Oggi affrontiamo il tema della rivisitazione dei dati climatici. Lo spunto naturalmente viene dalle recenti e tutt’altro che sopite polemiche sulla fuga di notizie in cui è incappato il team di ricercatori dell’Università della East Anglia, ma è pur vero che sul tema dell’attendibilità dei dati osservativi abbiamo già fatto qualche approfondimento. L’ultimo è quello che appena ieri ha riguardato le temperature di superficie degli oceani, ora proviamo a dedicarci alle terre emerse. Con riferimento a queste i problemi maggiori nascono in relazione alla disomogeneità spaziale e, se si parla di serie storiche, anche temporale delle osservazioni. A ciò si aggiunge la necessità di correggere i dati dai bias introdotti dai cambiamenti di posizionamento, procedure, strumentazione impiegata e ambiente circostante, fattori che nel tempo possono influenzare in modo anche pesante l’attendibilità delle informazioni.
Questi problemi vengono solitamente affrontati applicando delle procedure di validazione, correzione e interpolazione ai dati grezzi. Inevitabilmente in questo modo i dati vengono “sporcati”,ma si tratta di interventi irrinunciabili se di questi si vuol fare un uso statistico che abbia un senso o se è ad esempio necessario impiegarli pr testare e validare modelli di simulazione climatica. I “gestori” di dataset più accreditati e cui fano riferimento quasi tutti queli che si occupano di ricerca sul clima sono tre, il Goddard Institute for Space Studies della NASA (GISS), la Climatic Research Unit dell’Hadley Centre presso l’ Università della East Anglia ed il Global Historical Climatology Network della NOAA.
In termini di ricostruzioni storiche e di trend attuali, i risultati cui questi tre dataset sono giunti sono molto simili; questo non stupisce per due buone ragioni: le procedure impiegate per il trattamento dati non possono differire molto tra loro e soprattutto sia il GISS che la CRU impiegano per la maggior parte dati appartenenti al GHCN. Le tre serie quindi non sono indipendenti. Qui cade ad esempio la giustificazione che Phil Jones, capo della CRU, ha dato quando gli è stato chiesto se lo scandalo del climategate potesse in qualche modo riguardare anche  l’attendibilità delle loro ricostruzioni. Rispondendo che queste sono simili, se non uguali a quelle ottenute dagl altri gestori di dataset, egli di fatto non ha risposto.
Ad ogni buon conto i dati vanno comunque esaminati e visti da vicino sempre prima e dopo la cura, ovvero prima degl interventi di post-processing, per essere sicuri che non ci siano problemi di bias, sia esso tecnico o, come da più parti si è sospettato per quel che riguarda la CRU, ideologico. Vederli da vicino significa anche se necessario esaminarli uno ad uno, ovvero località per località . Al riguardo ad esempio esiste un progetto interessante condotto da Antony Watts, che su base volontaria ha raccolto i risultati di una serie di sopralluoghi effettuati su tutta la rete osservativa statunitense, scoprendo non poche -diciamo così- bizzarrie.
L’analisi di oggi ci porta in Australia, paese che neanche a dirlo, ha un peso tutt’altro che banale nell’ambito dell’indagine e del dibattito sui cambiamenti climatici. Quella che segue è l’immagine pubblicata sul 4° Rapporto IPCC del 2007 circa l’evoluzione delle temperature sulla parte settentrionale del continente.
Â
Certo l’Australia è lontana, ma stiamo comunque parlando di global warming e di un intero continente, in cui, tra l’altro, le condizioni climatiche sono spesso estreme e quindi fortemente condizionanti, con o senza cambiamenti ed a prescindere dalla loro origine. Le basi scientifiche dei rapporti IPCC vengono dal Working Group 1 del Panel, un gruppo quasi interamente costituito da ricercatori della UEA, ovvero provenienti dalla CRU. Che dati possono essere stati usati per costruire questa serie? Alla CRU usano i dati del GHCN e in questo dataset per l’Australia settentrionale ci sono tre stazioni. I dati grezzi, ovvero non sottoposti alla procedura di post processing hanno questo andamento:
Â
Â
Ma tre stazioni sono poche, occorre esaminare i dati grezzi di tutte le stazioni disponibili per l’area che arrivino all’anno 2000, anche se i dati non tornano indietro fino al 1900; si tratta di trenta località .
Â
Â
Anche trenta non sono moltissime, per cui si può provare a visualizzare tutti i dati disponibili per l’area, indipendentemente dall’inizio o fine delle serie.
Â
Â
Che i dati siano pochi o tanti, allo stato grezzo proprio non si riesce ad identificare alcuna somiglianza con il grafico pubblicato dall’IPCC, anzi, se c’è un trend questo è di leggera diminuzione, non certo di aumento. Perchè? Semplicemente perchè quel grafico è stato costruito dopo il post-processing delle informazioni, ovvero dopo le procedure di aggiustamento.
Una delle tre stazioni con record centenario contenuta nel GHCN, la cui serie ha certamente contribuito alla generazione del grafico IPCC è quella di Darwin, una stazione aeroportuale. Una serie di dati per molti aspetti ideale in quanto formata da più spezzoni sufficientemente omogenei, priva di particolari elementi che suscitino perplessità ed ampiamente documentata. Una serie che, con l’eccezione di una singolare discontinuità rilevata nel 1941, fornisce anche una valida palestra di test per valutare la necessità di procedere a correzioni. L’unica da fare sarebbe probabilmente proprio quella del 1941, ma nel dubbio, forse sarebbe meglio non fare proprio niente. Sicuro? No, diamo un’occhiata al post-processing effettuato dal GHCN.
