Nel dicembre del 2007 Douglass e Christy hanno pubblicato uno studio1 di comparazione tra le osservazioni di temperatura della troposfera tropicale e gli output dei modelli di simulazione climatica impiegati dall’IPCC, trovando una sostanziale inconsistenza tra la realtà osservata e quella simulata. Differenze pari mediamente al doppio del range di incertezza della media delle simulazioni. Nello strato attorno alla quota di 5km, il trend previsto supera quello osservato di un range che va dal 100 al 300%, mentre nello strato sovrastante gli 8km di quota il trend previsto e quello osservato sono addirittura di segno opposto.
Questo lavoro a suo tempo fece parecchio rumore, in quanto affrontava neanche troppo indirettamente il famoso problema dell’hot spot troposferico, ovvero la presenza (che a tutti gli effetti si può definire un’assenza), secondo la modellistica impiegata dell’IPCC, di una firma  inequivocabile del forcing antropico nel comportamento del clima. Le risultanze di questa comparazione erano quindi in stretta correlazione con il peso effettivo di questo forcing, ovvero riducevano in modo sostanziale la sensibilità climatica, cioè la quantità di calore “trattenuta” negli strati troposferici in ragione di un incremento dell’effetto serra. Questo, naturalmente, sgomberava il campo da qualsiasi genere di catastrofismo nel futuro del comportamento del sistema.
Nell’ottobre del 2008 il CRU Team, con ben diciassette firme tra cui Santer, Jones, Solomon, Shmidt e tredici altri pubblicò sulla stessa rivista scientifica un lavoro dal titolo: La consistenza tra le temperature osservate e modellizzate nell’atmosfera tropicale2. Chiaramente un lavoro di risposta a quanto pubblicato l’anno prima, che rientrava pienamente nell’ambito della dialettica scientifica.
Ma le cose stanno veramente così? Non proprio. In pratica tra la pubblicazione on-line e la disponibilità per la stampa del lavoro di Douglass e Christy la redazione della rivista ha fatto passare circa undici mesi, mentre tra la pubblicazione on-line e la disponibilità per la stampa di quello del CRU Team, sono passati appena trentasei giorni, in modo che apparisse subito dopo l’altro. La tempistica e le modalità di pubblicazione così attuate, impedivano una replica da parte degli autori del primo lavoro, esattamente come “incidentalmente” il Team aveva chiesto che accadesse non appena avvisato dell’imminente pubblicazione del lavoro di Douglass e Christy.
Tutto questo emerge in modo lampante da una serie di e-mail scambiate tra i membri del team e l’editor dell’International Journal of Climatology, ovvero la rivista in questione. Tutta una serie di accorgimenti atti ad evitare che il secondo lavoro apparisse in forma di replica, aprendo cioè il diritto di contro replica, generalmente ritenuto dirimente, agli autori del primo.
Regole piegate al proprio tornaconto, rifiuto del confronto diretto e controllo degli organi di revisione e pubblicazione il cui atteggiamento “teoricamente” dovrebbe essere sempre sopra le parti, per garantire a tutte le opinioni pari diritto di cittadinanza, essendo queste soggette all’unico imprescindibile giudizio del sistema di revisione paritaria. Già , peccato che il CRU Team ne aveva (ha, avrà ?) fatto il proprio impari strumento di prevaricazione. Il tutto condito dalle raccomandazioni dell’editor che le loro conversazioni restassero confidenziali.
Qui, su American Thinker, trovate tutta la cronologia della storia e tutte le mail scambiate nei mesi di “cospirazione climatologica”, perfettamente inserite nel contesto della discussione, tanto per non dimenticare che parecchi benpensanti all’indomani dell’esplosione del climategate, si sono affrettati a dire che il contenuto dei messaggi scambiati era stato decontestualizzato e strumentalizzato. Bene, ora, almeno per questo caso, sappiamo che non è così.
- A comparison of tropical temperature trends with model predictions – Douglass et al 2007 [↩]
- Consistency of modelled and observed temperature trends in the tropical troposphere – Santer et al 2008 [↩]
36 giorni contro 11 mesi….che ne pensa Pellegrini, strenuo sostenitore della correttezza del sistema peer review anche in ambito climatico? 🙂