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Global Warming? Questione di dove vivete.

Alcuni giorni fa ho trovato un post molto interessante sul blog di Jeff Id, The Air Vent. Una disamina del peso che può avere l’urbanizzazione nel computo delle temperature medie superficiali del pianeta, quindi anche sull’idea che generalmente si tende ad avere del trend che queste hanno assunto nel corso delle ultime decadi del secolo scorso e della prima decade di questo.

Quello che scrive Jeff Id spazia in genere da argomenti molto tecnici a considerazioni di ordine politico anche piuttosto pesanti. In questo caso, l’argomento è decisamente tecnico e rientra nel filone dell’esame della parziale (e forse un po’ pretestuosa) apertura alla trasparenza che ha visto protagonista l’Hadley Centre nel recentissimo passato, subito dopo l’esplosione del climategate.

Trafficando con “R” (Claudio Gravina mi scuserà se sconfino solo per un attimo nel suo regno), il buon Jeff Id, ha messo a punto una ricostruzione delle anomalie delle temperature medie superficiali partendo dai dati rilasciati dal CRU. Con molta onestà egli ammette che il risultato finale è molto simile a quello ottenuto dagli scienziati della East Anglia, del resto, sappiamo bene che il problema non è non può essere nel trattamento dei dati già passati attraverso le procedure di correzione e validazione, quanto piuttosto in queste stesse procedure, la cui natura e le cui dinamiche in realtà sono ancora oggetto di mistero.

Ad ogni buon conto questo è il grafico.

Il riscaldamento globale è evidente e comincia più o meno intorno alla metà degli anni ’70. In quello stesso periodo il numero delle stazioni di osservazione che producono informazioni sulla temperatura ha iniziato a declinare drasticamente, come dimostra il computo annuale dei dati disponibili.

Non è un segreto che per motivi di carattere prettamente logistico, una larghissima parte delle stazioni che hanno cessato di produrre informazioni appartiene alla categoria “rurale” piuttosto che “urbana”, cioè molte delle stazioni chiuse erano posizionate in zone lontane dalle aree densamente popolate e quindi non soggette al bias tipico dell’incremento dell’urbanizzazione, altro elemento cresciuto in modo consistente ancora una volta proprio in quegli anni e tutt’altro che arrestatosi in tempi recenti.

Queste immagini rappresentano rispettivamente i trend calcolati per le sole stazioni urbane e per le sole stazioni rurali. Nel primo caso è evidente un riscaldamento massiccio che non accenna a diminuire, mentre nel secondo il trend è molto meno accentuato, la metà del secolo presenta un andamento simile a quello di inizio secolo e il riscaldamento delle ultime decadi del secolo è seguito da un breve ma chiaro segnale di raffreddamento.

Questa differenza salta all’occhio in modo ancora più evidente se si prendono in considerazione soltanto le serie lunghe almeno cento anni. Dato che nella maggior parte dei casi le serie più longeve appartengono ad assembramenti urbani già stabili all’inizio del secolo e successivamente ingranditisi a dismisura, questo non può che confermare il fatto che una buona parte del riscaldamento sia stato intercettato proprio dai sensori presenti nelle grandi città. Delle due immagini sotto, la prima è relativa alle stazioni urbane e la seconda a quelle rurali.

Ma l’occhio potrebbe facilmente essere ingannato, per cui la differenza tra le due (anzi quattro) curve è giusto calcolarla con precisione, e Jeff Id la calcola, sia per la totalità delle serie, sia per quelle che coprono l’intero periodo di analisi. Le immagini che seguono sono piuttosto eloquenti.

