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Il problema del moto polare, della lunghezza del giorno e della mosca cocchiera

Correva l’anno 2015 e qui su CM pubblicai un articolo dal titolo molto simile. Per chi non abbia voglia di leggere l’articolo, un breve riassunto. Si commentava un articolo pubblicato su Le Scienze in cui l’Autore, sulla scorta dei risultati di alcuni lavori scientifici, sosteneva che l’amplificazione artica, conseguente al cambiamento climatico di origine antropica, fosse responsabile della maggiore tortuosità delle correnti a getto e, quindi, della diminuzione della velocità del getto e delle situazioni di blocco atmosferico che continuano ad angustiarci. Nel mio commento analizzai anche i lavori su cui si basavano le conclusioni dell’Autore e concludevo, esprimendo il mio profondo scetticismo circa l’attribuzione delle perturbazioni del getto polare all’influenza umana sul cambiamento climatico.

A distanza di quasi dieci anni sono stato colpito da un lancio dell’agenzia ANSA che ha riportato alla mia mente l’articolo del 2015: “Giorni più lunghi per colpa del riscaldamento globale”, titolava l’articolo dell’Agenzia. Il lancio faceva riferimento a due articoli pubblicati da due gruppi di ricerca, composti, per oltre la metà, dagli stessi ricercatori e che avevano ad oggetto lo studio dei fenomeni geofisici alla base dei moti terrestri.

La notizia è di quelle grosse perché porta a concludere che il riscaldamento globale di origine antropica, è in grado di modificare la velocità di rotazione del pianeta e, conseguentemente, anche il moto polare, cioè la traiettoria dei punti di intersezione dell’asse terrestre con la superficie della Terra: altro che correnti a getto!

Nel lancio erano presenti anche i riferimenti agli articoli scientifici, per cui sono andato subito a vedere se quanto scriveva l’ANSA corrispondeva alla realtà o era solo un’iperbole propagandista. L’articolo sull’influenza del cambiamento climatico sulla velocità di rotazione del pianeta,

The increasingly dominant role of climate change on length of day variations

a firma di M. K. Shahvandi, S. Adhikari, M. Dumberry e B. Soja (da ora Shahvandi-1 et al., 2024) è pubblicato su PNAS ed è a pagamento: bisogna limitarsi all’abstract ed ai commenti apparsi sui vari siti. Siccome non è mia abitudine commentare ciò che non riesco a leggere, ripiego sull’articolo riguardante l’influenza del cambiamento climatico sul moto polare,

Contributions of core, mantle and climatological processes to Earth’s polar motion

a firma di M. K. Shahvandi, S. Adhikari, M. Dumberry, S. Modiri, R. Heinkelmann, H. Schuh, S. Mishra e B. Soja, pubblicato su Nature Geoscience e liberamente accessibile (da ora Shahvandi-2 et al., 2024).

Non avendo potuto leggere Shahvandi-1 et al. 2024,  per capire un po’ meglio i ragionamenti seguiti dai ricercatori, mi è parsa utile la lettura del secondo articolo, ovvero Shahvandi-2 et al. 2024. La dinamica planetaria è complessa, ma i principi che regolano velocità di rotazione del pianeta e oscillazioni dell’asse di rotazione terrestre, sono strettamente connessi, per cui, analizzando il secondo articolo, si può ragionevolmente dedurre la struttura teorica del primo articolo, considerato, anche, che gli autori sono praticamente gli stessi.

Il polo terrestre (intersezione tra la superficie della Terra e l’asse di rotazione terrestre) cambia la sua posizione di alcuni metri nel corso dei secoli. Nella fig. 1 tratta da Shahvandi-2 et al. 2024 è illustrata la migrazione polare nell’emisfero nord nel periodo compreso tra il 1900 ed il 2018, ovvero circa 120 anni.

Fig. 1: a, Moto polare (1900–2018) dalla serie IERS C01 in unità di mas. b, Il moto polare di lungo periodo (linee continue) e le loro incertezze al livello di deviazione standard (area ombreggiata, ovvero segnale medio ± le loro incertezze) dopo la rimozione di tutti i periodi inferiori a 500 giorni. Sia in a che in b, il riferimento (xp= yp = 0) è scelto come posizione media nell’intervallo 2002–2018 (area grigia ombreggiata). c, Vista polare del moto polare di lungo periodo rispetto al 1900. xp è positivo verso Greenwich (0°); yp è positivo verso 90° W. Un moto angolare di 1 mas corrisponde a uno spostamento di 3,09 cm sulla superficie terrestre.

