…
- Cosa succederebbe se aprissimo una finestra per un salutare ricambio d’aria? La temperatura precipiterebbe repentinamente in tutta la casa.
- Dove sistemeremmo un termometro per misurare la temperatura dentro casa? All’ombra, ovviamente.
…cose sicuramente banali ma interessanti, no? Cosa possiamo dedurre da queste poche “esperienze”? Tante cose tra cui:
- dentro (o fuori) una serra ci si riscalda al Sole e solo al Sole fintantoché l’aria rimane immobile4;
- minimi scambi d’aria con l’ambiente esterno producono sensibili diminuzioni della temperatura;
- il rivestimento di una serra serve solo ad isolarla dall’esterno.
Naturalmente ho semplificato molto e ciascuna affermazione avrebbe bisogno di essere puntualizzata. Ciononostante è possibile affermare che, contrariamente a quanto molti credono, per una serra sinonimo di effetto serra non è “rapporto tra spessore del rivestimento e temperatura interna” ma “sensazioni di un pomodoro al Sole in aria cheta”, come ho potuto osservare personalmente quest’inverno: in un grosso vaso sistemato su un balcone di casa a fine anno scorso è nata da qualche seme capitato lì per caso una piantina di pomodoro che poi ho lasciato sviluppare liberamente per tutto l’inverno. Oggi, dopo cinque mesi, non solo è più alta di me (che pure sono 1,80m) ma da alcuni dei suoi tanti fiori hanno cominciato a svilupparsi i primi pomodori. Per quanto appena detto sulle serre, la cosa ha funzionato non solo e non tanto perché abito a Salerno a 150m dal mare, ma soprattutto perché il vaso si trova in un angolo rivolto a sud (cosa che ha assicurato la massima esposizione al Sole nelle pur brevi giornate invernali) generalmente protetto sia dai venti sia dalla brezza (di terra e di mare) che qui spira in continuazione, assicurando condizioni di aria cheta quasi costanti e quindi temperature sufficientemente buone per il suo sviluppo anche in inverno. Sull’altro balcone di casa, più esposto alle intemperie benché con una insolazione migliore, non ce l’avrebbe mai fatta.
Prima di passare oltre vorrei ricordare qualche altra nozione sul funzionamento delle serre.
La prima è che sono rivestite di un materiale trasparente solo per lasciar passare la luce del Sole necessaria allo sviluppo delle piante, altrimenti le farebbero in muratura dipingendole poi di nero.
Non sempre, inoltre, ci si può affidare esclusivamente al Sole per garantire la giusta temperatura: dovendo mantenere costanti le condizioni ideali per la crescita delle piante che ospita, occorre riscaldarla quando scende troppo e raffreddarla quando è troppo elevata. Così di giorno non può accumulare calore in previsione di notti buie e tempestose né di notte raffreddarsi troppo per affrontare giornate eccessivamente calde. Per ovviare le serre industriali usate tutto l’anno sono spesso dotate di impianti tecnologici che ne controllano il microclima (essenzialmente temperatura ed umidità).
Per riscaldarle si usano impianti elettrici, a gas, ad olio combustibile o a legna5. Per raffreddarle si può provare invece ad arieggiare, ventilare, nebulizzare dell’acqua sul rivestimento o all’interno che poi evaporando provoca una diminuzione della temperatura, altrimenti si ricorre a soluzioni più “drastiche”.
Riguardo all’umidità, come per uomini ed animali anche per le piante è un parametro fondamentale per avere un ambiente confortevole, perché ne sollecita i sistemi di termoregolazione: la traspirazione di pelle o foglie che li mantiene umidi ed asciugandosi li rinfresca. In particolare si misura l’umidità relativa, definita come il rapporto tra umidità attuale ed umidità massima possibile per la temperatura corrente, cioè la massima quantità di vapore acqueo che l’aria può sostenere a quella temperatura (percentuale di saturazione), da cui dipende la facilità di evaporazione della traspirazione (grafico in basso).
Le piante solitamente stanno meglio con un’umidità relativa tra il 50 ed il 60%; al disotto del 30% molte smettono di svilupparsi perché le foglie traspirano troppo velocemente, cioè per non seccarsi producono tanta di quell’umidità che le radici non sono in grado di compensare assorbendo una pari quantità di acqua dal terreno; al di sopra dell’80% le foglie hanno il problema opposto con l’umidità prodotta che non riesce ad asciugarsi per rinfrescarle. Quindi le serre sono naturalmente umide proprio grazie alla traspirazione delle piante e poiché l’umidità relativa dipende dalla temperatura, controllando questa si controlla anche quella.
Termino questa breve carrellata ricordando che, se necessario, anche il CO2 è tenuto sotto controllo nelle serre, ma non per influire sulla temperatura come qualcuno potrebbe pensare, bensì per procurarne alle piante che di giorno ne sono “ghiotte” (alludo alla fotosintesi), così da aumentarne la resa. Oltre che con l’areazione che consente di captarne dall’esterno, quando necessario (ad es. per l’”ostilità” dell’ambiente circostante) può essere prodotto bruciando direttamente del gas propano all’interno della serra. Questa “debolezza” delle piante per il CO2 è sfruttabile per metterle all’ingrasso proprio come si fa con i polli: con la giusta illuminazione artificiale ed adeguate quantità del gas crescerebbero senza sosta.
