Il commento lasciato da uno dei nostri lettori al post “Manipolazione Dati di Temperatura” mi ha fatto tornare in mente un argomento di cui si è parlato anche qualche tempo fa. Mi riferisco al gran discutere che si è fatto appena l’anno scorso intorno ad un lavoro pubblicato su Nature1. In questo studio gli autori hanno condotto un’analisi delle serie di temperatura di superficie degli oceani, giungendo alla conclusione che l’importante discontinuità -leggi shift verso il basso- che ne avrebbe caratterizzato l’andamento intorno alla metà degli anni ’40, è stata in realtà prodotta da errate procedure di misurazione. Bias tecnici sia positivi che negativi che, una volta corretti e pesati, porterebbero le SST ad un andamento molto più regolare e, soprattutto, molto più orientato ad un progressivo riscaldamento.
La questione non è banale, perchè le bizze fatte dalle temperature medie globali in quel periodo costituiscono un bel grattacapo per chi si occupa di modellizzarne l’andamento. Per quanti sforzi siano stati fatti, sin qui non c’è stato verso di insegnare ad alcun modello a riprodurre quelle anomalie. Di qui l’esigenza di indagare sui dati, per capire se per caso i modelli fossero corretti e le misurazioni lo fossero meno. Tenuto conto delle procedure alquanto naif che si adottavano allora per fare queste misurazioni il dubbio era legittimo, ma forse il risultato non era così scontato.
Le conclusioni di Thompson e compagni furono però piuttosto categoriche. La storia delle SST e quindi delle temperature medie superficiali globali di quel periodo avrebbe dovuto essere riscritta, con sommo gaudio dei modelli e onta degli operatori di allora. Ripeto, probabile. Sinceramente non ce li vedo i marinai di Sua Maestà o i Marines degli Stati Uniti a star molto dietro alle regole quando svolazzavano più pallottole che pappagalli tra le isole del Pacifico, però sarebbe stato interessante che chi ha condotto la ricerca avesse fatto qualche verifica incrociata.
Già , perchè rimestando sulla rete, mi sono imbattuto ieri in un interessante articolo di Bob Tisdale, nome noto tra i blogger climatici, in cui si dimostra chiaramente che, a meno che all’epoca non si potessero fare delle strane magie, forse quei dati di temperatura di superficie non erano così bisognosi di correzione. Perchè? Molto semplicemente perchè le tecniche con cui i marinai maneggiavano i secchi in cui immergevano i termometri non possono aver in alcun modo aver indotto alcun bias anche nelle misurazioni della copertura nuvolosa e della temperatura dell’aria, che presentano delle analoghe marcate discontinuità nello stesso periodo. A dircelo è il dataset del COADS. Diamo uno sguardo a qualche grafico.
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Questa è la discointinuità in questione.
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Questa è la copertura nuvolosa sugli oceani dal dataset del COADS.
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Questa è la temperatura dell’aria, sempre sugli oceani e sempre dal COADS.
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E queste sono ancora temperature dell’aria ma dal dataset del Met Office Historical Marine Air Temperature, versione MOHMAT4.3.
Non è questa la sede per lanciarsi in rischiose e difficoltose interpretazioni delle ragioni di questa contestualità di avvenimenti, però un legame deve esserci per forza, e non credo sia nei secchi usati dai marinai.
Per chi volesse accertarsi della fonte ed approfondire il discorso sull’attendibilità di questi dati, il post di Bob Tisdale si trova qui. E’ interessante anche vedere come alla fine la validità di questo dataset sia confermata da alcuni lavori firmati da ricercatori del CRU, mentre Phil Jones, che di quella unità di ricerca è il direttore, all’indomani della pubblicazione dell’articolo di Thompson aveva quantificato il bias indotto dalle procedure di misurazione in un -0,2°C, quanto bastava per riportare con le dovute correzioni i dati sulla retta via delle simulazioni.
E ora torniamo al commento del nostro lettore. Prima di pensare che ci sia qualcosa che non va nei dati grezzi, prima di provare a correggerli o, peggio, scartarli, si dovrebbe provare a pensare che i dati servono per confermare le teorie e non viceversa. In questo caso, ma siamo sicuri che è un caso, è accaduto esattamente il contrario.
- A large discontinuity in the mid-twentieth century in observed global-mean surface temperature -Â Thompson et al 2008 [↩]
orsu’ tutti insieme adesso…
http://iltafanoclimatico.wordpress.com/2009/12/17/italy-for-cru-canzone-di-natale-2009/
Scusate se intervengo con un commento troppo semplice: se il problema è quello di correlare una vecchia procedura di misura con l’attuale, perchè non ripetiamo in parallelo le tre procedure — quella moderna, quello con il secchio issato a bordo, e quella attraverso le prese d’acqua dei motori, e misuriamo l’eventuale scostamento sistematico?