Â
Â
Finalmente, dopo attenta ricerca e numerosi “massaggi” ai dati, salta fuori la fonte del grafico dell’IPCC. Da un malefico trend di diminuzione di 0.7°C per secolo, spunta un rassicurante trend positivo di 1.2°C per secolo, con il pregio inoltre di arrivare tutto o quasi nelle ultime decadi del secolo. E così, almeno per Darwin, ma, come si è visto anche per l’intero settore settentrionale di un continente, il Global Warming è servito. da notare che le altre due stazioni della serie centenaria non hanno subito “aggiustamenti”, pur presentando entrambe un andamento consistente con i dati grezzi della stazione di Darwin. In questo modo la media delle tre porta comunque al climarrosto ma è più presentabile. Se andate in estate a Darwin vi sembrerà quasi vero.
Ora, non è dato sapere se questi siano i dati effettivamente usati dalla CRU per produrre il famoso grafico, ma sappiamo che la fonte è il GHCN e sappiamo che Darwin è una delle tre stazioni che questo dataset propone per quella zona, con quella risoluzione temporale. Così come sappiamo che la serie è stata poderosamente “massaggiata”, tra l’altro non si sa bene come, visto che di stazioni limitrofe che potessero aiutare a sistemare i dati per l’intero periodo non ce n’erano.
In apertura abbiamo detto della necessità di sottoporre comunque le serie di dati grezzi al controllo qualità ed alle procedure di correzione ed omogeneizzazione, ove se ne ravvisi la necessità . In questo caso, non solo non è ben chiaro quale fosse l’esigenza, ma non si capisce nemmeno come si possa passare da un trend chiaro e definito ad una scala a pioli che sale solerte verso la deriva catastrofica del clima. Certo, stiamo parlando di una singola stazione, sarà certamente un caso isolato etc etc. Intanto, questo “massaggino” campeggia in bella mostra nelle pagine della bibbia del clima che cambia, quello stesso librone che in questi giorni stanno ripassando a CO2penhagen. Interessante.
Â
NB: leggete l’analisi completa di Willis Eschenbach su WUWTÂ .
[…] fa ho intitolato un post sul trend delle temperature in Australia con un po’ sberleffo “Darwinismo climatico“. Si trattava per lo più di un gioco di parole nato dal fatto che la stazione meteorologica […]
No, guardi: il primo grafico parte dal 1910 circa quindi nei successivi 3 grafici in blu dovrebbe togliere i primi 30 anni e vedrà che il trend invece è molto più somigliante con il primo grafico con uno scarto di circa mezzo grado.
Distinti Saluti
LG
No, guardi: il primo grafico parte dal 1910 circa quindi nei successivi 3 grafici in blu dovrebbe togliere i primi 30 anni e vedrà che il trend invece è molto più somigliante con il primo grafico con uno scarto di circa mezzo grado.
Distinti Saluti
LG
[…] E’ questo il caso ad esempio della stazione di Darwin in Australia, che abbiamo discusso qui e che alla fine è divenuta rappresentativa per una parte consistente di un intero continente. Ma […]
Mi occupo spesso di calcolo di statistiche in ambito meteo ed eseguo rilevazioni con una mia stazione e garantisco che costruire delle serie storiche omogenee e calcolare statistiche attendibili non è certo semplice, bisogna prestare attenzione a molti particolari, nonostante la strumentazione e la teconologia di oggi, figuriamoci quanto deve essere complicato gestire serie di dati a partire dalla fine del XIX secolo.
A prescindere da questo due considerazioni:
– è vero che non ci sono molte altre possibilità ma 3 stazioni per un’area vasta come l’Australia mi sembrano poche, c’è il rischio di incappare in microclimi particolari
– bisognerebbe informarsi su come mai è stata apportata quella modifica importante nel 1941, potrebbe esserci stato uno spostamento nella posizione della stazione; a occhio un crollo così improvviso in effetti non sembra molto giustificato in termini di oscillaioni naturali. In realtà anche dopo lo “shift” di quell’anno vengono apportate altre modifiche con segno “+” ma anche qui bisognerebbe capire l motivazioni
Un piccolo contributo con il mio Google-fu.
http://www.john-daly.com/darwin.htm
I have spoken to someone from the Climate section of the Darwin Bureau of Meteorology. They advise that the Darwin temperature station was moved to its present location at the radar station at Darwin airport in early 1941 (when the radar station was built). At this time the airport was very much “out in the scrub” with no surrounding development at all. Indeed old photos in books I have on the bombing of Darwin suggest (though not conclusively) that the runway was not even concrete or bitumen-surfaced at that time. Thus no urban heat island effect.
Avendo una piccola idea di come sono fatti gli aggiustamenti (ad esempio quello delle stazioni di Central Park in New York – c’è un articolo su http://wattsupwiththat.com/ ) immagino che abbiano aggiunto l’effetto isola di calore cittadino. Perché aggiunto invece di toglierla? Perché Darwin è una città di 100.000 abitanti, ma suddivisa in molte città satelliti, e l’areoporto non ha praticamente nulla intorno. Quindi manca l’effetto isola di calore.
Se questi hanno lo stesso standard di lavoro del CRU, visto dal file Harry_readme.txt, può essere benissimo che qualcuno abbia ritoccato l’effetto per vedere una omogeneizzazione dei dati facendo finta che fossero tutte sottoposte all’effetto isola urbana. Poi è arrivato qualcun’altro a studiare e ha preso i dati “massaggiati” dal primo come quelli corretti “non massaggiati” e ci ha aggiunto un’altro effetto isola urbana (senza preoccuparsi di guardare la struttura urbanistica reale della città ).
Ovviamente, aspettandosi il risultato, non è mai andato a riverificarli.
[…] […]