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Alcune riflessioni sull’alluvione del Lamone del 17-19 settembre 2024

di Gianluca Alimonti, Gabriele Fontana, Luigi mariani e Simone Parisi

Fra il 17 e il 19 settembre il bacino del fiume Lamone (figura 1) è stato colpito da una alluvione per la terza volta in due anni, dopo i due eventi del 2023 (1-2 maggio e 16-17 maggio). L’analisi dei dati orari delle stazioni pluviometriche di Arpa Emilia Romagna evidenzia che:

  1. la pioggia mediamente caduta sul bacino nel corso dell’evento di settembre 2024 si è concentrata per la maggior parte sul giorno 18 (180.6 mm – 71%) seguito dal 17 (51.7 mm – 20%) e dal 19 (22.1 mm – 9%) (tabella 1)
  2. Il valore pluviometrico di picco nelle 24 ore è stato raggiunto a San Cassiano con 288 mm fra le 22 del 17 e le 21 del 18 e a Brisighella con 236.6 mm fra le 20 del 17 e le 19 del 18.
  3. la massima piovosità sull’intero evento è stata registrata dalle due stazioni di San Cassiano con 360.0 e Brisighella con 323.8 mm. I massimi pluviometrici si sono dunque verificati nella bassa collina (fra 150 e 250 m di quota) e non nell’alta valle del fiume Lamone.
  4. le intensità massime orarie raggiunte nell’evento del 2024 sono risultate sensibilmente superiori a quelle dei due eventi del 2023. La tabella 2 evidenzia un massimo assoluto orario di 16.6 mm per l’evento del 1-2 maggio 2023 di 23,1 mm per quello del 16-17 maggio 2023 e di 45.6 mm per quello del 17-19 settembre 2024.
Figura 1 – Il bacino del fiume Lamone

In figura 2 si riporta la serie ricostruita da Arpa Emilia Romagna dei massimi pluviometrici annui di 2 giorni consecutivi per il bacino del Lamone chiuso a Reda (10 km a Nordest di Faenza) a confronto con le piogge massime registrate nei due eventi alluvionali del 2023 (1-2 maggio e 16-17 maggio) e del 2024 (17-18 settembre). In particolare il dato relativo all’evento del 2024 (232.2 mm) è una stima effettuata dagli scriventi[1] e che trova conferma nella stima di 236.6 mm riportata report speditivo ARPA (2024). Emerge che due dei tre eventi considerati e cioè quello del 16-17 maggio 2023 con 199 mm e quello del 17-18 settembre 2024 con 232 mm, sono rispettivamente superiori de 10% e del 33% rispetto al massimo assoluto precedente per piogge di 2 giorni che era di 174 mm ed era stato raggiunto nel 1939.

Figura 2 – Diagramma valori medi per il bacino del Lamone delle piogge massime annue di due giorni. Dati della Commissione istituita dalla Regione Emilia Romagna (2023) aggiornati con il dato dell’evento del 2024.
  1. Aspetti circolatori e conseguenze a livello pluviometrico

La topografia media del livello barico di 850 hPa del 18 ottobre (figura 3) mostra la presenza di una cintura anticiclonica anormalmente collocata fra le Isole Britanniche e la Russia e che guida verso il centro del Mediterraneo masse d’aria fresca da est, le quali alimentano una depressione mediterranea centrata sul medio Tirreno e che influenza in modo più diretto le regioni centro – settentrionali. In particolare la Romagna è esposta a un flusso da Est – Nordest che ha dato luogo a effetti di intensificazione orografica sopravvento allo spartiacque dell’Appennino romagnolo. La depressione mediterranea all’origine dell’evento ha avuto una vita prolungata: generatasi il giorno 12 sul golfo ligure come minimo di cut-off da una saccatura protesa dalla Scandinavia verso il Golfo di Genova si è poi mossa verso Est portando il proprio centro sul Balcani dal giorno 14. In seguito la depressione ha mostrato un moto retrogrado che l’ha riportata verso l’areale tirrenica riattivandola. Fra i fattori che hanno portato alla riattivazione della depressione mediterranea l’ARPAE SIM nella sua analisi speditiva emessa il 23 settembre scorso (ARPAE Sim, 2024) segnala le elevate temperature della superficie dell’Alto Adriatico che fino al 15 settembre erano di almeno 3-4 gradi superiori alla media del periodo.