Le quantità xp e yp visibili nella figura, rappresentano le componenti del vettore spostamento del polo sulla proiezione della superficie terrestre, vista dal polo.

Per comprendere il ragionamento sviluppato dai ricercatori, bisogna partire dal momento angolare terrestre. Tale momento angolare non è determinabile in modo semplice, in quanto, dipende da tutta una serie di parametri. In primo luogo, esso è determinato dal momento d’inerzia della Terra, cioè dalla sua geometria e dalla sua densità. E qui cominciano i problemi: la forma della Terra è schematizzabile mediante un ellissoide di rotazione e la sua densità non è costante, ma varia da punto a punto. A complicare ulteriormente le cose, bisogna tener conto della stratificazione del pianeta: nucleo, mantello e crosta terrestre. Senza portare il discorso troppo per le lunghe, il momento d’inerzia del pianeta entra nelle equazioni differenziali che si utilizzano per modellare il moto terrestre, sotto forma di un tensore: il tensore d’inerzia.

Nel corso del diciannovesimo secolo furono elaborate una serie di equazioni differenziali che consentono di mettere in relazione le varie grandezze fisiche che caratterizzano il moto polare. Una di queste è l’equazione di Liouville. Essa lega il momento angolare terrestre, la velocità angolare ed il tensore d’inerzia alla “coppia astronomica” generata dalle interazioni gravitazionali del Sole, della Luna e degli altri corpi celesti.

Il moto polare terrestre è frutto di una serie di interazioni che possono essere rappresentate mediante moti pseudo-periodici, caratterizzati da una notevole varietà di frequenze.  Shahvandi-2 et al. 2024 ha cercato di estrarre da questo complesso coacervo di moti, quelli che i ricercatori considerano i più significativi e, in particolare, quelli di “lungo periodo”. Come si usa in questi casi, con un opportuno filtro, si sono eliminati i moti con periodo minore: fino a 500 giorni. La coppia astronomica non influenza i moti di lungo periodo oggetto dello studio, in quanto responsabile dei moti precessionali e nutazionali. Ciò che resta, rappresenta i moti di lungo periodo, studiati dagli autori dell’articolo.

I moti polari di lungo periodo sono una conseguenza della conservazione del momento angolare della Terra: i flussi di materia nel nucleo, movimenti delle masse fluide atmosferiche e crostali, modificano il tensore d’inerzia e, quindi, determinano una variazione del momento angolare terrestre.

Per il principio di conservazione del momento angolare, pertanto, l’asse polare subisce degli spostamenti che sono diretta conseguenza dei flussi di massa anzidetti e dei conseguenti trasferimenti di momento angolare tra le varie componenti del sistema dinamico terrestre. Oltre ai moti polari, ovviamente, cambia anche la velocità angolare della Terra e, quindi, la lunghezza del giorno terrestre medio che può aumentare o diminuire.

A questo punto appare chiaro il motivo per cui Shahvandi-2 et al. 2024 è utile per comprendere Shahvandi-1 et al. 2024: i flussi di materia sulla superficie del pianeta, sono in grado di modificare la velocità di rotazione della Terra e, quindi la durata del giorno.

Il problema, adesso, è cercare di comprendere quanto pesano i contributi dei vari flussi di massa che determinano i trasferimenti del momento angolare tra le varie parti del pianeta. In altre parole, vogliamo stabilire quanto influisce il flusso di materia nel nucleo sul moto polare o sulla variazione del giorno. Oppure qual è l’influenza dello spostamento delle masse atmosferiche o, e qui veniamo al punto, delle masse d’acqua originate dallo scioglimento dei ghiacciai terrestri e, infine, dalle variazioni dei flussi idrici superficiali e profondi che si verificano nella crosta terrestre.

