I fatti di cronaca si stanno addensando e, com’era logico che accadesse, dopo le prime avvisaglie del Climategate e del conflitto di interessi (vero o presunto, vedremo) del presidente dell’IPCC, per il panel delle Nazioni Unite che si occupa di clima si sono spenti i riflettori della gloria e si sono accesi quelli della critica. Non più solo chi lo ha fatto da sempre, quella scanzonata consorteria di scettici -come li definisce Nature-, ma anche i media, i quali, si sa, quando fiutano la preda non fanno sconti, anzi spesso alzano la posta oltre il consentito.
E così, da qualche caso isolato, con cui comunque siamo giunti a conoscenza di parecchi fatti e fatterelli non proprio edificanti, ora siamo all’assalto alla diligenza e l’austera solidità del movimento del clima che cambia trema sin dalle fondamenta. Intendiamoci, tutto ciò non ha nulla a che fare col processo scientifico, ovvero con l’enorme mole di lavoro che la comunità scientifica ha svolto e continua a svolgere spesso anche in condizioni difficili e con scarsissime risorse a disposizione per accrescere il nostro livello di conoscenza delle dinamiche del clima passate, presenti e future, piuttosto si tratta dell’uso distorto che delle risultanze di queste indagini è stato fatto, trasformando la voglia di sapere e la necessità di informare per facilitare il processo di policy making in una fucina del pensiero unico, atto a promuovere scopi ideologici che, legittimi o no, non hanno niente in comune con l’indagine scientifica.
L’IPCC nasce in seno alle Nazioni Unite come struttura che raccolga e riassuma le conoscenze scientifiche in materia di clima, con un focus particolare sull’eventuale influenza delle attività umane sulla sua evoluzione. La regola numero uno, tra le mille e spesso incomprensibili dinamiche burocratiche che caratterizzano le attività delle organizzazioni sovranazionali è imprescindibile: tutte le ricerche di cui il panel può e deve avvalersi per comporre i suoi rapporti devono essere sottoposte al meccanismo di revisione paritaria, ovvero devono essere validate all’interno della comunità scientifica con un procedimento estremamente rigido, atto ad assicurarne la conformità al metodo scientifico stesso. I pilastri di questa metodologia sono essenzialmente due: 1) le informazioni ed i dati impiegati per le proprie indagini devono essere messi a disposizione di chi effettua la revisione o comunque li voglia esaminare e, 2) ogni procedimento d’indagine deve essere ripetibile.
Di questa regola l’IPCC ha fatto la propria bandiera, basandovi tutta l’autorevolezza delle proprie pubblicazioni e dichiarazioni. Spesso, proprio l’assenza (o presunta tale) di un adeguato processo di revisione è stata all’origine dell’esclusione dai report del panel di lavori in palese contrasto con il consenso scientifico. Un mainstream completamente orientato nella direzione delle origini quasi esclusivamente antropiche del riscaldamento globale e della conseguente deriva catastrofica del clima. Altrettanto spesso, ma soprattutto in tempi recenti e con il dilagare del Climategate, ovvero con la diffusione delle mail che si scambiavano alcuni tra i più importanti contributors del panel, si è capito che lo stesso sistema di revisione paritaria posto in essere in occasione della pubblicazione dei suoi rapporti, poteva essere stato inquinato o addirittura piegato ad interessi molto più di parte che sopra le parti.
Ma questo non è il problema, almeno non oggi. Oggi quello che sta emergendo è che l’IPCC ha derogato a questa regola moltissime volte, con particolare riferimento ad alcuni dei punti chiave del dibattito sulle origini del cambiamento climatico e dell’impatto di questo sulla nostra società . L’esempio più recente, che è anche quello che ha smosso le acque del mare dell’informazione, è quello che riguarda lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya e la conseguente problematica dell’approvvigionamento idrico per quella vastissima zona del mondo. Una fonte “autorevole” che si è rivelata una chiacchiera da bar anche riportata male, fatta propria dal WWF in una pubblicazione e quindi sdoganata per l’inserimento nel quarto rapporto dell’IPCC e un uso parziale delle fonti disponibili hanno generato un messaggio incompleto e fuorviante, per non dire volutamente condizionante.
