L’Italia la chiamano il giardino d’Europa, e hanno ragione. Non certo per la tempistica della fioritura dei ciliegi, quella è roba giapponese, pari latitudine ma ben altra situazione, quanto piuttosto perché abbiamo le Alpi e gli Appennini. Le une indispensabili per proteggerci dal tempaccio che viene da nord, gli altri unici nel dividere esattamente in due parti lungo la longitudine il nostro clima. E anche stavolta le nostre montagne ci sono tornate utili.
Dopo la prima difficile fase delle decisioni prese al buio ma nel rispetto degli standard di sicurezza, i sistemi di osservazione, magari nati per altri scopi, magari rispolverati in fretta e furia, hanno cominciato a fornire qualche idea un pò più precisa sulle ormai famigerate ceneri vulcaniche sputate dalla montagna dal nome impronunciabile. E così scopriamo che in Svizzera, già nella notte tra venerdì e sabato, alcuni palloni sonda equipaggiati con strumenti di misura del particolato, avevano misurato concentrazioni pari a 80 µg/m3, saliti poi addirittura a 600 µg/m3 nella giornata di domenica. Da noi, e solo nella giornata di lunedì, non si è mai andati oltre le poche decine di µg/m3. Effetto Alpi, buone anche per il fall-out delle ceneri vulcaniche evidentemente.
Non sono a conoscenza delle specifiche del modello NAME III, cioè dello strumento prognostico impiegato ufficialmente dallo UK Met Office per simulare la propagazione delle polveri in atmosfera, però, considerato che questo le “vedeva” al di qua delle Alpi già da venerdì, direi che ci potrebbe essere qualche problema in ordine alla descrizione dell’orografia del territorio, oppure alla quota reale a cui ha viaggiato il particolato, parametro questo che penso possa dipendere da almeno tre fattori, 1) la potenza delle esplosioni, 2) la “pendenza” dei flussi atmosferici e 3) le dimensioni del particolato stesso, che pur se di piccolissime dimensioni, è comunque prima o poi destinato a scendere verso il suolo. Prova ne sia il fatto che la quota a cui è stato rilevato l’aumento della concentrazione di particelle solide dagli strumenti del CNR oscillava (ma solo nella giornata di lunedì) tra 1700 e 3400 mt.
La domanda a questo punto nasce spontanea. Può funzionare un modello con risoluzione temporale tanto breve senza un’adeguata inizializzazione, ovvero senza input di dati osservati non in ordine ai flussi atmosferici, quelli devono esserci per forza, ma in ordine all’oggetto stesso della simulazione? La risposta è no, e i fatti recenti lo dimostrano. Sarà forse il caso di mettere in piedi un sistema di proiezione della propagazione di queste sostanze che sia alimentato da dati reali? La risposta è sì, e il conto salatissimo che ci si prepara a pagare lo dimostrerà .
Dal canto mio, sento di condividere assolutamente l’opinione che si legge nella notizia linkata, le decisioni prese sono state le uniche che si potevano prendere avvalendosi di quanto era disponibile, bene per la Svizzera, male per l’Italia, evidentemente però troppo poco. Occorre alzare la qualità delle informazioni disponibili, perché altrimenti i sistemi di simulazione sono destinati a perdere il confronto con la realtà . Non so perché, ma questo mi ricorda qualcosa di strettamente attinente di cui su queste pagine si discute in continuazione.
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