Per poter rispondere a queste domande, dovremmo conoscere le leggi che regolano i processi geofisici alla base della variazione di velocità angolare della Terra e del moto polare. Per poter valutare il contributo dei flussi di massa sulla superficie terrestre, in atmosfera ed al di sotto della superficie terrestre (acque profonde), bisognerebbe conoscere le leggi che regolano il sistema climatico terrestre. E noi, purtroppo, ignoriamo gran parte di queste leggi e buona parte di questi fenomeni, per cui, oltre a tante belle parole e tante buone intenzioni che infarciscono le descrizioni qualitative dei fenomeni descritti, da un punto di vista quantitativo resta poco o nulla. Shahvandi e colleghi, consci di queste problematiche, nei due studi citati, propongono un modo innovativo per affrontare la questione e, quindi, aggirare le deficienze nella comprensione delle leggi fisiche che regolano i processi geofisici alla base della dinamica terrestre.

Gli Autori dei due studi hanno creato una rete neurale piuttosto complessa costituita da 16 reti neurali intercomunicanti, ognuna delle quali basata su 32 neuroni. Il sistema è riassunto nello schema seguente, tratto da Shahvandi-2 et al., 2024.

Fig. 2: I processi geofisici sono modellati da 16 diverse reti neurali Mi che interagiscono tra loro. M 1 , M 2 sono utilizzati per apprendere le componenti del moto polare x p , y p ; M 3 , M 4 per i processi baristatici; M 5 , M 6 , M 7 , M 8 per GIA e MC; M 9 , M 10 , M 11 , M 12 , M 13 , M 14 per i processi di dinamica del nucleo; e M 15 , M 16 per i processi sismici. Utilizziamo un perceptron a sei strati (strati L i ,  i  = 1, …, 6) con 32 neuroni ciascuno (neuroni NJio, io=1,…,6, J=1,…,32) come architettura per ciascuna rete neurale (Metodi). I cerchi arancioni indicano le funzioni di attivazione (tangente iperbolica per i primi cinque strati, lineare per l’ultimo strato).

Alla fine dei conti si tratta di un modello matematico piuttosto complesso che analizza l’evoluzione temporale delle grandezze geofisiche note che contribuiscono al moto polare e, precisamente:

  • il contributo baristatico, ovvero  il contributo delle variazioni delle masse superficiali, quale ad esempio, lo scioglimento delle calotte glaciali, la variazione dei flussi idrici superficiali e profondi, le variazioni del livello del mare, ecc.;
  • il contributo dei trasferimenti di momento angolare tra i vari strati che costituiscono il globo terrestre e delle dinamiche interne al nucleo;
  • i processi sismici;
  • l’aggiustamento glaciale isostatico (GIA) ed il moto convettivo nel mantello (MC).

I processi iterativi dei vari algoritmi sono stati limitati dai valori osservativi del moto polare negli ultimi quarant’anni (periodo di “addestramento” delle reti neurali).

Completato l’addestramento delle reti neurali, si è ricostruito il moto polare dagli inizi del ventesimo secolo fino ai giorni nostri.

L’aspetto innovativo di tutto il processo deve essere ricercato nella possibilità di analizzare il contributo dei singoli processi geofisici al processo geofisico complessivo definito “moto polare”. Ogni singola rete neurale restituisce, infatti, il contributo di uno dei processi al moto polare e, quindi, consente, per esempio, di stabilire il contributo dello scioglimento delle calotte glaciali al moto planetario.

Seguo da anni l’evoluzione del dibattito scientifico relativo alle variazioni del livello del mare e, quindi, ho acquisito una certa confidenza con le incertezze che caratterizzano la quantificazione dei contributi fisici alla variazione del livello del mare: ancora oggi sono molte le incertezze riguardo al calcolo delle masse d’acqua derivanti dallo scioglimento delle calotte glaciali terrestri, così come sono notevoli le incertezze riguardanti la determinazione dell’aggiustamento glaciale isostatico o quelle connesse ai flussi idrici superficiali e profondi. Tutte queste incertezze portano ad una grossa difficoltà nel determinare il saggio di variazione del livello del mare, tanto da far dire a molti studiosi che l’aumento stimato del livello del mare è maggiore della somma dei singoli contributi: un paradosso fisico. Tutte queste incertezze, allo stato dell’arte, sono superate utilizzando i modelli semi-empirici della variazione del livello del mare che, però, portano a sovrastimare enormemente il tasso di variazione del livello del mare. Shahvandi e colleghi, nei loro due studi, hanno individuato una metodologia che deriva la variazione di una grandezza ignota o poco compresa, da una grandezza “emergente” facile da misurare e da modellare.

