Appena ieri abbiamo pubblicato un breve commento allo scambio di battute tra due quotidiani d’oltremanica. Il primo, il Daily Mail, accusato di aver distorto il pensiero di Moijb Latif, insigne climatologo, l’altro il Guardian, che ha ospitato la replica dell’interessato.
La pietra del contendere, più che l’onorabilità del pensiero di Latif, è mio parere il fatto che sia stata tirata in ballo la variabilità naturale del clima, ovvero quelle oscillazioni interne al sistema che sarebbero in grado di oscurare il segnale del forcing antropogenico, un po’ a sproposito ma non troppo, nel senso che il freddo attuale non è certo riconducibile ad alcuna inversione di tendenza, ma un eventuale aumento della frequenza di questi eventi alla fine lo sarebbe eccome.
Neanche a farlo apposta, proprio ieri sera è uscito su WUWT (il blog di Antony Watts) un guest post di Roy Spencer che affronta prorio questo argomento, la variabilità naturale, più che da un punto di vista concettuale in modo piuttosto analitico, mettendo in relazione il forcing della CO2 con la misura del bilancio radiativo proveniente dai dati satellitari.
Le ipotesi di lavoro sono due, una considera il sistema climatico altamente sensibile e fa quindi riferimento alle indicazioni dell’IPCC per quel che concerne la sensibilità climatica, ovvero ampia variazione del bilancio radiativo in condizioni di alta concentrazione di gas serra con relativa somma dei feedback essenzialmente positiva; l’altra ricorre invece alle valutazioni dello stesso Spencer e di Lindzen, pubblicate rispettivamente nel 2007 e nel 2009, secondo le quali il sistema sarebbe regolato da un potente feedback negativo, presumibilmente imputabile alle variazioni di copertura nuvolosa bassa, in grado di sovrastare il segnale del forcing antropogenico.
Ne risulta che a prescindere dalla sensibilità del clima, il sistema appare essere in possesso di un potenziale interno di ampiezza largamente superiore al forcing esogeno di natura antropica, tanto più grande quanto più si ritiene che il forcing antropico sia decisivo, dal momento che i dati satellitari non mostrano alcun trend significativo nel recente breve periodo.
Alla fine il discorso torna sempre lì. Il problema non è la presenza o meno di un forcing antropogenico, quanto piuttosto il suo ruolo nel sistema in relazione a tutte le variabili e dinamiche che lo compongono. Poniamo il caso che la sensibilità climatica sia effettivamente quella indicata dall’IPCC. Se negli ultimi anni le osservazioni non hanno mostrato alcun trend, cosa impedisce agli elementi interni al sistema che avrebbero impedito al forcing antropogenico di essere ancora determinante, di assumere ancora maggior vigore e indirizzare il sistema verso un’evoluzione diversa da quella del riscaldamento? Quanto sarebbero utili a quel punto le policy di mitigazione e/o adattamento adottate per scenari che non si verificherebbero? E quanto sarebbe piuttosto utile averne adottate altre? E se la sensibilità climatica fosse invece quella indicata da Spencer e Lindzen oppure un’altra qualsiasi tra le due possibilità ? Che effetto avrebbero queste policy, oltre quello immediato di disperdere quantità enormi di risorse?
Chi deve prendere queste decisioni queste cose le sa?
Mi sembra molto coerente con il discorso del bicchiere (conoscenza). Si dice “con alta confidenza e’ impatto antropogenico”. Alta confidenza sulle tre o quattro cose che sappiamo. Peccato che sulla vera regolazione del sistema da parte dei feedback ne sappiamo poco. Quindi sappiamo quanta acqua abbiamo nel bicchiere, ma non quanto questo bicchiere sia alto. Quanto e’ pieno il bicchiere?
Giusto l’argomento policy e loro costi. Ma non e’ una scusa per l’inazione politica. La politica deve costruire il miglior mondo possibile e deve ammettere che la scienza la puo’ aiutare solo fino a un certo punto. La scienza deve saper dire ‘non lo so’ e la politica deve saper dire ‘bene, decido lo stesso’.