Figura 3 – Topografia media del livello barico di 850 hPa per 17 e 8 settembre 2024. Si noti il minimo depressionario cetrato sul Tirreno e che è all’origine dell’evento alluvionale.

Le aree alluvionate

Le foto in figura 6 e 7 illustrano le aree allagate a seguito dell’evento del 2023 e di quello del 2024. Balza all’occhio che la superficie inondata nel 2024 è molto inferiore rispetto a quella del 2023, nonostante la precipitazione del 17-19 settembre sia stata maggiore con intensità orarie sensibilmente più elevate rispetto a quella dei due singoli eventi del 2023. Tutto sommato i danni sono stati largamente inferiori a quelli del 2024 e se non ci fosse stato il tappo di tronchi a Boncellino ed il crollo dell’argine a Traversara forse non saremmo neanche a parlare dell’evento del 2024.

Ciò porta a due considerazioni:

  1. nel 2023 il territorio ha evidentemente risentito della vicinanza dei due eventi e dunque del fatto che ad esempio i suoli erano stati saturati dal primo evento il che ha ridotto sensibilmente la loro capacità d’invaso
  2. nel 2024 la minor superficie inondata potrebbe essere merito delle opere di difesa e di pulizia degli alvei effettuate nei 16 mesi intercorsi tra le due inondazioni, il che dovrebbe farci riflettere sull’importanza della prevenzione e delle opere di manutenzione del territorio.

Ulteriori spunti di riflessione

I dati pluviometrici dei 3 eventi del 2023 e 2024 sono impressionanti perché sensibilmente superiori al precedente massimo storico che è quello del 1939 (figura 2). Curioso anche constatare il fatto che l’analisi visuale dei diagrammi dei diversi bacini romagnoli presentati nel Rapporto della regione Emilia Romagna (2023) evidenzia trend per lo più negativi nel periodo compreso fra il 1939 e il 2022. In sostanza ci domandiamo se il 2023 non possa aver segnato un cambio di fase brusco per quanto attiene la pluviometria del bacino del Lamone e vedremo se quanto osservato si protrarrà nei prossimi anni; in ogni caso questo dovrebbe ancor più spingerci a serie politiche di prevenzione, alias adattamento.

A nostro avviso il messaggio che oggi sarebbe corretto dare alla popolazione è che il nostro è un territorio per sua natura costantemente esposto al rischio di piogge alluvionali per i seguenti motivi:

  • Vicinanza di un mare caldo (il Mediterraneo) che è fonte di grandi masse di aria caldo-umida
  • Presenza di una orografia imponente (Alpi, Appennini)
  • Vicinanza di regioni sorgenti di masse d’aria fredda (Atlantico settentrionale, Artide, Siberia) e che con una certa frequenza irrompono sul Mediterraneo generando perturbazioni anche in forma di vortici.

Per comprendere il fatto che sul territorio nazionale il rischio è persistente basta riandare con la memoria agli oltre 900 mm in 24 ore dell’alluvione di Genova dal 1970 o agli eventi estremi dell’ottobre 1951 determinati da una depressione mediterranea attiva sul basso Tirreno: 1366 mm in 4 giorni a Nicolosi, oltre 1536 a Sicca d’Erba in 5 giorni e gli oltre 1500 in 3 giorni in Calabria[1]. Per inciso Il 1951 costituisce un interessantissimo caso di studio in quanto fu un annus horribilis, come dimostra la successiva alluvione del Polesine registrata in novembre. Peraltro ci domandiamo come verrebbero commentati dai media odierni eventi di intensità simile a quelli che si verificarono nel 1951.

Alla luce delle peculiarità che rendono il nostro Paese costantemente esposto al pericolo di piogge estreme la prudenza dovrebbe essere massima, e qui si pensa a quel che non ci dovrebbe essere (tane di nutrie/tassi/istrici sugli argini e/o alvei intasati da vegetazione arborea o legname) o a quello che manca (dighe ben manutenute, vasche di laminazione, sistemazioni idraulico agrarie o idraulico forestali curate, piani di protezione civile che i cittadini conoscano davvero, ecc. ecc.).