Bene, ad una prima veloce analisi fatta sulla rete, si scopre che il ricorso a fonti non scientifiche è stato in molti casi una regola, non un incidente e tantomeno un’eccezione, come invece dichiarato proprio dai vertici del panel appena pochi giorni fa. In particolare è stato molto frequente il ricorso a pubblicazioni proprio del WWF. Nulla contro la potente ed impegnata organizzazione ambientalista, ma è un fatto che essa non produca ricerca, ma opinioni che, nel pieno rispetto della mission dell’organizzazione stessa, sono spesso indirizzate e motivate da aspetti ideologici. Ripeto, piacciano o no, sono opinioni, non valutazioni scaturite da ricerche ove sia stato accertato il rispetto del procedimento scientifico.
Ora, cos’è che muove i soldi, garantisce le risorse e orienta le decisioni politiche a procurare sempre maggiori quantità degli uni e delle altre, contribuendo ad accrescere il potere e l’influenza di organismi quali l’IPCC o il WWF e dei loro dirigenti? Le notizie eclatanti, i titoli sui giornali, gli annunci di disastri imminenti e quant’altro. Non importa a nessuno che sia stato rispettato il metodo scientifico per misurare le dimensioni delle pecore di un’isoletta scozzese (ebbene sì, con i soldi della ricerca sul clima si è fatto anche questo), quel che conta è che invece non sia stato applicato per dire che un terzo del mondo morirà di sete se non si corre ai ripari.
Nell’apprendere che le cose potrebbero essere andate proprio così, sotto quale luce dovrebbe essere visto il lavoro del panel? Questi signori, che bonariamente potremmo definire eccessivamente zelanti, ma che molto più probabilmente hanno agito all’umana maniera alla ricerca del potere, non si rendono conto del danno che potrebbero aver fatto? Chi dovrebbe avercela con loro non sono gli scettici, altra parte in causa che parimenti a volte non ha brillato quanto a ricerca di personale o lobbystico tornaconto, nè i cittadini, perchè in fondo a cercar bene la possibilità di essere informati in modo equilibrato c’è sempre stata e pensare di saperne di più dopo aver visto An Inconvenient Thruth è quantomeno rischioso. E’ la comunità scientifica che deve ribellarsi, rigettare questo metodo assurdo basato sul consenso, un vocabolo sconosciuto al processo scientifico, e basato sulle scelte a maggioranza poste in essere da un bureau di rappresentanti scientifici con agende colme di impegni politici. Sono i rappresentanti di questa comunità ad aver perso credibilità e chissà quanto ci vorrà perchè tornino ad averne.
Una ultima riflessione, perchè magari qualcuno se ne ricordi al prossimo annuncio della fine del mondo. Finchè a qualcuno (molti) è convenuto sostenere le traballanti posizioni della teoria del riscaldamento globale antropogenico, il movimento ne ha tratto grande giovamento; quando la convenienza è venuta meno -leggi negoziati di Copenhagen-, l’acqua sporca è stata buttata via. E grazie agli eccessi di zelo di cui sopra ora rischia di essere buttato via anche il bambino, con buona pace delle reali problematiche ambientali che con il clima non hanno nulla a che vedere ma alle quali qualcuno, lasciando che fossero ad esso collegate, ha fatto più male che bene.
NB: Questo post è uscito ieri su Il Foglio, l’originale lo trovate qui.
ammazza…(solo) caffè ?
Quelli son capaci di “provvedimenti” ben più “drastici” e pericolosi, purtroppo.
esatto, trasmesso da AlJazeera in coincidenza con il forum di davos la “voce” di bin laden si è così espressa: “all industrial nations, mainly the big ones, are responsible for the crisis of global warming.â€
all’IPCC sono arrivati all’ammazza caffè.
Ho sentito proprio stamattina che anche bin laden si è convertito alla religione cambiamentoclimatica accusando fortemente gli stati uniti, in uno dei suoi nuovi comunicati (saranno poi veri ?), di essere totalmente responsabili dello sconvolgimento del clima..senza parole.