Quest’estate mi è capitato di leggere su “Le Scienze” l’articolo
Quando il rumore non disturba
di R. Benzi, G. Parisi e A. Vulpiani, da ora Benzi et al., 2024.
L’articolo è stato fonte di profonde riflessioni che mi hanno portato a riconsiderare ed a sistematizzare tutta una serie di idee, pensieri e riflessioni che ho avuto modo di sviluppare in oltre dieci anni di attività su questo blog. Diciamo che questo mio articolo non sarà un commento di una pubblicazione più o meno recente e più o meno innovativa, ma una riflessione “ad alta voce” sui temi che ho condiviso con i lettori di CM nel corso degli anni.
Benzi et al., 2024 mi ha fatto ricordare un vecchio scritto che pubblicai, qui su CM, circa un decennio fa. Nell’articolo analizzavo il sistema climatico terrestre e giungevo alla conclusione che esso è un sistema dinamico non lineare caotico. In uno dei commenti Tore Cocco, allora assiduo frequentatore del blog dissentiva da questa conclusione. A suo avviso il sistema climatico terrestre è un sistema non lineare autorganizzato allo stato critico (S.O.C.). I terremoti sono, per esempio, manifestazioni di un sistema dinamico non lineare di questo tipo.
Non si tratta di una questione di lana caprina, in quanto le differenze tra i due tipi di sistemi non sono solo di tipo matematico, ma, soprattutto, di tipo fisico.
Se il sistema climatico è un sistema dinamico non lineare caotico, esso, nel mondo reale, genera un rumore bianco. Se esso è, invece, un sistema autorganizzato allo stato critico, le grandezze che lo caratterizzano e che noi misuriamo, hanno un aspetto frattale e, quindi, non sono rappresentative di un rumore bianco.
In un articolo scientifico pubblicato qualche anno dopo e che io commentai, qui su CM, furono analizzate le serie delle temperature terrestri, determinate in base ai dati di prossimità, e gli autori giunsero a delle conclusioni sorprendenti. Durante gli interglaciali la temperatura globale terrestre presenta un’invarianza di scala: tende a ripetersi in modo simile a sé stessa, indipendentemente dalla risoluzione temporale applicata. Diciamo che ha aspetto monofrattale, come, per esempio, un cavolfiore o una linea di costa la cui struttura è simile a qualunque scala di osservazione. Nei periodi glaciali, invece, la temperatura presenta aspetto multifrattale, nel senso che non è caratterizzata da invarianza di scala.
Sulla base di questo risultato dovremmo concludere che il sistema climatico è un sistema autorganizzato allo stato critico perché non genera un rumore bianco ed il segnale prodotto è frattale. La cosa non è, però, così immediata, in quanto anche un sistema non lineare caotico può, in opportune circostanze, generare un rumore diverso dal rumore bianco, addirittura periodico o simil-periodico. Di questo ci occuperemo, però, più avanti, perché vorrei dedicare ancora qualche parola alle differenze tra i sistemi autorganizzati e quelli caotici.
Nei sistemi autorganizzati le grandezze caratteristiche devono essere viste come delle variabili le cui interazioni determinano lo stato del sistema stesso. Nel caso del sistema climatico le variabili in gioco sono moltissime e per molte di esse non conosciamo le leggi di variazione. Quando esse interagiscono, determinano una quantità enorme di stati ed il sistema diventa del tutto imprevedibile, per il semplice fatto che è troppo complesso per essere descritto matematicamente.
Nei sistemi caotici lo stato del sistema è determinato dalle forzanti. La concentrazione di diossido di carbonio atmosferico, per esempio, costituisce una variabile del sistema autorganizzato ed una forzante del sistema caotico. Lo stato futuro di un sistema caotico, inoltre, dipende dalle condizioni iniziali e, quindi, nel lungo periodo diventa imprevedibile, come, ad esempio, il tempo atmosferico.
Alla fine dei conti tanto i sistemi autorganizzati che quelli caotici hanno una caratteristica comune, ovvero l’impossibilità di prevederne il comportamento nel lungo periodo anche se le cause di questa imprevedibilità sono diverse.
