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Libero Clima in Libero mercato – Parte II

In un paio di precedenti occasioni (qui e qui) abbiamo fatto un rapido excursus dell’intricatissima rete di interessi che avvolge il messianico impegno del novello guru dell’ambiente nonchè ex-un-discreto-numero-di-cose Al Gore, in seguito ad alcuni rumors che giravano sempre sulla rete circa un non meglio specificato conflitto d’interessi che si celerebbe dietro cotanto impegno. Apriti cielo!

Il Guru in persona ha fatto sapere: I put my money where my mouth is. Adoro lo slang di cui sono capaci gli americani. Metto i miei soldi dov’è la mia bocca, cioè in quello di cui parlo e (sottinteso) in cui credo. Sacrosante parole, se un giorno dovessimo scoprire che non ci crede nemmeno lui sarebbe un bel disastro. Con lo stesso slang si sarebbe potuto dire: I make my money where my mouth is, ma temo che il significato sarebbe stato parecchio più pragmatico e per nulla messianico.

Conflitto d’interessi? Non credo, solo una sana dose di senso degli affari e troppa gente disposta a credere anche alle più mirabolanti baggianate, senza distinzione di censo e potere decisionale. Tuttavia quel che traspare dall’analisi di questa rete di interessi è che ormai sono finiti i tempi in cui i cosiddetti poteri forti finanziari remavano contro il movimento dell’AGW. Il segreto per portare a casa la pelle quando si è in balia delle onde è assecondare la corrente, per cui, chi più chi meno, si sono tutti allineati. Certamente ciò non impedisce che quando salta fuori lo scettico di turno, l’accusa di essere al soldo dei perfidi petrolieri torni sempre buona; ci sono passati in molti, eminenze grige della scienza del clima, opinionisti più o meno influenti, persino noi di CM, nel nostro piccolo, ci siamo beccati l’accusa di collusione addirittura con l’industria nucleare (magari cari miei, magari!) e di simpatia per le Big Oils, da cui il simpatico nomignolo di bigoilisti tanto caro ad una delle nostre più attente detrattrici.

Ma ora si pone un problema. Le prossime edizioni dei dizionari delle 192 lingue dei 192 paesi partecipanti alla recente conferenza di CO2penhagen dovranno essere emendate della locuzione “conflitto d’interessi”; non se ne potrà più parlare perchè semplicemente non esisterà più. Del resto non vedo come potrebbe essere altrimenti, visto che a leggere quanto pubblicato dal Daily Telegraph, il più grande bigoilista di tutti i tempi sarebbe nientepopòdimeno che il presidente dell’IPCC, il Dott. Rajendra Pachauri, l’uomo che tuona un giorno sì e l’altro pure contro le malefatte dei suoi simili e che paventa disastri climatici ogni volta che può, cioè sempre.

Per aiutare i nostri lettori a farsi un’dea della situazione mettiamo a disposizione la traduzione dell’articolo del Telegraph, a cura di Alessandra Nucci. Ci vediamo alla fine.

 

Qualche domanda intorno agli affari del Dott. Rajendra Pachauri, guru ONU del cambiamento climatico Rajendra Pachauri – capo dell’IPCC, la commissione ONU sul cambiamento climatico – è accusato di aver messo insieme una fortuna sfruttando i suoi legami con le aziende che effettuano gli “scambi di emissioni”, scrivono Christopher Booker e Richard North. 
20 dicembre 2009
THE DAILY TELEGRAPH

Nessun altro al mondo ha influenzato gli eventi che hanno portato alla conferenza di Copenhagen sul riscaldamento globale quanto il Dott. Rajendra Pachauri, presidente dell’IPCC, la Commissione intergovernativa dell’ONU sul cambiamento climatico (IPCC) e la mente dietro al suo ultimo rapporto nel 2007. Benché il dott Pachauri sia spesso presentato come scienziato (una volta la BBC lo ha descritto come “il principale climatologo del mondo”), egli non possiede alcuna qualifica nel campo delle scienze climatiche, essendo un ex-ingegnere ferroviario con un PhD in economia.

Ma quello che è sfuggito all’attenzione di quasi tutti è il modo in cui il dott. Pachauri ha messo insieme uno stupefacente portfolio mondiale di interessi affaristici con realtà che hanno investito e stanno investendo miliardi di dollari in organismi che dipendono dalle decisioni e dalle politiche dell’IPCC. Questi organismi comprendono le banche, le aziende del petrolio e dell’energia e i fondi di investimento pesantemente coinvolti nel “mercato delle emissioni” e nelle “tecnologie sostenibili” che, messi insieme, costituiscono il mercato più in rapida crescita del mondo, stimato prossimo a valere migliaia di miliardi all’anno.