L’atmosfera e l’effetto serra
Nel paragrafo precedente ho più o meno descritto cosa potrebbe raccontare un “osservatore” dentro una serra. In questo tenterò di spiegare, a modo mio e cercando di non dire troppe scempiaggini, cosa invece succede nell’atmosfera, con particolare riferimento alla troposfera, dove, ormai è chiaro, le cose vanno diversamente.
Un buon punto di partenza è l’esame dello schema a sinistra che ricapitola dove finiscono le radiazioni che il Sole invia sulla Terra: per il 30% sono riflesse dagli strati esterni dell’atmosfera (6%), dalle nuvole (20%) e dalla superficie (4%); il rimanente 70% è assorbito da atmosfera e nuvole (19%), da suolo e mare (51%).
Per comprendere il funzionamento dell’effetto serra nell’atmosfera occorre quindi rispondere ad una semplice domanda: perché una parte dell’irraggiamento solare penetra fino al suolo (riscaldandolo) mentre il resto si ferma strada facendo? Dipende, com’è facile supporre, dall’interazione tra radiazioni solari ed atmosfera.
Le radiazioni solari
Le radiazioni provenienti dal Sole sono un’entità o per meglio dire un fenomeno fisico multiforme. Esempi di radiazioni sono
- la luce ed i suoi colori percepiti dai nostri occhi;
- il calore che avvertiamo sulla pelle (Infrarosso o IR);
- lo stimolo alla produzione della melanina cutanea quando ci abbronziamo (Ultravioletto o UV);
- i disturbi, per fortuna solo occasionali, alle trasmissioni dei satelliti artificiali (onde radio).
Ogni radiazione è descritta con un valore numerico rappresentato graficamente come la distanza tra due creste di una forma d’onda e perciò chiamato lunghezza d’onda6:
Come si intuisce anche dal grafico, a ciascun tipo di radiazioni in realtà corrisponde un particolare intervallo di lunghezze d’onda. Ad es. le radiazioni visibili sono comprese tra 400 e 700 nanometri (10-6m) che è poi la somma degli intervalli propri delle possibili tonalità di ciascun colore (il blu tra 450 e 495, il verde tra 495 e 570,…)7. Naturalmente la forma d’onda è solo un artificio grafico perché, proprio come nei disegni dei bambini, le radiazioni solari si muovono in linea retta.
Ciò che i bambini ancora non sanno è che i raggi dei loro disegni sono le traiettorie seguite dei fotoni, entità subatomiche prodotte dalle reazioni termonucleari del nucleo solare, a cui è associata una quantità di energia crescente al diminuire della lunghezza d’onda. Il Sole però non produce tutte le radiazioni in pari quantità ma ha un picco nel campo del visibile8 con le altre emesse in quantità via via inferiori al crescere o all’accorciarsi della loro lunghezza d’onda (immagine a sinistra), comportamento comune ad ogni altra sorgente il cui picco è posizionato in funzione della loro temperatura superficiale9:
Vale, inoltre, la regola per cui le sorgenti più calde emettono una maggiore quantità di radiazioni a lunghezze d’onda più breve mentre quelle più fredde ne producono di meno ed a maggiore lunghezza d’onda. Così il Sole con la superficie a 5800°C ne libera per il 40% nel visibile, per il 10% nell’ultravioletto (ed un po’ di raggi X e gamma); per il 50% nell’infrarosso (ed un altro po’ di microonde ed onde radio). La superficie terrestre riscaldata dal Sole (cioè dalle radiazioni che filtrano fino al suolo) con i suoi 14°C produce solo infrarosso:
Una lampadina ad incandescenza bruciando a 2400°C emette meno del 10% nel visibile ed il resto nell’infrarosso (cioè è prima di tutto una stufa).