Ed ora torniamo al problema dei sistemi dinamici non lineari caotici ed al rumore da essi generato che è il fulcro di Benzi et al., 2024. Come già accennato, essi generano un rumore bianco, ma in opportune circostanze sono capaci di generare un rumore diverso da quello bianco, in quanto esistono forzanti esterne, caratterizzate da andamento periodico, in grado di “colorare” il rumore generato dal sistema.
La cosa non è di immediata comprensione, per cui bisogna partire un po’ da lontano, addirittura dal moto browniano. In qualunque testo di fisica elementare si descrive il fenomeno e l’esperimento fondamentale condotto da Brown nella prima metà del diciannovesimo secolo che lo mise in evidenza. Si tratta, lo ricordo a me stesso, del moto dei grani di polline dispersi in un liquido. All’inizio fu considerato una semplice curiosità, ma nel corso degli anni esso generò una serie di conseguenze che hanno interessato molteplici branche scientifiche. Il moto dei grani di polline in un liquido, descritto da Brown, è di tipo caotico e la spiegazione del moto erratico di tali grani, dimostra, per esempio, l’esistenza delle molecole e, quindi, degli atomi. Oggi è un fatto assodato, ma nel corso dell’ottocento la cosa non era così pacifica. Gli scienziati si dividevano in due campi: coloro che sostenevano l’esistenza delle molecole e, quindi degli atomi (Boltzmann, per esempio) e coloro che consideravano atomi e molecole alla stregua di espressioni utilizzate dai chimici, ma che non esistevano materialmente (scuola energetista). Nel caso del moto browniano il moto irregolare del grano di polline, elemento macroscopico, è determinato dal moto caotico delle molecole del liquido, elementi microscopici, come intuì, tra gli altri e, probabilmente, indipendentemente dagli altri, il fisico italiano Giovanni Cantoni. Fu solo nel 1905, però, che Einstein riuscì a collegare il cammino quadratico medio di un grano di polline con il numero di Avogadro e, quindi, con il moto delle molecole.
Qualche tempo dopo P. Langevin riuscì a modellare matematicamente il moto browniano mediante un’equazione differenziale divenuta famosa e che, nelle sue particolarizzazioni, è in grado di descrivere una molteplicità di fenomeni fisici e non solo:
L’equazione descrive la forza che agisce su una particella di massa m come somma vettoriale di una forza viscosa proporzionale alla velocità della particella e di una forza generata dall’urto con le molecole del fluido in cui la particella si muove.
Mentre la forza viscosa è di tipo deterministico, la forza generata dall’urto delle molecole del fluido è di tipo stocastico ed ha una distribuzione di probabilità gaussiana. In altre parole la forza dovuta all’urto delle molecole del fluido con il grano di polline “disturba” il moto del grano e, quindi, può essere assimilato ad una sorta di rumore. Per questi motivi l’equazione differenziale di Langevin è detta stocastica.
Il significato concettuale dell’equazione di Langevin è che se esistono due cause di un fenomeno con tempi caratteristici molto diversi, quella più lenta può essere descritta in termini deterministici e quella più rapida in termini stocastici.
Analizziamo, ora, un fenomeno diverso dal moto browniano. Immaginiamo di avere una tavola in cui sono presenti due buche con profilo assimilabile ad un paraboloide, separate da un setto, come nello schema seguente:
Immaginiamo, infine, che in una delle due buche sia presente una pallina di massa m. Supponiamo, ora, che la tavola vibri e che la vibrazione sia di tipo caotico. Per effetto delle vibrazioni la pallina tende a spostarsi verso l’alto, percorrendo le pareti della buca in cui si trova, ma la forza peso della pallina e le forze di attrito con le pareti della buca, si oppongono al moto della stessa. Può capitare, comunque, che una serie di scosse fortunate sia in grado di far saltare la pallina dalla buca di sinistra in quella di destra. La pallina è passata da uno stato A caratterizzato da una certa energia potenziale, ad uno stato B caratterizzato da un’energia potenziale diversa.
Ci troviamo ancora una volta di fronte ad un fenomeno caratterizzato da una causa deterministica lenta (forza di gravità e forza di attrito) ed una causa stocastica veloce (vibrazione del supporto). Il fenomeno è descrivibile da un’opportuna equazione differenziale stocastica. Ovviamente il tempo medio occorrente per avere il salto della pallina dalla condizione A a quella B, dipende dall’altezza del punto di valico tra le due buche: maggiore è l’altezza, maggiore è il tempo medio necessario al salto.