Oggi, oltre al suo ruolo di presidente dell’IPCC, il dott. Pachauri occupa più di una ventina di poltrone simili, fungendo da direttore o consigliere per molti degli enti che svolgono un ruolo leader in quella che oggi è conosciuta come ”’l’industria del clima’ internazionale”. L’incredibile è che la dimensione sconvolgente dei legami del Dott Pachauri con molte di queste entità è venuta alla luce solo di recente, sollevando inevitabilmente degli interrogativi su come possa il “funzionario del clima” più importante del mondo essere anche coinvolto personalmente in così tante organizzazioni che potranno trarre beneficio dalle delibere dell’IPCC. La questione del potenziale conflitto di interessi del Dott. Pachauri è stata sollevata pubblicamente per la prima volta solo martedì scorso quando, dopo aver tenuto una conferenza all’Università di Copenhagen, gli è stata consegnata una lettera aperta da parte di due eminenti “scettici del clima”. Uno si chiama Stephen Fielding, ed è il senatore australiano che ha suscitato la recente rivolta contro il progetto di scambio delle emissioni denominato “cap& trade” del suo governo. L’altro, britannico, è Lord Monckton, da tempo noto critico della scienza dell’IPCC, che ha svolto di recente un ruolo chiave nel rendere più rigorosa l’opposizione a un simile progetto di legge davanti al Senato USA.

Tale lettera aperta iniziava col mettere in dubbio l’onestà scientifica di un grafico usato con grande rilievo nel rapporto IPCC del 2007, e mostrato nel corso della sua relazione anche da Pachauri, a cui si chiedeva di ritirarlo. Ma hanno chiesto anche perché il rapporto non avesse reso pubblico il coinvolgimento personale del dott. Pachauri in tante organizzazioni in grado di trarre profitto dalle sue conclusioni. La lettera, che comprendeva informazioni rese pubbliche nel Sunday Telegraph della settimana prima, è stata distribuita a tutte le 192 delegazioni nazionali, a cui chiedeva di sollevare il dott. Pachauri dall’incarico di Presidente dell’IPCC a causa delle recenti rivelazioni sui suoi conflitti d’interesse.

La base su cui il dott. Pachauri nel corso dell’ultimo decennio ha costruito la sua rete di potere nel mondo è l’Istituto Tata Energy Research Institute, con base a Delhi, di cui divenne direttore nel 1981 e direttore generale nel 2001. Oggi questo istituto si chiama The Energy Research Institute (TERI), ed è nato nel 1974 dal più grande impero di affari privato dell’India, il Tata Group, i cui interessi spaziano fra acciaio, auto, energia, chimica, telecomunicazioni e assicurazioni (nel Regno Unito è conosciuto soprattutto come proprietario di Jaguar, Land Rover, Tetley Tea e Corus, la più grossa acciaieria della Gran Bretagna). Benché, da quando ha cambiato nome, TERI abbia allargato le sue sponsorizzazioni, le due entità sono rimaste strettamente collegate.

In India, la Tata gestisce un potere politico immenso, dimostrato anche dal modo con cui è riuscita a far sloggiare centinaia di migliaia di poveri abitanti dei villaggi tribali negli stati orientali dell’Orissa e del Jarkhand per fare spazio alle miniere di ferro e ai progetti di fabbricazione dell’acciaio su larga scala. Inizialmente, quando il dott. Pachauri prese la direzione di TERI negli anni Ottanta, i suoi interessi si incentravano sulle industrie del petrolio e del carbone, il che potrà sembrare strano oggi per un uomo che dopo di allora è diventato noto soprattutto per la sua opposizione ai combustibili fossili. Fu, ad esempio, uno dei direttori fino al 2003 della India Oil, la più grossa azienda commerciale del paese, e fino a quest’anno è rimasto direttore della National Thermal Power Generating Corporation, il suo più grosso produttore di energia elettrica.