L’atmosfera terrestre
Riguardo l’atmosfera terrestre, è ben noto che si tratta di una miscela di gas i cui principali componenti sono10:
Elemento | Simbolo | % | ppmv |
azoto | N2 | 78,080 | 780840 |
ossigeno | O2 | 20,950 | 209460 |
argon | Ar | 0,930 | 93000 |
vapore acqueo | H2O | <4,000 | 0-4000 |
biossido di carbonio | CO2 | 0,033 | 330 |
A cui sono da aggiungere percentuali via via inferiori di neon (Ne), elio (He), metano (CH4), kripton (Kr), idrogeno (H2), xeno (Xe), ozono (O3), ossidi di azoto (NO, NO2, N2O), monossido di carbonio (CO), biossido di zolfo (SO2), solfuro di idrogeno (H2S),…
Quelle ricordate sono distribuzioni medie sotto i 100km con le seguenti significative eccezioni:
- elio ed idrogeno in forma libera sono presenti soprattutto dalla termosfera in su (oltre gli 85km)
- il 90% dell’ozono è nella ozonosfera (15-35km)
- ossido di diazoto (N2O), diossido di azoto (NO2), biossido di zolfo (SO2) e monossido di carbonio (CO) e vapore acqueo sono presenti soprattutto nella troposfera (sotto i 20km)
Rispetto al vapore acqueo è importante tener presente che:
- la percentuale indica solo l’umidità che ci fa sudare quando fa caldo o screpola le labbra quando manca (per questo è controllata dai climatizzatori) e non comprende la nuvolosità;
- poiché, come abbiamo già visto, l’aria quanto più è calda tanto più ne può sostenere e visto che la temperatura diminuisce progressivamente all’aumentare dell’altitudine e della latitudine, il vapore acqueo è mediamente più presente al suolo dei tropici e delle aree temperate arrivando, nei luoghi più caldi ed umidi, a 30g per kg di aria contro valori prossimi allo 0 ai poli o in alta montagna, come mostrato dalla seguente figura
mentre gli altri hanno distribuzioni più uniformi, com’è il caso del CO2
Il motivo di questa differenza dipende dalla natura del vapore acqueo e dal rimescolamento continuo degli strati bassi dell’atmosfera sotto la spinta dell’insolazione ed a causa della forma della Terra.
Il nostro pianeta, infatti, è uno sferoide pertanto l’irraggiamento solare non è uniforme ma è maggiore dove la stella raggiunge lo Zenit (sempre nella regione tropicale) e minore avvicinandosi ai poli, come mostra molto bene questa figura che presenta (in alto) la quantità di radiazioni solari che raggiungono il limite esterno dell’atmosfera insieme a quella che effettivamente riesce a filtrare fino al suolo (in basso).
Nelle aree a maggiore irraggiamento ed umide (ad es. le superfici oceaniche) succede che l’acqua evapora continuamente ed il vapore trasferendosi nell’atmosfera la riscalda proprio come succede in modo solo più appariscente sulle pentole scoperchiate dove bolle dell’acqua.
L’aria così riscaldata comincia ad espandersi (è per questo che se invece la pentola di prima avesse un coperchio leggero, questo comincerebbe a “ballare”) divenendo meno densa (cioè più leggera) rispetto a quella circostante tanto da sollevarsi, cedendo il posto ad aria richiamata da zone limitrofe più fredde. Man mano che sale, quella calda entra in contatto con aria sempre più fredda (in media ogni 100m di quota si perdono 0,65°C) a cui trasferisce parte della sua energia raffreddandosi a sua volta ed espandendosi nel contempo verso le aree da cui proveniva quella che al suolo aveva preso il suo posto. Si chiude così un ciclo.
Questi spostamenti d’aria verticali ed orizzontali si manifestano come vento e, come mostra la seguente figura, i cicli (o celle) si ripropongono più volte a livello globale secondo configurazioni predefinite:
La loro intensità, come sappiamo per esperienza, non è fissa ma segue le variazioni stagionali dell’irraggiamento solare che le causa: in entrambi gli emisferi il vento è più intenso in inverno quando la differenza di temperatura tra i tropici (dove comunque la temperatura è sempre elevata) e polo (dove invece è notte fonda) è massima, meno intenso in estate quando questa differenza è minima:
Questi moti di aria sono la cosiddetta circolazione atmosferica che rimescola la troposfera ridistribuendo continuamente i gas che la compongono. Fa eccezione l’umidità la cui presenza dipende dalla temperatura dell’aria e quindi varia di luogo in luogo e nel tempo ma è sempre ai massimi al suolo dei tropici diminuendo man mano che se ne allontana. Così si spiega la differenza di distribuzione tra vapore acqueo e gli altri gas atmosferici.
Lo spostamento di queste masse d’aria cariche di umidità svolge il ruolo importantissimo di mitigare il clima globale perché l’energia accumulata dall’acqua con l’evaporazione è trasferita verso aree più fredde quando condensa o precipita in diverse forme, complementando l’azione delle correnti marine.
Visto che tutto dipende dal vapore acqueo, quanto appena descritto avviene solo dove c’è il vapore acqueo, cioè nella cosiddetta troposfera, lo strato dell’atmosfera che va dal livello del mare ad 8km di altezza ai poli ed a 17km all’equatore, contiene l’80% della massa gassosa totale e il 99% del vapore acqueo. Non a caso la radice di troposfera deriva dal greco “tropos” che significa ‘variazione’, ‘cambiamento’.
Termino questa lunga digressione ricordando che i movimenti atmosferici non sono frutto solo dell’irraggiamento, ma anche dell’attrazione gravitazionale del Sole che induce le cosiddette maree atmosferiche, oscillazioni periodiche dell’atmosfera su scala globale analoghe a quelle oceaniche:
Fin qui abbiamo visto cosa succede nell’atmosfera in generale e nella troposfera in particolare, nel prossimo paragrafo vedremo perché.