Da un punto di vista energetico si può affermare che il tempo medio necessario a far passare la pallina da una buca all’altra dipende dalla differenza di energia potenziale tra il fondo della buca ed il punto di valico. Il fisico olandese H. Kramers nella prima metà del ventesimo secolo riuscì a collegare il tempo di una reazione chimica e, quindi, la velocità della reazione, alla barriera energetica che bisogna superare affinché la reazione abbia luogo. Sulla base dei risultati ottenuti, il tempo necessario affinché la reazione abbia luogo, è proporzionale all’esponenziale
in cui ΔE è la barriera energetica, kb è la costante di Boltzmann e T è la temperatura.
Dal punto di vista concettuale la differenza di energia che bisogna superare per ottenere una reazione chimica può essere assimilata al dislivello tra il fondo della buca ed il punto di valico, la temperatura dei reagenti alle vibrazioni del tavolo, ovvero al rumore.
La temperatura che compare nell’esponenziale è la responsabile dell’agitazione termica delle molecole e, quindi di quegli urti che, secondo il modello meccanicistico delle reazioni chimiche, sono responsabili delle reazioni stesse.
Per inciso si fa notare che la relazione precedente è, a meno del segno dell’esponente, formalmente equivalente alla legge di Arrhenius che consente di calcolare la costante specifica della velocità di una reazione chimica.
Per i sistemi microscopici, quindi, l’agitazione termica delle molecole può determinare, come nel caso dei grani di pollini o delle reazioni chimiche, conseguenze a livello macroscopico. Questi meccanismi possono essere trasferiti anche a livello macroscopico e, quindi, determinare il comportamento di sistemi come quello climatico? Secondo Benzi et al., 2024 la risposta è positiva.
Come esempio di sistema macroscopico in cui è possibile individuare un meccanismo di funzionamento in cui sono presenti cause deterministiche e stocastiche, Benzi et al., 2024, cita il sistema di Rayleigh-Benard. Si tratta di un sistema costituito da un liquido confinato in un contenitore cilindrico, le cui basi sono tenute a temperature diverse (quella inferiore a temperatura maggiore di quella superiore, ovvero “riscaldamento dal basso”). Detta delta-T la differenza di temperatura, costante, tra le due basi del cilindro, si può notare un funzionamento molto diverso del fluido contenuto nel cilindro. Per valori piccoli della differenza di temperatura tra le basi del cilindro, il calore si trasmette quasi esclusivamente per conduzione (vibrazione delle molecole); man mano che la differenza di temperatura aumenta, si innescano i moti convettivi che, per valori più elevati della differenza di temperatura, divengono turbolenti. Essendo il liquido confinato, in ogni caso si vengono a creare delle celle convettive caratterizzate da un verso di circolazione (orario o anti orario). Per il sistema i due versi di rotazione sono indifferenti, in quanto non esiste alcuna causa in grado di orientare il verso di rotazione del liquido in un senso, piuttosto che in un altro. Se le osservazioni si prolungano in modo sufficiente nel tempo, si può addirittura verificare un’inversione del senso della rotazione: da orario ad antiorario e viceversa. Questo fenomeno è tipico dei sistemi dinamici non lineari caotici ed è conosciuto in letteratura come intermittenza.
Utilizzando le equazioni di Navier-Stokes (generalmente non risolvibili analiticamente) si può simulare numericamente il moto del fluido e, quindi, individuare un campo di velocità nel tempo o nello spazio. Le simulazioni consentono di vedere che la turbolenza del moto è in grado di creare un campo di velocità caratterizzato da valori medi piuttosto uniformi con dei “picchi” di velocità distribuiti in modo casuale nello spazio o nel tempo. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, il fenomeno non è caratterizzato da piccole oscillazioni dei valori delle velocità intorno ad un valore medio, ma da oscillazioni estremamente violente e, come già scritto, del tutto casuali. Il fenomeno mette in evidenza un comportamento peculiare dei sistemi dinamici non lineari stocastici: viene violato il teorema del limite centrale.