Nel 2005, Pachauri ha fondato GloriOil, un’azienda del Texas specalizzata nella tecnologia che permette alle ultime riserve di essere estratte dai campi petroliferi che altrimenti sarebbero alla fine della loro vita utile. Tuttavia, dato che Pachauri nel 1997 divenne uno dei vice-presidenti dell’IPCC, la TERI ha allargato enormemente la sua sfera di interesse in ogni genere di tecnologia rinnovabile o sostenibile, in molte delle quali sono state coinvolte anche varie divisioni del Tata Group, quali il suo progetto di investire $1,5 miliardi (£930 milioni) in vasti insediamenti eolici. Anche l’impero TERI del dott Pachauri si è allargato a livello mondiale, con filiali negli USA, nell’UE e in diversi paesi in Asia. La TERI Europe, con base a Londra, di cui egli è consigliere (insieme a Sir John Houghton, una delle pedine chiave degli albori dell’ IPCC ed ex- capo del Met Office del Regno Unito) attualmente sta portando avanti un progetto sulla bio-energia, finanziato dall’UE.

Un altro progetto, co-finanziato dal Dipartimento dell’Ambiente, dell’Alimentazione e degli Affari rurali e dalla ditta di assicurazioni tedesca Munich Re, sta studiando come possa l’industria delle assicurazioni dell’India, compresa la Tata, beneficiare dello sfruttamento dei presunti rischi legati al cambiamento climatico. E’ proprio per questo che Defra e i contribuenti dell’UK finanzieranno un progetto per aumentare i profitti delle aziende assicurative indiane. Ancora più strano è il ruolo dell’organizzazione non-profit nata da TERI, con sede a Washington, di cui Pachauri è presidente. Situata sulla Pennsylvania Avenue, fra la Casa Bianca e il Campidoglio, questo organismo dichiara candidamente di essere un’organizzazione di lobbying, avente lo scopo di “sensibilizzare chi prende le decisioni nel Nord America alle preoccupazione dei paesi in via di sviluppo riguardo all’energia e all’ambiente”.

TERI-NA è finanziata da una galassia di sponsor ufficiali e aziendali, compresi quattro rami della burocrazia ONU; quattro agenzie del governo USA; giganti del petrolio come Amoco; due dei principali appaltatori della difesa USA; la Monsanto, il più grosso produtttore dei OGM del mondo; il WWF ( il gruppo ambientalista che deriva molti dei suoi finanziamenti dall’UE) e due leader del “mercato delle emissioni” internazionale che gestiscono in totale oltre mille miliardi di dollari (620 miliardi di sterline) di asset. Tutto questo è sicuramente utile agli interessi di Tata in India, che è pesantemente coinvolta non solo nella bio-energia, nelle rinnovabili e nelle assicurazioni ma anche nel “carbon trading”, il mercato mondiale delle compravendite dei diritti di emettere CO2. Molto di questo è gestito per lucro dall’ONU ai sensi del “Meccanismo per lo Sviluppo Pulito” (CDM) istituito con il Protocollo di Kyoto, che Copenhagen doveva sostituire con un trattato ancora più lucroso.

Ai sensi del CDM, aziende e consumatori del mondo sviluppato pagano per avere il diritto di superare i loro “limiti di emissioni” comprando certificati da quelle aziende di paesi come l’India e la Cina che accumulano “crediti di emissioni ” per ogni fonte di energia rinnovabile che essi elaborano – oppure mostrando che hanno in qualche modo ridotto le proprie “emissioni”. E’ uno di questi affari, come riferito nel Sunday Telegraph della settimana scorsa, che sta permettendo a Tata di trasferire tre milioni di tonnellate di produzione di acciaio dal suo impianto Corus a Redcar a un nuovo impianto nell’Orissa, guadagnando così potenziali £1,2 miliardi di ‘crediti alle emissioni” (e facendo perdere il lavoro a 1700 persone del Teesside).

Oltre tre quarti del mercato mondiale delle emissioni beneficiano in questo modo l’India e la Cina. La sola India ha 1455 progetti CDM in atto, per un valore di $33 miliardi (20 miliardi di sterline), molti dei quali sono stati facilitati da Tata – e forse non sorprenderà il fatto che il dott. Pachauri faccia parte anche del Consiglio della Borsa del Clima di Chicago, la più grande e lucrosa borsa di scambi di diritti di emissioni del mondo, che fu anche assistita da TERI nel fondare la borsa di scambi della stessa India.

