L’amico Alvaro ha postato un commento in uno dei nostri ultimi articoli. Sono riflessioni a mio giudizio molto interessanti, che vanno parecchio al di là della “sola” problematica sul clima o sull’ambiente. Si parla dei meccanismi fondanti della nostra società , quella che, piaccia o no (ma non vedo come potrebbe essere no) ci sonsente di mettere insieme il pranzo con la cena. Vi lascio dunque al suo commento, ci vediamo alla fine.
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In tutta la faccenda dell’AGW mi sembra vi siano due piani principali di discussione.
-  La scienza: la superficie del nostro pianeta si sta scaldando o no? E se si, lo è in misura determinante per cause umane?
- La politica: come gestire il problema ancor prima di vederne provati gli effetti? In che misura “machiavellizzare†un tema scientifico, se necessario anche manipolando l’opinione pubblica onde far accettare precauzionalmente delle misure mitiganti coercitive?
Come vedremo, mi fa molta più paura, ma non per il clima, il punto 1 — procediamo con ordine.
La scienza — sappiamo per certo che la CO2 sta crescendo. Sappiamo anche che la temperatura media è cresciuta nell’ultimo secolo, forse anche nelle ultime decadi, anche se, per toglierci qualche dubbio, cominciamo, per esempio, a verificare ex-novo l’intero set di dati termometrici. Abbiamo anche molte teorie sulla correlazione CO2 – temperatura media planetaria, ed abbiamo sviluppato molti modelli che ipotizzano le evoluzioni future del clima a seconda delle teorie ed ipotesi applicate. Inoltre, abbiamo anche molti altri modelli che aiutano a proiettare le conseguenze future di un aumento di temperatura su parametri ambientali importanti — impatti biosferici, livello dei mari, ecc. Per ultimo, ingenti risorse sono già a disposizione per la ricerca su questi temi — fin qui, tutto bene.
La politica — la situazione mi sembra assai diversa.
Sappiamo per certo che vi è un notevole allineamento di interessi tra “i consulenti” — l’establishment scientifico che studia i fatti climatici e proietta le evoluzioni future — ed i governi di alcuni paesi avanzati, le cui finanze sono estremamente compromesse e per i quali una “tassa salvapianeta” rappresenta un modo politicamente dolce e bipartisan per riequilibrare i conti.
Sappiamo anche certamente, da una oggettiva quanto fortuita lettura dei messaggi trafugati dal server della CRU, che almeno parte dell’establishment climatologico tendeva con ogni mezzo a non perdere il controllo del “mercato dei finanziamenti” per la ricerca sul clima –adottando comportamenti che, se fossero avvenuti nel mondo industriale, sarebbero stati velocemente sanzionati dalle autorità anti-trust nazionali o, in Europa, comunitarie.
Questo, come chiunque può riscontrare leggendo quei messaggi, avveniva tessendo una rete chiusa “di mutua ammirazione” nell’ambito delle pubblicazioni scientifiche, screditando energicamente le opinioni divergenti e rendendo inaccessibili per lungo tempo (a volte per sempre) i dati primari che avrebbero permesso una verifica scientifica in senso classico. Se poi tale comportamento fosse derivato da genuina disperazione dovuta ad un senso di urgenza in base ai risultati o dovuto ad interessi micro-politici dei leaders dei singoli dipartimenti di ricerca — o ambedue — non sono in grado di valutarlo.
Ma fin qui, almeno per quanto mi concerne, poco male — déjà vu altrove, e generalmente col tempo queste situazioni, dal flogiston a Lisenko, si autocorreggono — lamento solo, e molto, il malessere di molti ricercatori seri, costretti a vivere in ambienti temporaneamente, come dire, un pò spiacevoli.
Tuttavia credo che l’aspetto di cui al punto 2 — la politica — sia, per me, per noi tutti, molto più “tecnicamente” pericoloso di quanto appaia a prima vista, vediamo perché.
Ricordiamo come in un paio di generazioni siamo passati da meno di 2 a oltre 6 miliardi di persone — per ogni persona che esisteva quando sono nato oggi ve ne sono altre due in più… e vivono tutti comparativamente meglio di prima, e molto. Si tratta di un “miracolo” storico unico, per il quale ciascuno saprà dare la sua spiegazione preferita.
La mia considerazione è molto prosaica: da circa tre generazioni abbiamo messo in moto un ciclo sempre più efficace, basato sulla ricerca e l’innovazione, che in parole molto povere funziona così:
- la ricerca è l’uso dei soldi per creare nuova conoscenza, e
- l’innovazione è l’uso di questa conoscenza per creare nuovi soldi.