Tutti siamo legati profondamente al concetto di media, o, per essere più precisi, di valor medio di una certa grandezza (fisica, economica, sociale, ecc.) ed alla distribuzione gaussiana della probabilità dei suoi valori: il valore medio è quello più probabile e tutti quelli che differiscono da esso sono via via meno probabili, man mano che ci allontaniamo dal valore medio. Quando le grandezze che si prendono in considerazioni sono funzione di un’altra grandezza (ad esempio il tempo), il teorema del limite centrale ci consente di giungere alla conclusione che la differenza tra due valori della variabile dipendente, è circa uguale ad una potenza dell’incremento della variabile indipendente, il cui esponente è un numero reale, ovvero potrebbe non essere intero. Nei sistemi dinamici non lineari come quello di Rayleigh-Benard la turbolenza genera delle distribuzioni di probabilità di tipo multifrattale, in quanto l’esponente dell’incremento della variabile indipendente deve assumere un’infinità di valori, per poter rappresentare tutti i possibili stati del sistema.
Ci sarebbe ancora tanto da scrivere, ma ora credo sia il momento di passare al sistema che più interessa i lettori di questo blog, ovvero il sistema climatico terrestre. Il primo modello climatico ideato da K. Hasselmann nei primi anni settanta del secolo scorso, analizzava le temperature oceaniche. Il modello riusciva a simulare in modo accettabile la variabile considerata (temperatura superficiale oceanica) se si introduceva un processo stocastico come il vento atmosferico. Il modello era costituito, in linea di principio, da una equazione differenziale stocastica di Langevin. Esso è stato il prototipo da cui sono stati sviluppati i complessi modelli climatici attualmente in uso.
Qualche anno dopo, G. Parisi ed il suo gruppo di ricerca elaborarono il concetto di risonanza stocastica applicata ai sistemi dinamici non lineari caotici come, ad esempio, quello climatico. Come mette in evidenza Benzi et al., 2024, la risonanza stocastica fu utilizzata per spiegare le glaciazioni terrestri e, in particolare, il caso delle glaciazioni che hanno caratterizzato il clima terrestre nell’ultimo milione di anni. In questo arco temporale le temperature medie terrestri hanno oscillato di circa dieci gradi centigradi con un andamento simil-periodico di circa centomila anni. Secondo Milutin Milankovitch la causa delle glaciazioni è di tipo astronomico ed è determinata essenzialmente dalla variazione dell’irradiazione solare che raggiunge la Terra a causa della nutazione e della variazione dell’eccentricità dell’orbita terrestre. Quest’ultima varia con un periodo di circa centomila anni che è perfettamente correlato con il periodo delle glaciazioni terrestri. Si sa, però, che correlazione è diversa da causazione, per cui il meccanismo potrebbe essere un altro e la correlazione è solo un aspetto curioso del fenomeno. Introducendo la variazione dell’irraggiamento solare di origine astronomica in un modello climatico semplificato, si è visto che la variazione dell’intensità dell’irradiazione solare provocata dai moti astronomici terrestri, è tale da determinare una variazione delle temperature terrestri di pochi decimi di grado, variazione che non riesce a spiegare le glaciazioni, durante le quali la variazione di temperatura è dell’ordine delle decine di gradi. Giorgio Parisi e collaboratori proposero un modello matematico che consentiva di spiegare il fenomeno mediante la risonanza stocastica. E’ appena il caso di sottolineare che il mondo scientifico trattò la cosa con estrema supponenza e fu molto difficile trovare una rivista scientifica disposta a pubblicare la ricerca. Successivamente gli scienziati si ricredettero e, oggi, l’articolo del gruppo di ricerca di Parisi è considerato fondamentale e la risonanza stocastica è utilizzata in moltissime branche della scienza e della tecnologia.
Se simuliamo il sistema climatico terrestre con un modello matematico che non tenga conto della variabilità dell’irradiazione solare prodotta da cause astronomiche, esso si comporta come un sistema di Benard: le glaciazioni sono determinate da fluttuazioni casuali del sistema climatico, allo stesso modo in cui cambia il verso di rotazione del liquido nel sistema di Benard in presenza di turbolenza. Il problema è che le glaciazioni hanno un andamento periodico e non sono casuali come le fluttuazioni del sistema di Benard. Le fluttuazioni del sistema climatico possono assumere andamento periodico, però, se si verificano opportune condizioni e tali condizioni sono elencate in Benzi et al., 2024.
