In questi giorni si sono riuniti a Nuova Delhi i paesi del gruppo BASIC, ovvero Brasile, Sud Africa, India e Cina. L’incontro aveva lo scopo di individuare una strategia comune per il dopo COpenhagen o, se si preferisce, prima dei prossimi appuntamenti di Bonn a maggio e Città del Messico a novembre.
Quello del BASIC è un asse importante nello scacchiere mondiale, si tratta infatti di alcuni dei paesi dalle più concrete prospettive di sviluppo. Tradotto nel linguaggio moderno del clima che cambia, ciò significa che si tratta anche dei più importanti emettitori di gas serra, proprio a causa delle loro floride attività industriali e commerciali. In sostanza, senza il benestare di questi paesi, nessun accordo sarà mai possibile.
Da questo punto di vista i loro intenti sembrano promettere bene, perché hanno tutti e quattro garantito che rispetteranno la scadenza del 31 gennaio prossimo per presentare i loro piani di riduzione su base volontaria e autonoma delle emissioni, onorando così il primo punto del Copenhagen Accord, siglato nella capitale danese appena un mese fa. Tuttavia sarà interessante e probabilmente chiarificante apprendere i contenuti di questi piani. Infatti per metterli a punto qualcuno pensa che potrà avere un peso importante quello che dirà il presidente degli Stati Uniti al discorso sullo stato dell’Unione, l’importante appuntamento programmatico di quello che di fatto è il paese leader dell’altro asse dello scacchiere internazionale.
E’ però probabile che tra le difficoltà di approvazione della legislazione USA in materia di clima, il famoso Climate Bill, e le dichiarazioni dei paesi BASIC, il 2010 non sarà probabilmente l’anno della svolta che tutti si aspettano, ma piuttosto l’anno dell’inversione a U. Infatti, pur consentendo a rispettare la data del 31 gennaio la Cina, il più potente dei quattro, ha dichiarato per bocca di Xie Zhenhua, che apprendiamo essere il vice presidente della commissione per lo sviluppo e le riforme nel suo paese, che se da un lato il riscaldamento occorso sin qui è inequivocabile e ne stanno facendo già le spese alcuni paesi in via di sviluppo, dall’altro determinarne le origini presenta ancora ampi margini di incertezza, con particolare riferimento alla possibilità che una parte consistente di questo riscaldamento abbia origini naturali. Ancora più importante è il fatto che si chieda esplicitamente che le opinioni difformi dal mainstream vengano accolte e tenute in considerazione nel prossimo rapporto dell’IPCC.
Tornando a noi, perché un’inversione a U? Perché se queste richieste saranno accolte -e non c’è ragione perché questo non accada, tenuto conto del peso politico di questo gruppo di paesi- si abbasserà moltissimo il livello di allarme, rendendo inutili gran parte dei piani di riduzione delle emissioni che non rientrino nella normale logica della decarbonizzazione già in essere per ragioni di approvvigionamento dei combustibili fossili. Come inutili saranno le azioni di mitigazione. Può darsi che questo permetta di concentrare l’attenzione sulle azioni di adattamento, che invece presentano aspetti decisamente molto più reali e tangibili.
Nel frattempo si levano altre autorevoli voci che mettono in risalto un tendenziale cambiamento di clima (la metafora non è casuale) nell’approccio al problema. Da una parte il mondo finanziario comincia a sentir puzza di bruciato in ciò che fino a ieri sembrava profumasse di denaro sonante nonostante provenisse dalle ciminiere delle fabbriche e dai tubi di scarico delle auto, e sta iniziando a disimpegnarsi dal mercato del carbon trading. Dall’altra Bill Gates uno dei più grandi e danarosi filantropi del mondo, fa sapere che se anche una minima parte di quanto stanziato a Copenhagen per aiutare i paesi in via di sviluppo dovesse provenire da risorse già destinate alla salvaguardia della salute nel terzo mondo, questo sarebbe decisamente controproducente. Nell’occasione Gates ha tirato anche una bella frecciata al nostro paese, additandolo come il più tirchio tra i paesi europei con riferimento alle donazioni per la salute nel mondo.
Mentre il mercato obbedisce semplicemente alle proprie regole e Gates fa notare una cosa decisamente ovvia ma sacrosanta, c’è indubbiamente il fondato sospetto che l’atteggiamento assunto da questi paesi, Cina in testa, contenga una massiccia dose di attenzione al proprio tornaconto. Tuttavia, se sarà utile a restituire al dibattito un po’ più di obbiettività , non potrà che farci piacere. Staremo a vedere come l’IPCC recepirà queste esortazioni, soprattutto ora che ha disperato bisogno di recuperare un po’ di credibilità dopo aver ammesso gli errori commessi nel rapporto pubblicato nel 2007.
[…] di CO2penhagen, le accuse di conflitto d’interessi al presidente dell’IPCC, il disimpegno politico dei paesi BASIC, la richiesta di chiarezza delle massime autorità scientifiche britanniche e canadesi giunta in […]
“c’è indubbiamente il fondato sospetto che l’atteggiamento assunto da questi paesi, Cina in testa, contenga una massiccia dose di attenzione al proprio tornaconto.”
se non altro non si discostano dal secolare atteggiamento della superpotenza in via di estinzione USA.
non tutti sono “filantropi” alla bill gates, che di tornaconti nessuno gli insegna.
Son questi segnali di una maggiore concretezza.
Sembrerebbe che il dibattito stia rimettendo i piedi per terra, dopo aver volato su scenari più immaginari, forse, che realistici.
E non possiamo che rallegrarci di questo.
Secondo me.
Come disse la mosca duepassi al bue… a tirar quell’aratro c’era anche la mia spinta.
🙂