Un ulteriore elemento di riflessione ci viene dalla tabella 3, la quale riporta i massimi assoluti registrati dal nostro Servizio Idrografico per il periodo 1925-50 nei diversi Compartimenti in cui era suddiviso. Si noti che per il Compartimento Adriatico – Romagna si riporta un massimo assoluto su due giorni di 359 mm e che è stato registrato a Cà Chiombi (571 m slm) nel bacino del Reno. Un dubbio che viene alla luce di tale valore è se per fini di pianificazione territoriale sia conveniente limitarsi ai massimi pluviometrici riferiti a un singolo bacino, peraltro molto stretto e allungato come il Lamone (figura 1), e non convenga invece estendere la propria valutazione ad ambiti più ampi come i Compartimenti del Servizio Idrografico. In tal senso si evidenzia che una variazione nei fattori circolatori sinottici e a mesoscala avrebbe potuto far spostare di 50-100 km più a ovest i massimi registrati nella bassa collina del bacino del Lamone, coinvolgendo ben altri bacini.

  1. Il caso dell’Olona

Un esempio di gestione del rischio idraulico in un contesto assai diverso da quello del Lamone ma che può comunque offrire alcun spunti utili è quello del fiume Olona. Si tratta di un corso d’acqua a regime torrentizio con una portata media variabile lungo il percorso tra 2 e 14 m3/s. Oggetto di interventi di modifica del percorso sin dall’epoca romana, poi costellato di ruote idrauliche con le relative opere di supporto, successivamente ancora ampiamente canalizzato a sostegno dello sviluppo industriale nel XIX e XX secolo. Avvicinandosi a Milano il suo percorso è del tutto artificiale e totalmente tombato. Certamente un bacino idrogeologico complesso, ampiamente antropizzato e quindi molto “impermeabilizzato”. Si ricordano almeno due piene disastrose, nel 1951 (a Castellanza – a metà corso – vennero registrati quasi 50 m3/s) e nel 1995. Altri eventi alluvionali si sono avuti nel 1801, 1910, 1936,1976, 1982, 1984, 1991, 1992, 2001 con danni complessivamente ingenti, anche se presumibilmente meno ampi di quelli ripetutisi in Emilia Romagna.

Nel caso dell’Olona siamo chiaramente in una situazione idrogeologica totalmente diversa ma comunque molto critica. Situazioni che però si possono risolvere, ma richiedono programmazione e investimenti. Al riguardo si può ricordare che non fu sufficiente la costruzione di un canale scolmatore tra il 1950 e il 1980, immediatamente a nord di Milano; la situazione si è finalmente risolta con la costruzione di una diga di controllo del flusso con relativo bacino di contenimento nei pressi di Varese e di due vasche di laminazione (una in fase di completamento). Per il resto si è proceduto a eliminare parte delle canalizzazioni e delle tombature del corso, ampliandone l’alveo e “rinaturalizzandolo”, termine a nostro giudizio improprio perché di fatto di tratta di arginature con grandi massi che dovrebbero essere soggette a parziale colonizzazione vegetale. Adesso l’Olona non fa più “paura”, ma in parallelo il caso del fiume Seveso, che provoca periodiche inondazioni nel Nord Milano, è tuttora aperto.

Le linee guida individuate dalla Commissione istituita dalla Regione Emilia Romagna nel 2023

La Commissione istituita nel 2023 dalla Regione Emilia Romagna, nel proprio rapporto finale emesso nel dicembre 2023, ha espresso una serie di linee guida su come prevenire il verificarsi futuro di eventi estremi di quel tipo, che riportiamo qui in forma sintetica con alcuni commenti in corsivo e rimendando al documento originale per eventuali approfondimenti:

  1. di realizzare opere di stabilizzazione di singoli versanti e di regimazione delle acque superficiali, con particolare attenzione al reticolo idrografico minore, unitamente ad una corretta manutenzione del territorio e all’adozione di buone pratiche silvo-pastorali e agricole (e qui pensiamo alle sistemazioni idraulico-agrarie e idraulico-forestali e alle tecniche di minima lavorazione dei suoli e di semina su sodo).
  2. di realizzare opere atte a prevenire il rischio idraulico ed in particolare opere di laminazione delle piene quali casse di espansione e invasi montani. Tali opere hanno il fine di immagazzinare i deflussi idrici di piena, riducendo in tal modo i colmi delle onde che transitano a valle. Fra i vantaggi aggiuntivi di tali opere vi è il fatto che esse possono contribuire ad accumulare riserve idriche utilizzabili nei periodi siccitosi per scopi potabili o irrigui. Al riguardo la commissione osserva tuttavia che la morfologia del territorio ostacola il reperimento di volumi di invaso che consentano di elevare in maniera decisiva il grado di protezione idraulica offerto dalle opere esistenti e di raggiungere quello che è normalmente l’obiettivo della pianificazione di bacino, ovvero il contrasto della piena 200-ennale.
  3. di realizzare interventi strutturali volti a restituire maggiore spazio ai fiumi grazie alla modifica della sagoma degli alvei e ad arretramenti verso campagna dell’attuale posizione dei rilevati arginali. La commissione constata tuttavia che, nel caso in esame, l’assetto del territorio e la diffusa presenza di insediamenti urbani e di infrastrutture vitali di trasporto in prossimità dei fiumi rende tali interventi attuabili solo in alcune situazioni locali.
  4. di predisporre appositi piani di gestione della vegetazione ripariale che indirizzino, su solide basi tecnico-scientifiche, la manutenzione degli alvei fluviali. A tale riguardo si ricorda che in relazione all’evento del 17-9 settembre 2024 i media locali hanno posto l’accento sul problema della grande massa di alberi presenti nell’alveo del Lamone e che hanno prodotto un rilevante effetto diga in coincidenza con i ponti. La gestione degli alberi e del legname appare un elemento critico per il quale occorrerebbe trovare una soluzione strutturale.
  5. di programmare in caso di piene eccezionali strategie di allagamento controllato di aree di minor pregio allo scopo di salvaguardare aree caratterizzate da una maggiore esposizione in termini di beni e valori insediati.

Conclusioni e sviluppi futuri

A conclusione di questo nostro scritto crediamo importante rimarcare nel caso degli interventi non strutturali e strutturali di mitigazione del rischio di alluvioni non si può sfuggire alla logica circolare di programmazione -> progettazione -> realizzazione -> manutenzione -> ri/programmazione -> ri-progettazione. In tale schema riveste particolare importanza la periodica ri/programmazione e ri-progettazione degli interventi per far fronte a mutamenti nelle condizioni al contorno (mutamenti significativi nelle serie storiche climatiche, aspetti naturali come l’espansione del bosco ed antropici come l’aumento o la contrazione della popolazione o variazioni nelle caratteristiche degli insediamenti e nella loro vulnerabilità). Ciò vale anche in presenza di ampi territori poco antropizzati e/o con ridotta presenza di manufatti ma non per questo “naturali” e per di più afflitti, come nel caso dell’appennino romagnolo, da rilevanti problemi di instabilità geologica e di gestione dei popolamenti forestali, problemi che sono stati ben evidenziati nel Rapporto della Commissione tecnico-scientifica del 2023.

Ultimo e non minore problema che ci preme segnalare al lettore è la frequente opposizione locale alla realizzazione di opere di pubblica utilità, secondo la cosiddetta logica NIMBY (Not In My Back Yard), rispetto alla quale si pone il tema del dialogo con la popolazione da parte di pubbliche amministrazioni che sono comunque responsabili rispetto all’intera collettività. Al riguardo è utile ricordare quanto scrisse Giulio De Marchi subito dopo l’alluvione del Polesine del 1951 e cioè che occorre “considerare… l’intero territorio come una entità unica e solidale, da proteggere con il minimo danno complessivo”.

Segnaliamo infine che uno degli autori (Simone Parisi) sta conducendo un’analisi delle serie storiche su grigliato relative al Centro-Nord Italia ed afferenti al dataset ARCIS (https://www.arcis.it/wp/) al fine di individuare eventuali segnali di cambiamento climatico. Tale analisi sarà oggetto di un futuro contributo.