L’ipotesi posta a base della teoria di Parisi e colleghi è che il clima terrestre oscilli tra uno stato glaciale ed uno stato interglaciale. Tale ipotesi è sicuramente vera, come dimostrano i dati di prossimità delle temperature terrestri nell’ultimo milione di anni: esse oscillano tra un valore glaciale ed uno interglaciale che differiscono di circa 10°C. Facendo girare il modello climatico senza la forzante astronomica, si ottiene un segnale di temperatura in cui gli stati glaciali ed interglaciali si succedono in maniera caotica. Se facciamo girare il modello introducendo la forzante astronomica e moduliamo, mediante opportuni parametri, la parte stocastica del sistema in modo tale che le oscillazioni glaciale-interglaciale, siano caratterizzate da un intervallo temporale medio di circa cinquantamila anni, ovvero la metà del periodo della forzante astronomica, il segnale di temperatura emesso dal modello è una variazione di temperatura di circa dieci gradi e con un periodo di circa centomila anni, ovvero in fase con le oscillazioni della radiazione solare incidente di Milankovitch. Il rapporto uno a due tra il tempo medio delle oscillazioni stocastiche ed il periodo della forzante astronomica, spiega l’utilizzo del termine “risonanza”, mentre la casualità del comportamento del sistema, spiega l’aggettivo utilizzato per caratterizzarlo: risonanza stocastica.
Affinché ciò accada, però, è necessario che il processo “turbolento” (oscillazioni casuali del sistema climatico) sia caratterizzato da un esponente multifrattale, come già discusso nel caso del sistema di Benard.
Ricapitolando, una causa lenta (variazione dell’irraggiamento solare conseguente ai moti astronomici terrestri), in presenza di una causa veloce (oscillazioni casuali del sistema climatico terrestre e, quindi, rumore), sono in grado di determinare un comportamento periodico (glaciazioni) del sistema climatico terrestre, assunto come un sistema dinamico non lineare caotico, attraverso il meccanismo della risonanza stocastica. In altre parole il rumore bianco, generato dal comportamento caotico del sistema, è in grado di amplificare in maniera esponenziale le oscillazioni dell’irraggiamento solare prodotte dai moti astronomici della Terra. In questo modo il sistema climatico terrestre genera un segnale frattale non solo nello spazio delle fasi, ma anche nel “mondo reale”.
Sembrerebbe tutto risolto, quindi, ma c’è un ma, anzi parecchi. Innanzitutto le forzanti: non esiste una sola forzante, ma molte forzanti, per cui il sistema è molto più complicato di come lo abbiamo descritto sino ad ora. Restando nell’ambito delle glaciazioni, qualche anno fa fu pubblicato un articolo che io considero fondamentale (Tzedakis et al., 2012) che esaminava il succedersi delle glaciazioni e degli interglaciali: un interglaciale si innesca quando tutta una serie di parametri, casuali e non, sono in fase tra di loro. I parametri in questione sono di sia di tipo esogeno o astronomico (precessione, obliquità, eccentricità) che di tipo endogeno (concentrazione atmosferica di diossido di carbonio, irradiazione solare, copertura nuvolosa, polveri atmosferiche, circolazione termoalina, attività umane, ecc.). Tzedakis et al., 2012 concludeva che un interglaciale si innesca solo quando tutti i parametri in gioco sono perfettamente in fase tra di loro: basta che uno solo sia sfasato e la glaciazione salta, a dispetto della risonanza stocastica.
Ipotizzando corretta la teoria della risonanza stocastica, sorge un ulteriore problema: il rumore stocastico del sistema climatico è in grado di amplificare solo la forzante astronomica o ogni altra forzante? Potrebbe, secondo il mio modesto avviso, ma non credo che esitano studi definitivi in materia, per cui non siamo sicuri che la caoticità intrinseca del sistema possa amplificare una qualsiasi forzante, come, ad esempio, la concentrazione di diossido di carbonio atmosferica, o la variazione dell’intensità della radiazione solare incidente conseguente ai cicli solari e via cantando.