Ma tutto questo è nulla se confrontato con le tante altre poltrone asssegnate al dott. Pachauri negli anni da quando l’ONU lo ha scelto per diventare il principale “funzionario del cambiamento climatico” del mondo. Nel 2007, ad esempio, è stato inserito nel Consiglio di Siderian, un’azienda con sede a San Francisco specializzata nelle “tecnologie sostenibili”, a cui Pachauri doveva fornire “accesso, statura e esposizione industriale del più alto livello”. Nel 2008 è stato nominato Consigliere per l’energia rinnovabile e sostenibile del Credit Suisse e della Rockefeller Foundation. E’ entrato a far parte del Consiglio della Banca Nordic Glitnir nel momento in cui essa lanciava il suo Fondo per il Futuro Sostenibile, mirante a raccogliere 4 miliardi di sterline. Divenne Presidente del Fondo per le Infrastrutture sostenibili dell’Indonesia, il cui Amministratore delegato confidava di raccogliere in breve tempo 100 miliardi di sterline. Lo stesso anno divenne direttore dell’International Risk Governance Council di Ginevra, fondato dalla EDF e da E.On, due delle più grosse aziende europee di elettricità, per promuovere la ‘bio-energia’. Quest’anno il Dott. Pachauri è diventato “consigliere strategico” del Fondo di investimenti newyorchese Pegasus e Presidente del Consiglio della Banca asiatica di sviluppo Asian Development Bank, una grossa sostenitrice degli scambi CDM, il cui Amministratore delegato avvertì che se non si arrivava a un accordo a Copenhagen il mercato delle emissioni sarebbe crollato.

L’elenco di incarichi ricoperti oggi dal Dott. Pachauri, come risultato del suo nuovo status mondiale, è infinito. E’ diventato capo dell’Istituto per il Clima e l’Energia dell’Università di Yale, che riceve milioni di dollari di finanziamenti pubblici e privati in USA. Fa parte del Consiglio sul Cambiamento climatico della Deutsche Bank. E’ Direttore dell’Istituto giapponese per le Strategie globali sull’ambiente e fino a poco tempo fa era consigliere per la Toyota. Richiamando le sue origini come ingegnere ferroviario, è perfino consigliere per le politiche della SNCF, le Ferrovie dello Stato francesi. Nel frattempo, a casa sua in India, fa parte anche di una serie di organismi governativi importanti, compresa la Consulta economica del Primo Ministro, oltre a occupare varie posizioni accademiche. Ha trovato il tempo perfino di pubblicare 22 libri.

Il Dott. Pachauri non si tira mai indietro quando si tratta di dare al mondo franchi consigli su ogni questione si riferisca alla minaccia del riscaldamento globale. L’ultima edizione di TERI News lo cita per aver detto all’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente USA di andare avanti nella regolamentazione delle emissioni di CO2 degli Stati Uniti senza aspettare che il Congresso approvi un’apposita legge. Racconta anche come, nei giorni precedenti Copenhagen, egli abbia chiamato i paesi storicamente responsabili per la crisi di riscaldamento globale a prendere “impegni concreti” per aiutare i paesi in via di sviluppo come l’India con finanziamenti e tecnologia – mentre allo stesso tempo insisteva che l’India non avrebbe mai accettato limiti vincolanti alle sue emissioni. L’India, diceva Pachauri, doveva negoziare per avere sussidi su grande scala dall’Occidente al fine di sviluppare il solare, e i fondi occidentali dovevano essere resi disponibili anche per progetti di geo-ingegneria che succhiassero la CO2 dall’atmosfera.

Quale indù vegetariano, il dott Pachauri ha ripetuto il suo richiamo al mondo di mangiare meno carne al fine di tagliare le emissoni di metano (come al solito non ha fatto alcun accenno a cosa fare poi dei 400 milioni di vacche sacre dell’India). Dopo ha chiamato anche a vietare di servire il ghiaccio nei ristoranti e a mettere un contatore in tutte le camere d’albergo per imporre ai clienti una tassa sul loro uso del riscaldamento e dell’aria condizionata.

Su una cosa, però, il ciarliero dott Pachauri rimane zitto: su quanti compensi recepisce per tutti questi importanti incarichi, che ammonteranno sicuramente a milioni di dollari. Non uno degli organismi per i quali presta la sua opera rende pubblici il suo stipendio o i suoi onorari; compresa l’ONU, che si rifiuta di rivelare quanto noi tutti lo paghiamo nella sua qualità di funzionario fra i più anziani. Quanto alla stessa TERI, il principale datore di lavoro di Pachauri da quasi 30 anni, esso è così riluttante a parlare di soldi che non pubblica nemmeno i conti – il bilancio consiste in due diagrammi sulle entrate e uscite che non espongono alcuna cifra nel dettaglio.