Figura 4 – Livello idrometrico registrato dall’idrometro di Pieve Cesato in comune di Faenza dal 18 al 19 settembre 2024. Si notino i due picchi raggiunti alle ore 20 del 18 settembre e alle 4 del 19 (Arpa Emilia Romagna, 2024)
Figura 5 – Carta delle isoiete dell’evento del 17-19 settembre 2024 a confronto con la carta delle isoiete dei due eventi del maggio 2023
Figura 6 – Carta delle zone alluvionate del 20 Maggio 2023.
Figura 7 – Carta delle zone alluvionate del 19 settembre 2024.

[1] Tali dati solo tratti dalla parte seconda degli Annali idrologici del 1951 liberamente accessibili al sito di ISPRA.

[2] Per ricostruire la piovosità media di bacino nei due giorni del 17 e 18 settembre 2024 si è verificato che le medie di bacino dei due eventi del 2023 sono ben simulate dalla media aritmetica di 9 stazioni in tabella 1 (Granarolo faentino, Casaglia, Tredozio, Trebbio, Marradi, Brisighella, S. Cassiano sul Lamone, Rontana, Castrocaro). Alla luce di ciò si è ritenuto di usare la media delle 9 stazioni anche per ricavare la media di bacino per il 17 e 18 settembre 2024.

Bibliografia

Arpae Sim 2024. Analisi speditiva dell’evento del 17-19 settembre 2024 sulla regione Emilia-Romagna, emessa il 23 settembre 2024 (https://www.arpae.it/it/notizie/report-speditivo-evento-17-19-sett-2024.pdf)

Mennella, I climi d’Italia, F.lli Conte, Napoli, 1977.

Regione Emilia Romagna, 2023. Rapporto della Commissione tecnico-scientifica istituita con deliberazione della Giunta Regionale n. 984/2023 e determinazione dirigenziale 14641/2023, al fine di analizzare gli eventi meteorologici estremi del mese di maggio 2023, Autori: Prof. Armando Brath (Coordinatore), Prof. Nicola Casagli, prof. Marco Marani, Dott.ssa Paola Mercogliano, Prof. Renzo Motta (https://www.regione.emilia-romagna.it/alluvione/rapporto-della-commissione-tecnico-scientifica).

Servizio Idrografico, Annali idrologici del 1951 – parte seconda (http://www.bio.isprambiente.it/annalipdf/)

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Published inAttualitàClimatologiaMeteorologia

7 Comments

  1. Michele

    Abito in Romagna, a pochi km da Faenza e dalle zone martoriate dalle acque. Amo la Romagna; non posso definirla mia perchè sono nativo della Marche. Ma devo tutto a questa terra. Anni fa correndo sull’argine del Santerno segnalai proprio il servizio tecnico di Bacino della foltissima presenza di vegetazione nell’alveo e tutta la zona golenale. L’anno successivo pulirono tutto. Non certo per la mia segnalazione però …come diceva Aldo Moro: “Lo Stato siamo Noi”. Bisogna partecipare, segnalare, tirare per la giacchetta. Amministrare deve essere faticoso e chi lo fa ne deve sentire tutta l’importanza …e la bellezza aggiungo.
    Ora sento il cuore dei Romagnoli urlare : “Ricominceremo, rimetteremo tutto in piedi”. E questo il bello di questa Regione. Però mi duole constatare che queste sono frasi che possono averla vinta nel rapporto col fato . Se piove e tanto l’acqua ritorna e si riporterà via tutto di nuovo. Quindi prima la sicurezza del territorio e poi la Romagnolità potrà sfogarsi quanto vuole.