Più le città sono grandi e le serie stabili, più si accentua quest differenza. Uno scostamento iniziato per lo più interamente tra la metà e la fine degli anni ’70. Proprio un bell’effetto continuo di forcing antropogenico da cemento, con caratteristiche strettamente locali e tutt’altro che globali. E quel che resta? Perchè non si deve dimenticare che anche le stazioni rurali presentano un trend positivo. A me dice molto il periodo in cui è iniziato questo trend, esattamente quando è avvenuto lo shift climatico del 1976. Ne abbiamo discusso sia parecchio tempo fa in questo post, sia di recente nel commentare la tesi di Erl Happ sulle origini naturali delle variazioni climatiche. Ma probabilmente ne resta ancora un po’, quanto basta per capire quali stazioni siano effettivamente rurali e quali no o quanto siano effettivamente attendibili le osservazioni o ancora quanto, ancorchè presente, possa essere importante il forcing da gas serra, al quale molti assegnano invece un ruolo preponderante, che rimane ovviamente tale anche nelle impostazioni delle simulazioni climatiche. Non dimentichiamo che questi sono dati già passati nel sistema di correzione e calibrazione, un insieme di accorgimenti che in tutta evidenza non eliminano affatto il bias.

Questa analisi torna a sottolineare non le enormi difficoltà che abbiamo nel conoscere con esattezza il comportamento delle temperature medie superficiali del pianeta, una grandezza tanto più astratta ed indefinita, quanto più sono necessarie numerose operazioni di parametrizzazione e correzione, divenute indispensabili proprio con la diminuzione del numero delle stazioni. E’ evidente anche che questa grandezza non è affatto un buon tracciante delle dinamiche del clima, per cui, impostarne le simulazioni a partire dal comportamento di questo parametro rischia di portare all’insuccesso, semplificando e inquinando il metodo d’indagine già dalle premesse.

Ora, nonostante l’argomento isola di calore urbano sia stato oggetto di lunghissime  e controverse discussioni, questi dati sembrano piuttosto chiari. Non so se sia una buona cosa trascurarli e sono sicuro che chi si occupa di ricerca sul clima ad alto livello (ricercatori del CRU compresi) sia a conoscenza del problema, per cui mi chiedo come sia possibile continuare ad insistere con tanta pervicacia sul forcing da gas serra. Sembra un atteggiamento che si spiega soltanto, per dirla proprio con Erl Happ, perchè “siamo soliti scegliere cosa credere sulla base di evidenze veramente limitate e la maggior parte delle volte questo non ci preoccupa affatto”.

Non credo che la scienza potrà mai essere incolpata di aver insistito troppo su alcuni aspetti a discapito di altri, ma è un fatto che questa probabilmente ingiustificata ossessione da CO2 e similari sta distogliendo enormi quantità di risorse da tanti ambiti scientifici che meriterebbero maggiore attenzione, primo tra tutti proprio l’ambiente. L’aver avallato in molti la convinzione che la riduzione delle emissioni antropogeniche possa essere la panacea di tutti i mali, magari risolvendo anche magicamente il problema dei rifiuti o quello proprio della cementificazione, questo sì è qualcosa di cui forse qualcuno tra qualche anno dovrebbe essere chiamato a rispondere.

NB: qui, sul blog di Jeff Id trovate gli script “R” ed il dataset delle serie da lui utilizzati.

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Published inAttualitàNews

11 Comments

  1. Sono daccordo con Guidi , le temperature globali sono aumentate , almeno fino alla fine del secolo scorso , ora sono lievemente in controtendenza negli ultimi anni.
    La CO2 non c’entra nulla , l’ uomo non modifica il clima globale della terra , ma quello locale ( isole di calore ) , influenzando il clima locale , che e’ il clima della maggior parte delle persone che , pur non interessandosi specificatamente del problema GW , subiscono il Global warming mediatico e politico .
    Purtroppo queste persone vivono principalmente nelle citta e risentono in prima persona del caldo opprimente specialmente in estate ( rilascio di calore del cemento/traffico urbano ), mentre in inverno la neve si trasforma in pioggia in città spesso anche a causa dell’ isola di calore.
    Diminuire la CO2 non modifica e non modificherà le temperature e il clima globale della terra .