Interazione tra radiazioni solari ed atmosfera terrestre
Come i nostri occhi sono sensibili solo alle radiazioni visibili, ciascuna molecola gassosa nell’atmosfera (e non) è sensibile solo ad un particolare insieme di radiazioni, ignorando le altre11. Così quando una molecola fa l’incontro giusto tre sono i possibili risultati: o si “spacca”12 o “assorbe” qualche elemento13 o, più spesso, comincia a vibrare agitando anche quelle vicine, fenomeno fisico che corrisponde al riscaldamento (vedi il turbinio dell’acqua che bolle).
Questo significa, tra l’altro, che la capacità di penetrazione delle radiazioni di un certo tipo non dipende tanto dalla loro energia/lunghezza d’onda ma da quante ne partono e da quante molecole capaci di intercettarle incontreranno strada facendo.
Ad es. il grafico a lato14 indica in grigio la percentuale di assorbimento dell’atmosfera al suolo (scala a sinistra in %) per le lunghezze d’onda che rappresentano la stragrande maggioranza delle emissioni solari. E’ evidente che, come anticipato dallo schema iniziale, per circa metà delle radiazioni l’atmosfera terrestre è opaca (ad es. UV di cui passano solo i pochi spiccioli sufficienti ad abbronzarci) mentre per altre è pressoché trasparente (il visibile).
Naturalmente questa è solo metà della storia… L’altra metà è considerare cosa succede alle radiazioni che filtrano fino alla superficie terrestre (quelle delle aree più o meno trasparenti di prima) e da questa assorbite riscaldandosi (immagine di fianco). Semplicemente trattandosi di calore è tutta riemessa sull’infrarosso, in larga misura trattenuta dall’atmosfera.
Mettendo tutto insieme si ottiene la seguente figura dove ho aggiunto (in alto) anche le percentuali di assorbimento ad 11km di quota.
Limitandoci al livello del mare, l’area grigia (soprattutto quella a destra) è all’origine del fenomeno che mantiene la temperatura media al suolo a 14°C, noto come effetto serra. A questo punto non resta che scoprire il contributo dei singoli gas:
…così presenti nell’atmosfera terrestre:
Elemento | Simbolo | ppmv |
vapore acqueo | H2O | <4000,00 |
biossido di carbonio | CO2 | 330,00 |
metano | CH4 | 1,79 |
protossido di azoto | N2O | 0,30 |
ozono | O3 | 0,07 |
L’H2O svolge, quindi, un ruolo preminente ampiamente giustificato
- dalla maggiore concentrazione (un ordine di grandezza superiore a tutti gli altri messi insieme)
- dalla diversa distribuzione nell’atmosfera (come già ricordato è presente proprio lì dove maggiore è l’insolazione ed in concentrazioni proporzionali alla temperatura)
- dalla maggiore gamma di radiazioni che riesce ad intercettare, sia terrestre sia soprattutto solare.
Marginalizzando il ruolo degli altri.
Ma che nesso c’è tra aumento di gas serra e temperatura media globale? È ovvio che questa aumenta all’aumentare di quelli. Ciò che non è ovvio è che la relazione è vera sia per le lunghezze d’onda ancora parzialmente libere sia per quelle completamente sature15. Per capire perché è sufficiente pensare ai gas serra come ad una coperta: più “pesante” è la coperta (cioè maggiore è la quantità di gas serra) più efficacemente isola dall’ambiente esterno (le radiazioni solari sono intercettate prima) e meglio trattiene il nostro calore (le radiazioni terrestri non riescono a fuggire via).
Continuando con l’esempio precedente è possibile scoprire anche il tipo di relazione: basta chiedersi cosa succederebbe a mettersi sotto una, due, tre o quattro coperte tutte uguali. Come sappiamo per esperienza la temperatura sotto le coperte non raddoppia, né triplica o quadruplica (così aumenta solo la nostra sensazione di “oppressione”) ma ogni nuovo strato contribuisce in misura progressivamente minore ad isolare ed a trattenere il nostro calore, relazione che i matematici chiamano logaritmica16:
in altre parole più aumentano i gas serra meno velocemente aumenta la temperatura, cosa che dovrebbe tranquillizzarci per il futuro e che comunque non si evince nel grafico di partenza (quasi ci fosse altro 😉 ).
Conclusioni
Dopo quanto detto è ovvio che non c’è analogia alcuna tra serre e troposfera:
- le serre per riscaldarsi necessitano di aria cheta mentre è il continuo “cambiamento” della troposfera a ridistribuire globalmente il caldo accumulato ai tropici utilizzando il vapore acqueo come vettore;
- il rivestimento trasparente delle serre ha il solo scopo di isolarla passivamente dall’esterno (nel senso che lascia passare le radiazioni solari indisturbate impedendo nel contempo ogni scambio di aria) mentre i gas serra svolgono il ruolo attivo di isolante termico, trattenendo il calore che si sprigiona dalla superficie terrestre.