  2. Luca Maggiolini

    Per capire le problematiche dei torrenti specie appenninici, basta guardare ai loro alvei. Decine e decine di metri di larghezza, a fronte di rigagnoli che li occupano per gran parte del tempo. Ricordo sempre il Taro a Fornovo, che vedevo dalla base/deposito dell’Aeronautica militare ai tempi della mia leva.
    Ma se l’alveo, non colonizzato da vegetali se non sporadici arbusti, è così largo, un motivo ci sarà pure, no? Vuol dire che prima o poi si riempie.
    Oggi abbiamo Google earth o simili, basta usarli per rendersi conto di certe cose – non c’è bisogno di essere ingegnere o esperto, è sufficiente guardare.
    A latere, l’aspetto che trovo davvero imbarazzante quando si parla di piene e alluvioni è l’accenno, sempre con tono polemico, al fatto che: gli abitanti non si ricordano una cosa simile!! nella mia vita non si è mai vista una piena così!!! E la notizia quale sarebbe?
    Come se la durata della vita umana, 90 anni quando va stra-bene, fosse un parametro di una qualsivoglia rilevanza a fronte delle centinaia di migliaia o dei milioni di anni di ciclo naturale di fiumi e montagne.

  3. Andrea D

    Non è male anche riguardarsi filmoni come “Il ritorno di Don Camillo” del 1955, il cui è costante il leitmotiv meteorologico (dall’iniziale tema-battibecco per la costruzione di un argine sul Po’ fino all’alluvione), con tanto di immagini prese dall’alluvione di 4 anni prima.

    In “Don Camillo Monsignore ma non troppo” (1962) si vede nella sequenza del viaggio in treno verso Brescello l’attraversamento di un canalone grande e … pulito.

    Quando modifichi pesantemente nei secoli -soprattuto dal periodo napoleonico al ventennio- un territorio (alluvionale) per sottrarlo alle paludi e alla malaria e renderlo vivibile e coltivabile, lo devi mantenere nel tempo, altrimenti tornerà esattamente come prima.

    Per il resto signor Stau è padrone indiscusso del nostro clima locale in occasione di fronti, gocce fredde o fenomeni convettivi.
    Capacissimo che da me “la venga giù a secchie”, mentre a 30km non fa una goccia, come è successo in occasione di una mesolinea temporalesca (28 settembre, 1700-2000) che ha messo sott’acqua una stretta linea dall’Ascolano a San Benedetto del Tronto fino a Scerne di Pineto, mentre a Pescara nemmeno una goccia.

    Ah, naturalmente il sottopasso autostradale vicino casa è divenuto pagaiabile per l’occasione, come pure per Boris. What Else?

  4. Ivan

    Son sempre situazioni di blocco che portano precipitazioni estreme e alluvioni di conseguenza nel nostro paese.

    Immagine allegata

  5. donato b.

