Più che il naso di pinocchio, può darsi che le bugie abbiano fatto crescere le temperature. Prima di tutto un breve riassunto. Uno degli aspetti più inquietanti di quanto trapelato dalla diffusione delle mail che si scambiavano i ricercatori della East Anglia, è stata senz’altro la strenua resistenza che essi opponevano al rilascio dei dati impiegati per le loro ricerche, quando quelli che ritenevano essere poco più che degli scocciatori ma in realtà erano scienziati di pari livello, li richiedevano per fare i propri test.
Il loro capo, Phil Jones ha sin da subito respinto ogni accusa di aver disobbedito a quanto disposto dalla legislazione del suo paese (Freedom Of Information act), specificando che nella maggior parte dei casi i dati che venivano di volta in volta richiesti non erano di loro proprietà , ma, trattandosi di osservazioni di temperatura, appartenevano ai paesi che li avevano originati. Con molti di questi sembra esistessero degli accordi che impedivano quindi che le informazioni fossero rilasciate.
Jones ha ripetuto questo concetto appena qualche giorno fa, durante l’audizione alla commissione del parlamento inglese appositamente costituita per far luce sulla vicenda del climategate, menzionando in particolare la Svezia, il Canada e la Polonia.
Questa affermazione si è rivelata falsa, alla luce di quanto leggiamo da questo post su WUWT, in cui è prodotta della documentazione che chiarisce che, in particolare per la Svezia, il leggittimo proprietario dei dati, dava assoluta disponibilità alla pubblicazione degli stessi, chiedendo però che questo avvenisse per il tramite delle proprie pagine web, allo scopo di evitare che si creasse confusione tra i dati originali da essi detenuti e quelli “trattati” nel processo di costruzione del dataset delle temperature HadCruT3 della East Anglia. Tra le righe leggiamo anche una certa preoccupazione dei proprietari delle informazioni per le “differenze” che si sarebbero potute notare tra i dati grezzi e quelli sottoposti al processo di omogeneizzazione nel dataset.
A parte la “piccola” bugia di Jones, quel che colpisce è che i legittimi proprietari delle informazioni le considerano di assoluto pubblico dominio, mentre quelli che le hanno ottenute e successivamente lavorate no. Non sarà mica che c’è qualche timore a rivelare i passaggi del processo di lavorazione? Ma non dovrebbe essere anche quello di pubblico dominio? Jones ha spesso sostenuto che in fondo le informazioni potevano essere reperite anche da altri gestori di dataset e non c’era ragione di insistere così a lungo per ottenerle. Questo vuol dire -e lo sappiamo bene- che i dataset non sono affatto indipendenti e quindi quelle che dovrebbero essere delle conferme ottenute attraverso ricerche indipendenti sono semplicemente versioni dello stesso spartito suonate con toni diversi. A tutto ciò aggiungerei anche l’incredibile dichiarazione sempre di Jones di qualche mese fa, fatta in tempi non sospetti, nella quale dichiarava che buona parte dei dati grezzi impiegati per costruire i dataset sono andati perduti per semplici problemi di data handling, per cui ora sarebbero analizzabili solo quelli già passati al pettine del processo di omogeneizzazione.
Ora anche le bugie. ma si può sapere una buona volta perché questi dati e le procedure impiegate per trattarli non si potevano vedere?
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