A questo punto torniamo al problema iniziale sollevato da Tore Cocco tanti anni fa. Se la risonanza stocastica non è in grado di garantire un segnale frattale generato dal sistema climatico terrestre, allora esso non può essere caotico, ma autorganizzato allo stato critico e, quindi, sensibile alla sua storia. Un grattacapo di non poco conto che, come si può vedere, in oltre un decennio non è stato ancora risolto e forse non lo sarà neanche nel prossimo decennio. Arriveremo a scrivere la parola fine? Personalmente lo spero, ma per ora siamo ancora lontani dall’epilogo.
Permettetemi un commento out of scope.
Grazie per l’articolo, e soprattutto per avermi permesso di provare il brivido di aver compreso un contenuto che non mi sembra certo banale.
Il fatto che un persona di media cultura scientifica come me sia riuscito a ottenere questo risultato non e’ merito mio ma di chi ha scritto il testo.
Non so quale sia la professione di Donato Barone ma, semmai fosse un docente, invidio i suoi studenti.
Un’articolo così differente – e interessante – grazie !
Negli anni 70, frequentando il corso di Misure Elettriche, ricordo una tecnica per quel tempo innovativa, chiamata “dithering”, basata sull’iniezione, nel sistema oggetto della misura, di un segnale periodico “sporco” (oscillazione + rumore) per obbligare il sistema a superare delle frizioni interne (“frizione” non intesa in senso puranente neccanico) e rivelare un segnale sottostante di natura periodica, o quasi.
Qui il dithering sembrerebbe naturalmente presente nel sistema climatico, e, rovesciando la tecnica descritta, rivelerebbe, scatenandole, le glaciazioni quasi-periodiche altrimenti latenti.
Una riflessione un pò “pindarica”, ma forse legittima, in un tema che sembra all’inizio di un percorso scientifico molto prometttente.
Caro Donato,
grazie per l’analisi molto interessante, circa la quale rimpiango di non avere il tempo per poter approfondire adeguatamente la tematica, anzitutto leggendo gli articoli che hai citato.
Mi domando poi se non sia possibile affrontare il problema del ciclicità glaciali con un modello in scala del sistema climatico (fluido in un cilindro rotante) come in passato se ne facevano.
Ciao.
Luigi
Dal punto di vista logico è l’interglaciale a saltare e, quindi, la fase glaciale continua.
Mi scuso per il lapsus e ringrazio il lettore che ha sottolineato l’errore.
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Il commento offre, però, l’opportunità di precisare meglio il concetto che volevo esprimere. Nel testo dell’articolo ho utilizzato a più riprese il concetto di “quasi periodico” con riferimento all’alternarsi delle glaciazioni e degli interglaciali. Ciò significa che tali periodi climatici si succedono in modo diverso dalle oscillazioni di un pendolo o di un oscillatore armonico, nel senso che il periodo del fenomeno può variare di qualche migliaio di anni in più o in meno. Rispetto ai centomila anni un migliaio d’anni rappresenta una differenza dell’ordine dell’uno per cento, quindi una bazzecola.
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Nell’ultimo milione d’anni le glaciazioni si sono alternate in modo abbastanza regolare, ma ciò non significa che sia stato sempre così o che sarà sempre così, ecco perché il lavoro di Tzedakis è importante: pone un limite alla risonanza stocastica quale esclusivo elemento capace di innescare le oscillazioni glaciali e, in ultima analisi, alla caoticità del sistema climatico nel suo complesso.
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Del resto la ricostruzione storica del succedersi dei periodi glaciali ed interglaciali per periodi anteriori ad un milione di anni fa, non evidenziano la “regolarità” rilevata nell’ultimo milione di anni.
https://it.wikipedia.org/wiki/Era_glaciale#/media/File:Storia_Ere_Glaciali_ed_Ere_Integlaciali.jpg
Ciao, Donato.
“…concludeva che un interglaciale si innesca solo quando tutti i parametri in gioco sono perfettamente in fase tra di loro: basta che uno solo sia sfasato e la glaciazione salta, a dispetto della risonanza stocastica.”
Non ho capito se sia la glaciazione o l’inizio della fase interglaciale a saltare in caso venga a mancare uno dei parametri…
Grazie in anticipo per la risposta e complimenti per l’articolo.