In considerazione del ruolo di isolante termico assolto dai gas serra, non può sorprendere l’analogia funzionale con le coperte dei nostri letti più che con il rivestimento delle serre, perciò sarebbe stato meglio chiamarli gas coperta e poi usare effetto coperta invece di effetto serra per indicarne il legame con la temperatura media globale. Ma ormai è tardi per rimediare. Mi chiedo, però, chi per primo abbia proposto questo nome e perché sia stato così facilmente accettato. Forse perché suona bene? No lo so. Sono però sicuro che, vivo o morto, se la stia ridendo di gusto.
Un’altra questione molto importante è il ruolo usualmente misconosciuto del vapore acqueo, di gran lunga il più importante dei gas coperta il cui unico difetto agli occhi di tanti credo sia riconducibile alla sua origine quasi esclusivamente naturale e pertanto poco strumentalizzabile.
Ritornando, infine, al grafico di partenza, è possibile affermare che suggerisce sul breve periodo una correlazione grossomodo lineare tra CO2 e temperatura globale, cioè una relazione profondamente diversa da quella logaritmica che teoricamente dovrebbe regolare il fenomeno descritto. Una possibilità per spiegare questa incongruenza è di suppore che oltre all’effetto coperta ci sia dell’altro, ma ci sarà tempo per riparlarne. Nel frattempo vorrei concludere ricapitolando il senso dei miei interventi fin’ora, tutti incentrati su un’analisi critica proprio del grafico di partenza:
- nel primo ho mostrato che è chiaramente fuorviante e che una rappresentazione più veritiera degli stessi dati lascerebbe pensare al fenomeno descritto come irrilevante;
- nel secondo ho ricordato, rifacendomi alla teoria del caos, qualche buona ragione per ritenere la pretesa correlazione come poco sostenibile;
- in questo che il modello di riferimento usualmente impiegato per spiegarlo è errato (la serra invece della coperta) e che variazioni anche importanti dei gas coperta non sono teoricamente in grado di determinare variazioni “tumultuose” della temperatura media globale.
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- Marland, G., T.A. Boden, and R.J. Andres. 2008. Global, Regional, and National CO2 Emissions. In Trends: A Compendium of Data on Global Change. Carbon Dioxide Information Analysis Center, Oak Ridge National Laboratory, U.S. Department of Energy, Oak Ridge, Tenn., U.S.A. (http://cdiac.ornl.gov/trends/emis/overview.html) [↩]
- Global Surface Temperature Anomalies, The Annual Global (land and ocean combined) Anomalies (degrees C) (http://www.ncdc.noaa.gov/oa/climate/research/anomalies/anomalies.html) [↩]
- È questo che rende utili gli ombrelloni sulle spiagge [↩]
- Per la verità l’aria in se è di impiccio ma questo non riguarda gli scopi dell’articolo. [↩]
- I collettori solari sono rari perché sul tetto ostacolerebbero la luce del Sole, accanto occuperebbero aree che è più conveniente destinare alle colture. [↩]
- Immagine rielaborata di http://it.wikipedia.org/wiki/File:EM_Spectrum_Properties_it.svg [↩]
- A proposito dei colori è interessante ricordare che ogni lunghezza d’onda è vista dai nostri occhi come un colore ma ad un colore visto dai nostri occhi non necessariamente corrisponde un’unica lunghezza d’onda: proprio come fa un pittore che può ottenere un colore combinando quelli che ha sulla sua tavolozza (le singole lunghezze d’onda), così ciò che noi percepiamo come un colore può essere la somma di diverse lunghezze d’onda (i colori sulla tavolozza). Il caso più noto è il bianco risultante dalla somma delle frequenze di tutti gli altri colori in pari quantità. [↩]
- Non a caso sono quelle che i nostri occhi, i nostri sensori migliori, usano per esplorare il mondo che ci circonda [↩]
- Immagine rielaborata di http://it.wikipedia.org/wiki/File:EM_Spectrum_Properties_it.svg [↩]
- http://ceos.cnes.fr:8100/cdrom-98/ceos1/science/dg/dg1.htm [↩]
- Succede un po’ come nel golf quando si vuole mandare la pallina (i fotoni) in una buca (la molecola gassosa) in cima ad un dosso (l’atmosfera): se la si colpisce piano, non arriva neppure in cima; se troppo forte, scavalca; solo con energia e direzione giuste cadrà nella buca (cioè i fotoni interagiscono con la molecola). [↩]
- ad es. le radiazioni UV intorno ai 300nm scindono l’O2 (ossigeno) i cui atomi possono poi riaggregarsi temporaneamente a molecole di ossigeno vicine dando vita all’ozono (O3) [↩]
- ad es. N14 (azoto) assorbendo un neutrone (non un fotone) diventa C14 (radiocarbonio) [↩]
- Le prossime sono rielaborazioni di immagini tratte da Wallace, J.M. and Hobbs, P.V., 1977, Atmospheric Science – an Introductory Survey. Academic Press Inc., London, 467pp (citata da http://ceos.cnes.fr:8100/cdrom-98/ceos1/science/dg/dg1.htm) [↩]
- Vedi commento a http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Atmospheric_Transmission.png [↩]
- http://en.wikipedia.org/wiki/Radiative_forcing#Example_calculations [↩]
Chiedo venia e grazie per l’attenzione.