Del pari riluttante a parlare è il dott. Pachauri riguardo ai legami di TERI con la Tata, l’azienda che l’ha fondata negli anni Settanta e il cui nome ha continuato a portare fino al 2002, quando è stato cambiato a semplicemente in The Energy Research Institute. Un portavoce all’epoca disse “non abbiamo tagliato i nostri rapporti passati con i Tatas, il cambiamento è solo di convenienza.” Ma il vero grande interrogativo riguardo al direttore generale di TERI rimane quello relativo al rapporto fra i suoi posti commerciali altamente remunerativi e il suo ruolo di presidente dell’IPCC. TERI, ad esempio, è entrata nel novero dei migliori offerenti per gli appalti aperti dal Kuwait finalizzati a ripulire i disastri causati da Saddam Hussein nei loro campi petroliferi nel 1991. Il costo di tali appalti ($3miliardi- £1,9 miliardi) è coperto dall’ONU. Se vincerà, sarebbe la terza volta che la TERI beneficia di un contratto finanziato dall’ONU.

Certamente nessuno apprezza di più i servizi di TERI dell’UE, che ha incluso l’istituto del Dott. Pachauri come partner in non meno di 12 progetti miranti ad assistere le decisioni sulle politiche UE per mitigare gli effetti del riscaldamento globale predetti dall’IPCC. Chissà se quei 1700 lavoratori nel Teesside il mese prossimo saranno tanto contenti di perdere il posto di lavoro a favore dell’India, grazie ai meccanismi di quel “mercato delle emissioni” internazionale di cui il dott. Pachauri è così entusiasta.

 

Sarà vero? Certo le cariche ci sono, le commesse anche e le risorse che ruotano attorno al movimento dell’AGW sono immense, ma, fino a prova contraria è doveroso confidare nella più assoluta buona fede degli uomini impegnanti a così alto livello. Però non si può fare a meno di rilevare che se è vero che il batter d’ali di una farfalla in Brasile può generare un tornado in Texas, possiamo esser certi che buona parte degli sconvolgimenti climatici dei tempi moderni sia ascrivibile alla frenetica attività del dott. Pachauri. Forse, magari inavvertitamente, Monckton e Fielding non hanno fatto una richiesta così insensata!

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Published inAttualitàNews

7 Comments

  1. […] l’AGW. Dopo il Climategate, il fallimento della conferenza di CO2penhagen, le accuse di conflitto d’interessi al presidente dell’IPCC, il disimpegno politico dei paesi BASIC, la richiesta di chiarezza […]

  2. Uberto Crescenti

    Sono esterefatto delle notizie su Pachauri. Certamente un manager molto abile che però non ha nulla a che fare con la scienza del clima, se per scienza si intende la conoscenza approfondita del problema affrontato. Ho sempre ritenuto l’IPPCC un organismo non scientifico, ma un comitato di affari, che sa abilmente sfruttare la buona fede di molti scienziati.
    U.Crescenti

  3. Teo Georgiadis

    Cosi’ come per i caso delle e-mail massima accortezza prima di dire colpevole si’ o no, e in quel caso gli interessati non hanno mai smentito anzi, anche per Pachauri, che e’ stato sottoposto ad un attacco pesantissimo relativo a coinvolgimenti in molteplici attivita’ di green economy dove il ruolo ricoperto sarebbe in palese conflitto di interessi, non tiriamo la croce addosso.
    Ho letto pero’ la risposta di Pachauri alle accuse e sono rimasto un po’ impressionato dal fatto che ha risposto parzialmente solo ad una accusa (interessi con TATA) e poi una lungo atto di accusa ai ‘negazionisti’ che starebbero cercando di sabotare la lotta ai cambiamenti climatici.
    Ho trovato sorprendenti queste motivazioni. Infatti, immaginavo una confutazione basata su fatti tipo ‘questo io no, e ve lo dimostro’. Invece ho visto solo l’applicazione della tecnica ‘rivoltare la frittata’. Ovviamente Pachauri avra’ bisogno di tempo per rispondere puntualmente alle accuse.
    Ancora una volta la stampa nazionale non riporta nulla. Curioso vero?

  4. Maurizio

    Caro MaUro, tu vedi l’analogia con Berlusconi? Sei sicuro? Sai a chi appartiene SORGENIA? Al proprietario di La Repubblica e l’Espresso, al candido e onestissimo De Benedetti. Colui che è sicuramente in grado di tirare la prima pietra……..

    • admin2

      Pls cerchiamo di restare IT, non vorrei trasformare questo post in un dibattito infinito. Tra le tante cose che abbiamo da commentare ci manca solo che ci mettiamo a disquisire di politica nostrana. Tks.
      gg

  5. MaUrO

    Insomma ha le “mani in pasta” un po’ dappertutto!, io qualche analogia con il nostro capo di governo la vedo…

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