Riuscire a trovare, quindi, un metodo indiretto per calcolare le variazioni del livello del mare a partire da misure come quella del moto polare, è un fatto notevole e Shahvandi e colleghi sono riusciti ad individuare un processo matematico promettente. Ritengo, pertanto, molto interessante il lavoro svolto dagli scienziati e trovo condivisibili i metodi ed i fondamenti teorici dei loro lavori.

E veniamo, ora, a Shahvandi-1 et al., 2024, ovvero l’influenza del cambiamento climatico sulla velocità di rotazione planetaria. Come ci spiega l’abstract, il cambiamento climatico determina lo scioglimento dei ghiacciai terrestri e, quindi, l’incremento del livello dei mari. La massa glaciale, trasformatasi in acqua, si disporrà secondo la superficie equipotenziale che noi definiamo geoide. La massa glaciale era disposta, originariamente, al di sopra delle terre emerse, ubicate principalmente nelle zone polari (Antartide e Groenlandia) e, quindi, in posizione relativamente vicina all’asse di rotazione terrestre. Dopo lo scioglimento dei ghiacci, la stessa massa si distribuirà sull’intero globo terrestre, seguendo la superficie del geoide (circa il settanta per cento della superficie terrestre è occupata dagli oceani) e, mediamente, si allontanerà dall’asse di rotazione terrestre. Da un punto di vista dinamico la Terra è assimilabile ad un corpo in rotazione e caratterizzato, pertanto, da un ben preciso momento angolare. Tale grandezza fisica, nel caso di corpi puntiformi, risulta proporzionale alla velocità angolare della massa in movimento ed al quadrato della distanza della massa in moto, misurata a partire dal centro di rotazione della massa. Nel caso dei corpi in rotazione intorno ad un asse, e la Terra è uno di essi, il ragionamento è lo stesso, con l’unica differenza che cambiano gli operatori matematici utilizzati. Appare ovvio, pertanto che, in presenza di masse più distanti dall’asse di rotazione (acqua derivata dallo scioglimento delle calotte glaciali terrestri), il principio di conservazione del momento angolare, comporta la diminuzione della velocità angolare della Terra e, quindi, l’aumento della durata del giorno terrestre. Tutto questo da un punto di vista quantitativo comporta una variazione del tensore d’inerzia, di cui abbiamo discusso a proposito di Shahvandi-2 et al., 2024 e, quindi, potremmo ripetere le argomentazioni già sviluppate, pervenendo agli stessi risultati.

A questo punto qualcuno si chiederà cosa c’entri la mosca cocchiera con un lavoro che io stesso giudico condivisibile. Per capirlo basta, si fa per dire, dare un’occhiata ai materiali supplementari di  Shahvandi-1 et al. 2024 (Supporting Information), liberamente accessibili. Gli Autori, forti dei risultati conseguiti e che io ho cercato di illustrare nella maniera più sintetica possibile, peccando in qualche caso di eccessiva approssimazione,  hanno deciso di estrapolare i risultati ottenuti al 2100, determinando la variazione della lunghezza del giorno terrestre tra ottanta anni, qualora l’andamento dello scioglimento delle calotte glaciali terrestri, seguisse i famigerati scenari di emissione dell’IPCC. Ebbene, sulla scorta delle elaborazioni effettuate sulla base dello scenario di emissioni RCP 8.5 che è, notoriamente, del tutto irrealistico, al 2100 la lunghezza del giorno terrestre indotta dagli effetti baristatici, varierà di circa 2,62±0,79 millisecondi per secolo e tale variazione sarà addirittura maggiore di quella indotta dalle maree lunari. Giungiamo, pertanto, alla conclusione che l’Uomo, in quanto responsabile delle improbabili emissioni di cui allo scenario RCP 8.5, è capace di modificare la velocità di rotazione della Terra come e, forse, più della Luna. Un po’ come la mosca è capace di guidare il cavallo su cui si è posata.

Perché i ricercatori che hanno condotto un pregevole e pionieristico lavoro di analisi delle dinamiche terrestri, si sono infilati in questa improbabile operazione di previsione della variazione della velocità angolare della Terra al 2100 a causa delle emissioni di diossido di carbonio di origine antropica? Francamente non lo so, ma se non lo avessero fatto non credo che ANSA et similia si sarebbero interessati alla questione: il cambiamento climatico di origine antropica, di questi tempi, è un grimaldello che apre molte porte.

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Published inAttualitàClimatologiaMedia Monitor

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