Caro Domenico,
apprezzo lo sforzo divulgativo di questo pezzo, però ci sono un po’ d’imprecisioni che vanno sistemate.
Ad esempio, la distribuzione dell’acqua in atmosfera dipende certo dalla temperatura dell’aria ma moltissimo anche dalla circolazione atmosferica, e in qualche modo lo dici, ma ancora di più dal fatto che si tratta di un gas che è riciclato molto velocemente dal sistema. La fonte sta nell’oceano tropicale, e qui sopra si ha la massima concentrazione ma, poiché la troposfera è essenzialmente stabile e stratificata, l’acqua non riesce ad andare molto in alto, indipendentemente dalla T, attraverso quelle zone d’inversione presenti su vaste zone tropicali, sopra le quali l’aria arriva dall’alto. Il vapore, poi, è nel giro di breve tempo riciclato attraverso le zone di interconvergenza equatoriale dove torna al mare. Gli altri gas, invece, non sono espulsi dalle torri convettive equatoriali e quindi possono rimescolarsi.
Poi si dice che “…il vapore trasferendosi nell’atmosfera la riscalda…”
Attenzione a non confondere calore latente e calore sensibile. L’acqua che evapora dall’oceano non scalda assolutamente l’aria a contatto con l’oceano, tutt’altro. L’evaporazione raffredda l’oceano!
Al livello del suolo, il calore è ceduto per via sensibile: superficie calda quindi aria calda. L’energia del vapor acqueo non la misuri in temperatura dell’aria. Essa farà aumentare la T solo quando tornerà a condensarsi nelle torri convettive e in quota, non al livello della superficie.
E ancora: l’aria che si solleva non viene a contatto con aria più fredda, forse è l’opposto. Infatti l’aria che si solleva si raffredda ad un ritmo di 1° ogni cento metri, mentre l’aria stratificata circostante perde solo 0.6°. Immagino che tu lo sappia, ma il raffreddamento non c’entra nulla col freddo che c’è in quota. Il raffreddamento è dovuto solo e semplicemente all’espansione. Il fatto che il raffreddamento per espansione porti alla condensazione dell’acqua, rilasciando energia e scaldando l’aria in sollevamento, non c’entra col l’aria fredda già presente in quota.
Gentile dottor Macrini,
la ringrazio per lo sforzo di sintesi e divulgazione al quale cerco di portare anch’io un piccolo contributo, magari un pò pedante e me ne scuso fin d’ora.
Il nome “effetto serra” lo conia Fourier in un suo scritto del 1824 e si basa sostanzialmente sull’idea (quantomeno parziale)che le serre con riferimento al sistema “superfici vegetate – atmosfera” agiscano principalmente limitando l’irraggiamento, mentre in realtà agiscono soprattutto impedendo la convezione, che è il sistema in assoluto più efficiente di scambio energetico fra superfici e atmosfera.
Se invece facciamo riferimento al sistema “Terra – atmosfera – spazio esterno”, la Terra si presenta come un sistema chiuso che non ovviamente può scambiare materia con lo spazio esterno ma solo radiazione. In tale sistema dunque la convezione agisce solo ricaricando di calore sensibile e latente provenienti dalla superficie lo strato emittente, il quale poi provvede a irraggiare verso lo spazio.
In tale sistema dunque ad un aumento dei gas serra in atmosfera consegue:
– un aumento del forcing radiativo da parte dello strato emittente verso la superficie
– un aumento della temperatura dello strato emittente
– un graduale ripristino dell’equilibrio fra energia in arrivo dal sole (235 W m-2) e energia irraggiata (anch’essa 235 W m-2).
In particolare a seguito del raddoppio dei livelli di CO2 (il che dovrebbe realizzarsi nel periodo che va dal 1880 al 2050 circa) ci si attende una crescita del forcing radiativo di +4W m-2. Ciò secondo la legge di Stefan – Boltzmann si dovrebbe tradurre in un aumento della temperatura dello strato emittente di 1°C che corrisponde ad un aumento al suolo di +0.4/+0.6°C (e questo in base al “principio di conservazione” del gradiente pseudo-adiabatico in troposfera, che è la base della convezione che muove la circolazione di Hadley e dunque tutto il sistema climatico).
Su questo siamo grossomodo tutti d’accordo mentre il disaccordo nasce sull’entità dell’amplificazione che rispetto a questi 0.4-0.6°C dovrebbero conferire dare i grandi feed-back (vapor acqueo e nubi): poca cosa e tutta da dimostrare secondo gli scettici, 2-4°C secondo i “credenti”.
Mi sono provato a fare una sintesi della sintesi perché penso che sarebbe oggi utile che qualcuno (e perchè non Climate monitor) si provasse a scrivere un “manuale di climatologia condivisa”, in modo tale da elencare per sommi capi sia ciò che nella comunità (si fa per dire) scientifica è condiviso sia ciò che è invece ancor oggi oggetto di dibattito anche acceso. Sarebbe questo un atto di grande valore illuministico.