Adesso, mentre la ricerca è un processo relativamente privo di rischi, quello dell’innovazione esige un protagonista che decide di rischiare, in base a tutte le informazioni in suo possesso, per intraprendere o migliorare una attività economica e creare così un surplus economico a sua volta disponibile per ulteriore ricerca, che permetterà ulteriore innovazione, ecc.
Qui la parola chiave, non tanto ovvia, è: “rischio”.
La gestione efficace di questo rischio, che da un secolo ci protegge da un eccessivo spreco di risorse spese per troppe innovazioni sbagliate, lo visualizzo, semplificandlo all’estremo, come un silenzioso e sparso esercito di ragionieri e contabili che preparano studi di fattibilità , budgets, flussi di cassa, analisi costi/benefici, proposte di investimento — tutto un “back office” che compila il “due diligence” che poi permette all’imprenditore, alla piccola o alla grande società di decidere se innovare, investendo o no in una nuova opportunità la conoscenza ottenuta tramite una ricerca.
Torniamo al punto 2 — la politica: valutando il rischio inerente ai risultati di una ricerca, in sede industriale ho spesso sentito chiedere “avranno ragione?”, ma mai, proprio mai, ricordo un “ma… staranno dicendo la verità ?”
Se, come routine, dovessimo cominciare a fare anche un check addizionale sulla integrità dei ricercatori prima di poter contemplare industrialmente l’utilizzo dei loro risultati, vi lascio immaginare cosa significherebbe per la efficacia del ciclo ricerca innovazione. O, detto con altre parole, se il comportamento etico di una parte dell’establishment climatologico infettasse altre comunità di ricercatori in altri campi, penso che dovremmo contemplare un futuro, per ognuno di noi, molto meno roseo.
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Immagino che molti staranno già pensando che sia sempre accaduto, che gli uomini sono uomini e da tali si comportano. E’ vero, ma non so quante volte sia accaduto in passato che si puntasse ad un cambiamento così radicale e lo si facesse in ragione di questioni pesantemente inquinate dall’ideologia. Quando è successo non ce la siamo passata bene, e a ben vedere, purtroppo, certe ideologie avevano anche molto in comune con questa attuale “dedizione” alla causa del clima. Vedremo, per ora ringrazio di cuore Alvaro per il suo contributo alle nostre pagine, che spero vorrete arricchire anche con le vostre considerazioni.
Complimenti per il post, si tratta di comportamenti vecchi adattati ai tempi nuovi, una volta c’era l’oracolo ora il modello, etc. Il potere non si mantiene a lungo con la sola forza e soprattutto non lo si esercita veramente se si deve ricorrere all’imposizione, una volta occorreva convincere le persone che si stava operando per il loro bene (in passato), oggi è sufficiente persuaderle che è conveniente economicamente per loro. Saluti
Concordo anzitutto sul “déjà vu”: anch’io nella storia delle mail rubate non ci ho visto nulla di particolarmente originale, in quanto in campo scientifico la storia (es: Lisenko) e l’attualità (es: fusione fredda) sono ricchissime di birboni e cioè di persone che si comportano in modo eticamente non corretto.
E’ tuttavia sconcertante costatare che il sistema (e per sistema intendo scienza + politica + media) non manifesti una reazione appropriata rispetto a tali aberrazioni in ambito climatologico, che già furono poste in ampio risalto dal rapporto Wegman del 2006, vero spartiacque fra fisiologico e patologico. Infatti dopo quel rapporto – che metteva in luce le aberrazioni legate alla genesi della “mazza da hockey di Mann” cavallo di battaglia del report IPCC 2001 – nessuno può più dire di non sapere, un po come dopo il rapporto di Crushev al 20° congresso del Pcus del 1956 nessuno poté più dire di non conoscere i misfatti dello stalinismo.
E veniamo dunque alla politica: io credo che sia suo compito sradicare la disonestà nel mondo della ricerca e poco m’importa che l’economia abbia un danno ciò: il malaffare va sradicato a prescindere, altrimenti rischiamo di arrivare a ragionamenti del tipo: le mafie sono una buona cosa perché fatturano molto, creano molti posti di lavoro e dunque contribuiscono al benessere della nazione.
Pertanto a mio avviso la politica deve assolutamente porsi il problema se gli scienziati siano onesti o no, in quanto la storia ci insegna che gli scienziati in quanto esseri umani possono ahimè essere disonesti.
Luigi Mariani