La conferenza di Copenhagen è entrata praticamente subito nel vivo, ma la notizia che ha iniziato a circolare ieri sulle “modalità ” con cui si potrebbe decidere di organizzare e gestire l’enorme quantità di risorse finanziarie necessarie a sciogliere uno dei nodi negoziali più importanti, quello della contribuzione dei paesi ricchi verso i paesi poveri, ha definitivamente spostato l’attenzione dagli aspetti squisitamente climatici a quelli decisamente più pratici che da sempre governano il mondo.
Notizie che suscitano riflessione, come quella che ho ricevuto da un caro amico proprio la scorsa notte e che, con il suo permesso, sottopongo ai lettori di CM, consapevole del fatto che potrà suscitare senz’altro interesse. Buona lettura.
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Quando leggo notizie del genere, capisco che la pubblica discussione circa l’effettiva antropogenicità del riscaldamento globale, o la sua componente legata all’aumento del CO2 è ormai diventata assai irrilevante, forse un pò fastidiosa, ma non più di tanto. Ormai il dibattito è ben incanalato nella sua dimensione reale, quella finanziaria della allocazioni delle risorse, che veramente interessa ai politici: per correggere il “problema AGW” urgono adesso progetti importanti, che andranno finanziati secondo i normali schemi degli aiuti nord-sud — prendi risorse pubbliche del nord, offrile per realizzare progetti nel sud da parte di imprese del nord, e, facendolo, tenta di apparire come un benefattore.
Fra qualche mese queste decisioni progettuali saranno già in fase precontrattuale, con i fondi ormai irrevocabilmente impegnati, e resterà solo da decidere quali imprese realizzeranno quali progetti. I finanziamenti fluiranno, le imprese lavoreranno, qualche governante del sud incasserà le percentuali dovute, e alcuni dei progetti serviranno anche alle popolazioni di quei paesi.
A quel punto l’attenzione mediatica sul AGW, non più orchestrata, si rilasserà , e nei convegni e congressi, sul web, e negli uffici che erogano i finanziamenti per la ricerca si cercherà un nuovo Grande Tema da evidenziare. L’IPCC continuerà ad esistere e farà come la FAO, giustificando la sua esistenza in base, appunto, alla sua esistenza, e continuando a studiare il “problema”, dosando gli scenari secondo le esigenze dei suoi stakeholders.
Temo però che il numero degli “scienziati climatici” ai quali venisse chiesto: “ecco una lattina di Coca Cola, 333ml, misura le caratteristiche del liquido e poi dimmi: quanto CO2 in normal-cc3 verranno emessi se ci verso 2 g di zucchero?” e sappia dare una risposta calcolata sia ancora molto modesto. Credo quindi che non sia affatto una cattiva idea di continuare, ad esempio, a studiare a fondo il sistema oceano-atmosfera — siamo in tanti, sappiamo ancora troppo poco di quel sistema, e non ci piacciono le sorprese.
Certo, resteremo con l’amaro in bocca, chi (ingenuamente) pensava che la comunità scientifica godesse di una intrinseca integrità intellettuale ha dovuto porsi molte domande — anche sulla sua effettiva capacità di studiare e poi saper comunicare credibilmente le eventuali vere future emergenze.
Insomma, un late night thought che mi sono permesso di condividere.
Alvaro de Orleans-Borbon
“prendi risorse pubbliche del nord, offrile per realizzare progetti nel sud da parte di imprese del nord, e, facendolo, tenta di apparire come un benefattore”
Eccola qua la molla, che fa scattare il meccanismo!