Luigi Mariani
Mi auguro di leggere presto il “Manuale di climatologia condivisa” e spero che abbia un taglio divulgativo come lo sono stati “cambiamenti climatici e conoscenza scientifica” e
“No slogan:l’eco-ottimismo ai tempi del catastrofismo” che ho entrambi molto apprezzato.
Buon lavoro e cordiali saluti
Caro Luigi,
in effetti, più che pensare ad un aumento di temperatura dello strato emittente, bisognerebbe pensare ad un aumento di quota dello strato emittente.
Se le condizioni attuali impongono che lo strato emittente si trovi ad un’altezza di 5 km (pura invenzione, adesso non ricordo), un raddoppio di CO2 porterebbe questa altezza a 5.2 km. Lo strato che emetteva in precedenza sarà passato da -18 a -17°, mentre il nuovo strato emittente si troverà esso a -18° (se -18° è la temperatura d’equilibrio con i 235 W m-2).
In ogni caso, la superficie terrestre non è in puro equilibrio radiativo con lo strato emittente e quindi con lo spazio. La circolazione atmosferica e l’acqua sono elementi che giocano un ruolo determinante nel distribuire l’energia nel sistema e, di conseguenza, la temperatura della superficie terrestre.
Senza dimenticare che esiste anche la stratosfera che ha il suo compito negli scambi con lo spazio siderale.
Gent.mo Prof. Mariani, prendo nota delle informazioni e la ringrazio a mia volta. Molto interessante è anche l’idea del manuale condiviso. Probabilmente sarebbe necessaria una piattaforma stile wiki su cui convogliare gli sforzi di una comunità di persone. Saluti.
C’è una cosa che non mi quadra. La fonte di calore nel caso del letto è il corpo umano, nel caso della terra è il sole.
Il sole fornisce energia radiante con il picco a 6000°K, quindi potenzialmente la terra potrebbe portarsi a quella temperatura se non avesse modo di disperdere il calore nello spazio.
Il pianeta venere subisce un effetto, coperta o serra che dir si voglia, che porta la sua temperatura al suolo a 700/800°K grazie al fatto che per la maggior vicinanza al sole riceve più del doppio dell’energia per unità di superficie e che l’atmosfera intrappola molto efficacemente tale energia. In questo caso mi pare proprio come fa una serra… Dunque mi sembra che la crescita della temperatura sotto una coperta tenderà asintoticamente a raggiungere la temperatura del corpo (umano) sottostante, ma in presenza di una stufa solare le cose potrebbero prendere una piega diversa… o mi sbaglio?
Maurizio,
quanto dici sarebbe vero se i pianeti fossero piatti e quindi continuamente e completamente esposti al Sole. Per capire quanto succede bisogna invece considerare le funzioni svolte dalle atmosfere insieme alle rotazioni planetarie.
Le atmosfere planetarie svolgono il doppio ruolo di filtro sulle radiazioni entranti e “trappola” per quelle uscenti e ciò che determina la temperatura è dato soprattutto da questa seconda funzione la cui “efficacia” è determinata dalla relativa composizione.
L’atmosfera venusiana (i dati li ho presi wikipedia) è per il 98% CO2 e (anche per questo) ha una densità pari a 93 volte quella terrestre ed una pressione al suolo di 92 atmosfere. Se si considera che l’umidità è praticamente assente e che ha un’inclinazione dell’asse di 3° scarsi (cioè non conosce variazioni stagionali), non sorprende che su quel pianeta pare ci siano condizioni costanti di “aria cheta”. E’ quindi sono con te nel riconoscere in questo caso un effetto serra.
Quella terrestre, invece, è per il 99% azoto ed ossigeno con qualche traccia di CO2. Al suolo però esistono percentuali importanti di umidità che, insieme ad una inclinazione dell’asse di circa 23° (ciò che provoca le stagioni) ed alla sua scarsa densità , determina una intensa circolazione atmosferica. In questo caso non mi sembra sia corretto parlare di effetto serra. Forse lo si potrebbe chiamare effetto termoventilatore o climatizzatore?
In sintesi, per esemplificare l’efficacia delle due atmosfere al netto delle circolazioni bisogna pensare a quella terrestre come ad un lenzuolo o al più come ad una copertina leggera mentre a quella venusiana come ad un sacco a pelo avvolto da un altro sacco a pelo dentro un altro sacco a pelo…
Per quanto riguarda la rotazione, è un parametro da considerare in combinazione con quanto detto sull’efficacia delle atmosfere nell’intrappolare il calore superficiale. Considerando che quella terrestre dura 24h contro le oltre 5000h di Venere, succede che (semplificando al massimo) qualsiasi luogo della Terra ha dodici ore di tempo per perdere il calore accumulato nelle dodici ore precedenti, approfittando della relativa inefficacia della sua atmosfera (è un po’ quanto avviene in inverno quando ci alziamo dal letto e poi lo rifacciamo: alla sera lo troviamo sempre “freddo” nonostante le coperte); l’aria cheta di Venere, la sua superiore capacità isolante e la maggiore temperatura ne conserva comunque la gran parte (è come se in 2500h non riuscisse a spogliarsi dei suoi sacchi a pelo).