    Ottima analisi.
    Gli effetti delle piogge possono essere disastrosi se il territorio non è in grado di modulare gli effetti delle “punte” di pioggia. Il nostro Paese è caratterizzato da una struttura morfologica peculiare: le dorsali appenninica ed alpina sono capaci di frenare i fronti meteorologici, determinando forti concentrazioni delle piogge nelle zone sottovento. Le pendenze notevoli dei terreni, infine, rendono disastrosi i forti accumuli pluviometrici nei bacini idrografici.
    Abito in aree collinari della Campania settentrionale, caratterizzate da bacini idrografici stretti ed allungati che sono in grado di innescare eventi disastrosi in occasione di piogge intense e concentrate nel tempo.
    .
    Meno di dieci anni fa il territorio in questione fu investito da eventi alluvionali in successione, paragonabili a quelli emiliani e, anche in quell’occasione, dovemmo registrare diverse vittime. Tutti i punti in cui le conseguenze dell’alluvione furono più forti, erano perfettamente noti. Tutti sapevamo che se qualcosa doveva capitare, sarebbe successa li, ma nessuno ha mai preso i necessari provvedimenti: ricostituire i percorsi naturali delle acque eliminando tratti intubati o strozzature innaturali, manutenere nel modo corretto gli alvei dei corsi d’acqua e regimentare le acque superficiali mediante il ripristino e la cura dei fossi di scolo. Solo una rete capillare di opere idrauliche anche modeste, ma ben posizionate e curate, può evitare che il terreno superficiale venga dilavato e trasportato violentemente a valle.
    .
    Nell’articolo gli autori pongono l’accento sulle opere di regimentazione degli alvei maggiori, diciamo degli assi idrografici, ma anche le opere minori hanno la loro importanza: se si consente alle acque superficiali di scorrere in modo incontrollato sulla superficie di terreni lavorati più o meno in profondità e privi di copertura vegetale, il disastro è inevitabile. Non tutti praticano, infatti, le lavorazioni scarsamente invasive che vengono auspicate nell’articolo, diciamo che esse sono piuttosto di nicchia, almeno dalle mie parti.
    .
    Attraversando un qualsiasi torrente appenninico, la cosa che balza agli occhi è la larghezza dell’alveo: decine e decine di metri. In condizioni normali, anche in presenza di piene ordinarie, solo una frazione della pietraia che tappezza l’alveo, è interessata dal flusso idrico. Solo in presenza di eventi particolarmente intensi, l’alveo viene occupato completamente. Accade ogni 30/40 anni, ma accade. Se qualche sciagurato riduce la sezione del corso d’acqua per “recuperare” spazio, le conseguenze saranno inevitabili e ben prevedibili. Rubare spazio naturale ai corsi d’acqua è la premessa per esondazioni, allagamenti e tutto ciò che ne consegue.
    .
    Altro aspetto che nell’articolo viene messo in evidenza e che, personalmente, sottoscrivo perché oggetto di costante riscontro, è la pretesa di consentire lo sviluppo incontrollato della vegetazione d’alto, medio e basso fusto negli alvei. Far crescere un pioppo fino a trenta metri nell’alveo, significa che in occasione di una piena violenta, esso sarà sradicato e trasportato a valle come un fuscello. L’accumulo di questi eventi determinerà, in presenza di un ponte o di una gola, come accade in corrispondenza delle faglie affioranti o delle sponde franose, la formazione di una diga naturale e la rovina dei territori latistanti il torrente.
    .
    Altro aspetto da non trascurare è la demonizzazione delle operazioni di estrazione degli inerti: dalle mie parti fu autorizzata solo in occasione dell’alluvione del 2016. Oggi essi continuano ad accumularsi liberamente e lo faranno fino alla prossima inondazione.
    .
    Posso testimoniare, infine, che la realizzazione di invasi a monte dei corsi d’acqua, è in grado di mitigare la violenza delle piene a valle. A condizione che anche i bacini idrici che si vengono a costituire, siano opportunamente curati e, periodicamente, oggetto di operazioni di dragatura che ne evitino l’interramento. Dopo la costruzione e la messa in esercizio dell’invaso di Campolattaro (BN) le piene del fiume Tammaro sono molto meno violente e producono molti meno danni rispetto al passato.
    .
    In altri termini un territorio fotemente urbanizzato come il nostro, non può essere lasciato a se stesso. La natura è violenta e quando si scatena travolge tutto ciò che tende a limitarla. Se non esistono opere antropiche, non ci sono probelmi: ciò che viene distrutto si ricostituirà nel tempo e dopo il disastro si creerà un nuovo equilibrio. Quando il territorio ospita, invece, opere infrastrutturali e strutture produttive, anche agricole, l’evento naturale estremo è particolarmente doloroso in termini di danno.
    .
    E per chiudere una considerazione circa l’entità degli eventi del 2023 e del 2024: il grafico di fig. 2 è impressionante. Gli eventi meteorologici recenti fanno impallidire quelli storici. Probabilmente prima dell’inizio della serie eventi simili ci sono stati, ma se ciò non fosse accaduto (cosa estremamente improbabile) ci sarebbe molto da preoccuparsi.
    Ciao, Donato.

    • Ivan

      Denunciava Cederna nel 1973…
      Come non condividere..