D’accordo, dovremmo procurarci un vecchio “canvas bucket” (secchio di stoffa), ma abbiamo superato problemi sperimentali più ardui…
Poi, per poter decentemente pubblicare il tutto, modellizziamo anche il bucket, e così, con un paio d’ore di Cray, potremo anche verificare se abbiamo fatto bene l’esperimento di cui sopra.
Guido, grazie alla tua memoria che è tornata a ricordarsi di quei grafici di Tisdale.
Sono andato nel sito di Climate Explore e ho estratto i dati per l’Atlantico settentrionale (30 : 60 -90 : 00) ed il blip è lì sia nei dati MOHAMT (T dell’aria, 10.0° allora, 10.2° oggi) sia dati ICOADS (sst).
Quindi sono passato al Pacifico (30 : 60 -230 : -120) ed anche lì c’e la discontinuità (8.7° allora, 8.9° oggi.
Che le rotte delle navi sono state modificate nella stessa maniera sull’Atlantico e sul Pacifico? Improbabile, però occorre un’indagine ulteriore.
Per quanto riguarda il ’45 in Italia, Pietro, non ti preoccupare, l’anomalia di quell’anno non è solo di Pisa. Anche da quest’altra parte dell’Appennino si ebbe l’anno più secco di sempre e un estate rovente. Le cronache raccontano di alberi che seccavano nella pianura reggiana e di bestiame che soccombeva. Anche la fine della guerra in Germania è ricordata per il caldo fuori stagione.
Pietro, conserva i dati della facoltà di agraria (anche quelli di temperatura) ché in un prossimo futuro potrebbero servirci.
Il problema di quegli anni, e in particolar modo del 1945, è che molte stazioni di misurazioni furono abbandonate per la guerra…ma quelle che hanno continuato a funzionare hanno registrato dati impressionanti. Ultimamente mi sono imbattuto nella serie storica delle precipitazioni giornaliere della stazione di Pisa-Facoltà di Agraria, una delle poche rimaste in funzione in quel periodo. Le precipitazioni annue nel 1945 sono state di 378.2 mm a fronte di una media di 921 mm. Ci sono stati ben 211 giorni consecutivi senza pioggia o con piogge inferiori a 10 mm, praticamente quasi tre stagioni, primavera, estate, autunno senza precipitazioni efficaci.
Ora spero che a qualcuno non venga in mente di mettere in discussione i dati provenienti da una stazione che si trova, non nel campo di un contadino, né su una nave da guerra, ma presso la facoltà di agraria di Pisa.
Maggiore ma cosa si aspetta? Che dopo averci raccontato che i loro modelli sono infallibili ed incorruttibili, non trovino un metodo per accordare la Natura ai loro modelli e non il contrario? L’incapacità dei modelli di riprodurre il passato è uno degli argomenti forti di coloro che contestano le conclusioni dell’IPCC, mi sembra ovvio e naturale che soprattutto un periodico come Nature (molto attento alle questioni “politiche” della scienza) voglia far credere che se i modelli sbagliano è perché l’uomo misura male…
Ricordo che la peer-review esiste per evitare dati di calcolo grossolani: il post mi pare dimostri abbastanza chiaramente quanto siano grossolani gli errori degli autori, che fine ha fatto la peer-review in ambito climatologico? Sembrano tornare alla mente certe email del CRU in cui si voleva riformare il concetto di peer-review per accordarlo alle necessità dell’IPCC… 😀
Karl Popper le chiamava ipotesi ad-hoc.
Scusate se faccio l’avvocato del diavolo…
Ma posto che si parla di misurazioni/rilevazioni fatte da navi militari e commerciali secondo me la disuniformità 1940-1945 potrebbe essere spiegata dal fatto che in periodo non bellico le navi seguono di norma le principali rotte commerciali, in periodo bellico invece il traffico navale era notevolmente ‘sparpagliato’ per tutto l’atlantico per evitare gli U-boot tedeschi. Nel pacifico meno traffico navale ma situazione più o meno simile.
Ho cercato di verificare se si è tenuto conto in qulche modo di una correlazione tra misurazioni e rotte preferenziali seguite dalle navi ma non ne ho trovato traccia nei lavori che si basano su dati COADS (verifica di 10 minuti quindi abbiate pazienza per l’eventuale imprecisione).
Quello che mi aspettavo di vedere era un discorso del genere:
Periodo non bellico:
sulle principali rotte commerciali molti dati relativi a misurazioni di temperatura/nuvolosità e quindi margine di incertezza basso.
Al di fuori delle rotte commerciali pochi dati e quindi grado di incertezza alto.
Periodo bellico:
dati relativi misurazioni di temperatura/nuvolosità più uniformi dal punto di vista geografico e grado di incertezza ‘medio’.