Questo può essere meglio compreso anche considerando l’albedo: la Terra (superficie ed atmosfera) ha un albedo di 0,36, cioè respinge il 36% delle radiazioni incidenti; Venere con un albedo (essenzialmente atmosferico) a 0,65 ne respinge il 65%. Ne consegue che la temperatura della superficie terrestre dipende più di quella venusiana dall’esposizione diretta al Sole.
Un altro modo per immaginare la differenza tra la Terra e Venere è di rispondere ad un’altra delle mie domande facili facili: perché in inverno ci corichiamo sempre tra lenzuola “fredde” nonostante le coperte mentre in estate le troviamo invariabilmente “bollenti” anche senza le coperte?
Vorrei chiudere ringraziando te per la domanda, duepassi per l’apprezzamento e puntualizzando che il nome “effetto coperta” lo avevo pensato solo per sottolineare la relazione “logaritmica” che lega la densità dei gas atmosferici e la temperatura superficiale (principio che credo valga sulla Terra come su Venere), ma forse questo non si capisce dal testo.
Penso che il mio paragone con venere sia stato forse frainteso.
Comunque non intendevo portare venere come esempio di ciò che potrebbe accadere alla terra, nè eccitare una discussione in merito.
In ordine alla forma del pianeta e alla rotazione trovo che concorrano certamente, insieme ad altri fattori, alla temperatura di equilibrio. Infatti dico solo che potenzialmente potrebbero raggiungere la temperatura della fotosfera solare, ma ovviamente non lo fanno esistendo meccanismi efficaci di dispersione del calore.
Considerando che i dati fisici sull’atmosfera venusiana da lei citati sono reali, probabilmente la circolazione atmosferica di venere e l’isolamento termico fanno sì che la temperatura notturna al suolo non sia tanto differente da quella diurna nonostante la lunghissima durata del ciclo giorno-notte.
Resta a mio avviso inevasa la domanda:
– …la crescita della temperatura sotto una coperta tenderà asintoticamente a raggiungere la temperatura del corpo (umano) sottostante, ma in presenza di una stufa solare le cose potrebbero prendere una piega diversa… o mi sbaglio? –
Cioè, a prescindere dal fatto che il “letto” sia sferico e rotante su di un asse passante per il centro, se nelle mie vicinanze c’è una stufa che irraggia a 6000°K molto (quasi tutto) dipenderà da come la coperta saprà trattenere il calore della stufa.
Mi sembra che il ragionamento parta dal presupposto errato che il corpo abbia una temperatura costante. In realtà il corpo (la superficie terrestre) si scalda tanto quanto si scalda o si raffredda la coperta.
La domanda facile facile richiede alcune condizioni necessarie.
Prima di tutto uno stato freddo ed uno caldo che nel caso della terra è fornito ciclicamente dall’inclinazione dell’asse ma potrebbe anche essere una forte eccentricità orbitale. Nel caso della terra la fascia tropicale è però in condizioni di riscaldamento costante e l’escursione termica maggiore riguarda le zone temperate o polari.
Nel caso di una forte eccentricità orbitale (è il caso di marte anche se l’eccentricità non è eccezionale) il pianeta si troverebbe tutto in condizioni estreme, non considerando eventuali inclinazioni dell’asse di rotazione. In tal caso anche un corpo come venere presenterebbe forti escursioni termiche seppur mediate dalla spessa ed isolante coltre atmosferica. Ma non è questo il caso essendo l’orbita venusiana quasi perfettamente circolare.
La ringrazio per l’attenzione e la saluto.
… alle sue osservazioni aggiungerei solo che la temperatura della coperta dipende da quella del corpo che avvolge (e non vice versa), che quei 6mila°K sono tutto eccetto che costanti e soprattutto che ignoriamo così tanto sul rapporto Terra-Sole da non poter spiegare ne grandi cose come le ripeture oscillazioni tra glaciazioni e le fasi calde ne piccole cose come il caldo medioevale o la piccola era glaciale. Con questo presupposto si possono al più formulare ipotesi sui meccanismi alla base del comportamento dell’atmosfera terrestre. Per cui se le interessa ancora la mia opinione è che se uno stato si riproponesse abbastanza a lungo allora, al di la di ogni altro prametro (orbita, inclinazione dell’asse, composizione dell’atmosferam…) la temperatura media terrestre troverebbe un suo equilibrio su un valore (l’asindoto) funzione della temperatura solare, “no” nella realtà perché, per ragioni che ignoriamo, quell’asindoto si sposta continuamente nel tempo (proprio come cambia la nostra temperatura corporea quando siamo svegli o dormiamo o sogniamo o combattiamo un’infezione o…). Saluti e grazie per la considerazione.
Questo articolo dà rigore scientifico ad alcune mie intuizioni che finora erano rimaste a livello piuttosto confuso.
Secondo me.
Ne ringrazio per questo vivamente l’autore.
Aspetto con impazienza il seguito