      Immagine allegata

    • Luigi Mariani

      Caro Donato,
      ti ringrazio per il tuo commento pieno di spunti interessanti. Personalmente conservo memoria del luttuoso evento di Sarno e Quindici del 1998, in cui un bacino aperto all’afflusso di masse di aria umida in coincidenza con minimi depressionari tirrenici è chiuso sul fondo da una barriera montuosa molto ripida che costringe la massa d’aria incanalatasi nel bacino a salire per effetto stau generando dei massimi pluviometrici molti rilevanti. Sono cose che si vedono con facilità sulle carte geografiche e che dovrebbero indurre a gestire con estrema prudenza il territorio.
      Aggiungo anche che una carta dei progressivi restringimenti negli alvei fluviali operati nel tempo sarebbe utilissima per porre in luce le aree più critiche. Gli alvei sono stati infatti sagomati (oggi si direbbe “shaped”) dalle alluvioni del passato e dunque andrebbero trattati con il massimo rispetto.
      Ricordo anche la grande alluvione del Lamone del 7 dicembre 1839 (rotta di Ammonite) a seguito della quale gli ingegneri pontifici realizzarono una grande cassa di espansione e bonifica per colmata rimasta torica anche per le positive implicazioni agricole. Di tale rotta si trova molta documentazione in internet.
      Infine per far capire quanto importante sia una visione politica generale per agire sul territorio mettendolo in sicurezza cito un discorso parlamentare di Filippo Turati del 26 giugno 1920 in cui mi imbattei alcuni anni fa scrivendo la biografia del grande ingegnere progettista di dighe Angelo Omodeo (cui è dedicato il lago Omodeo in Sardegna) che gli interessati possono trovare qui https://www.mulsa.it/_files/ugd/81c218_40411aa5c7d3470ba973d4b00fdb7a9b.pdf:
      Occorre un programma della nazione, non un programma semplicemente di governo […]. Cum grano salis si può dire che tutto si concentri nel problema idraulico. L’utilizzazione delle forze idrauliche e Ia trasmissione della energia a distanza sono due scoperte fatte essenzialmente per l’Italia: non per nulla abbiamo avuto Galvani, Volta, Righi, Pacinotti, Galileo Ferraris. Ad esse si connettono le sistemazioni montane, onde la sicurezza delle alte pendici; il disciplinamento dei corsi d’acqua, onde la difesa contro le piene; le bonifiche, e quindi la messa in valore di infiniti nuovi terreni; la soppressione della malaria, e di qui una maggiore efficienza dei lavoratori, l’estensione delle piane abitabili, e cioè Ia soluzione necessaria, sto per dire automatica, di una infinità di altri problemi, viabilità, ferrovie, scuole, ospedali, ecc., che ne sono il naturale corollario; i’irrigazione, e quindi l’aumento della produzione terriera e l’agricoltura industrializzata; la navigazione interna, onde facilitazione dei trasporti, l’emancipazione dal carbone di Cardiff, ecc.; la regolazione dei deflussi a mezzo di serbatoi, onde la benefica creazione di nuovi corsi d’acqua, a deflusso continuo, con tutte te utilità conseguenti; la trazione elettrica, onde una soluzione tutta italiana del problema ferroviario e di nuovo la emancipazione dal carbone estero; la diffusione dell’energia elettrica, da cui la fondazione di nuove industrie, specialmente di quella elettrochimica, cioè di una industria fondamentale, essenzialmente nostra, perché non a base di carbone, colla messa in valore, necessaria e naturale,di tute le nostre ricchezze; la produzione intensiva di concimi, da cui il fiorire possibile di tutta la nostra industria agraria […].
      Ma questo miracolo non si compie con la sola bonifica, coi soli serbatoi, con la sola elettrificazione ma con tutte queste case unite e contemporanee, rimuovendo gli ostacoli artificiali, storici, tradizionali e sopratutto politici, che impediscono di farlo a iniziative separate.
      Il fiume straripa e poi dissecca. Anzi quaggiù [nell’Italia meridionale] non vi sono fiumi. Mancano le Alpi e i ghiacciai; non vi sono che torrenti. Il torrente, questo vero anarchico, in inverno si gonfia, devasta e fugge, lasciando però gli acquitrini avvelenati che fugano le popolazioni. Nel Nord, tutti lo sanno, abbiamo il fenomeno inverso; la siccità é specialmente invernale, quando il ghiacciaio non disgela.
      Le piogge sono irregolarissime. Desumo questi dati da un opuscolo: I nuovi orizzonti dell’idraulica italiana, dell’ingegnere Angelo Omodeo di Milano, un tecnico di fama e di valore mondiale (non temete, non é un professore!) e insieme un cuore vibrante di idealista, di vero socialista, sebbene non tesserato. In queste poche pagine c’é infinitamente più socialismo che in tutta la serie dei nostri Congressi di partito.”
      Un cordiale saluto.
      Luigi

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