    • IO mi chiedo come sia possibile che il peso dei gas serra sia provato solo dalle simulazioni ed ottenga il massimo dell’attenzione, mentre il peso di altre forzanti sia provato dalle evidenze e venga trascurato in questo modo. Non ho dubbi che le conclusioni siano contrarie alla tesi, se così non fosse stato, tutto il castello di carta della CO2 sarebbe crollato!
      gg

    • Luca Galati

      Perchè lei malignamente parte dal presupposto che l’IPCC debba dimostrare il peso della Co2 e negare tutto il resto: magari invece si tratta di di uno studio completo su tutti i fattori possibili e relative conclusioni…punti di vista…

    • Malignamente un accidente Luca!
      Il peso della CO2 al netto dei feedback è stranoto! Le dinamiche dei feedback sono il core del problema, e quelli nessuno li conosce. Perchè il vapore non aumenta? Perchè le temperature hanno smesso di crescere? Persino i devoti del CRU si ponevano segretamente il problema: “It’s a travesty!”
      Questi dati sono i loro, sono numeri, non simulazioni ed il problema è talmente evidente che appare chiaro anche dopo il post processing dei dati grezzi. Ma quale studio completo, per cortesia!
      gg

  2. Teo Georgiadis

    E un negazionista serio esclude l’influenza dell’uomo sulle modifiche al clima. Io che negazionista serio non sono (e forse neppure negazionista, serio lascio ad altri decidere), l’uomo lo metto dentro al cambio del clima. E lo metto proprio qui: nel cambiamento dell’uso del suolo, nell’urbanizzazione.
    E penso che sia importantissimo capire come l’aggregazione sociale. l’urbanizzazione, pesi sia sulle condizioni locali sia su quelle globali.
    I grafici proposti non possono non essere un elemento di riflessione. Eppure questo tipo di ragionamento viene sempre minimizzato, se non escluso, dal quadro interpretativo.
    Quindi diciamoci almeno chiaramente che le emissioni sono il cuore del problema, ma lo sono in chiave politica e non scientifica. Perche’ se la chiave fosse scientifica ci si soffermerebbe un po’ di piu’ anche su quanto riportato da Guido.

  3. Giuseppe E.

    Entrando nel dettaglio della revisione delle curve GHCN globali, mi pare che la differenza più sostanziale tra le curve ufficiali NOAA-GHCN o HADCRUT3 e quella rivista da Jeff Id sia nel trend dal 1945 al 1975: Jeff mostra un cooling di circa -0.7°C, che non era evidente dalle curve NOAA-GHCN e HADCRUT3.
    Siete d’accordo?
    Potrebbe essere questa la maggiore “ritocattina” (voluta) o “errore” (involontario) scoperti nei dati FOIA? (ammesso che la ricostruzione di Jeff Id sia corretta).

    • Giuseppe,
      in assenza dei dati grezzi, qualunque considerazione al riguardo è speculativa. Come dice Jeff Id nel suo post, questa ricostruzione non piacerebbe a chi sostiene l’AGW, per il semplice fatto che il riscaldamento inizia dopo il 1975, alla faccia della rivoluzione industriale! Se poi si aggiunge che esso è concentrato sulle aree urbane, dove è massimo il bias pur antropico, ma che non ha nulla a che vedere con l’effetto serra, direi che il messaggio è chiaro.
      gg

  4. Giuseppe Tito

    A questo proposito mi permetto di consigliare la lettura di questo report http://wattsupwiththat.files.wordpress.com/2009/05/surfacestationsreport_spring09.pdf sulle USHCN, ossia le stazioni di rilevamento degli USA, già noto agli addetti ai lavori. Accludo inoltre la mappa di distribuzione delle stazioni sulla superficie terrestre http://gakusei.ad.umuc.edu/~dwills/GHCN/stations_map.html#x, in modo da fa notare anche la disparità distributiva spaziale. Sulla disparità temporale è evidente che il “repulisti” degli anni ’70 ha aggravato una già carente informazione relativa ai dati del passato, dove il 90% era fornito da stazioni a lettura semi-automatica o addirittura solo manuale. La maggior parte di queste era inoltre limitata all’Europa e al Nord America, con qualche apporto dall’Asia orientale e dal Sudamerica, da cui risultano le serie più lunghe.
    Da altri studi si evince inoltre come la temperatura di certe stazioni urbane si correla molto bene con l’aumento della loro popolazione, soprattutto nel caso delle nuove megalopoli, latinoamericane e asiatiche in particolare, dove l’ingerenza termica si estende anche a decine di km dalle zone urbanizzate.

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