A Dubai “fervono” i lavori della COP 28. Nella parte finale di queste note traccerò un bilancio un po’ più tecnico della prima settimana di lavori. In questa prima parte dell’articolo, invece, vorrei sottoporre alla vostra attenzione il tema che ora attrae l’attenzione di osservatori ed attivisti presenti alla COP 28. Si tratta di una problematica che riguarda uno solo dei corpi sussidiari in cui si è sfilacciata la Conferenza, ma essa rappresenterà il metro con cui si giudicherà l’esito dell’intero summit climatico globale. Si tratta di una questione ideologica e, in quanto tale, appassionante e divisiva.
Phase-out o phase-down: questo è il problema. E’ su questo dilemma che si consumerà l’ultima parte della Conferenza delle Parti 2023 ed in base alla risposta che troveremo nel documento finale dell’assemblea, stabiliremo se la COP 28 è stata un successo o un fallimento. Questo, almeno, è ciò che leggeremo nei resoconti dei principali mezzi di informazione sugli esiti della COP 28. Personalmente userò altri parametri per riassumere le conclusioni della Conferenza, ma il grande pubblico verrà informato sulla base di due parametri: il varo del meccanismo relativo al fondo “perdite e danni” e gli esiti delle trattative sul termine da utilizzare per stabilire se l’utilizzo dei combustibili fossili debba essere gradualmente ridotto o gradualmente eliminato. Ed è su questa questione che è scivolato il dr. Al Jaber nel suo sfortunato dibattito con l’ex presidente irlandese M. Robinson.
Per comprendere meglio questa diatriba è molto utile ed istruttiva la lettura di un articolo pubblicato sul sito del gruppo CarbonBrief. L’articolo è piuttosto lungo ed abbastanza tecnico e riassume lo “stato dell’arte” del dibattito in atto. Provo a riassumerlo brevemente, ma invito chi ne voglia sapere di più a leggere l’intero testo ed a consultare i grafici in esso contenuti.
Tutti ormai sappiamo che il salvataggio del clima terrestre potrà effettuarsi se l’incremento delle temperature globali sarà mantenuto entro 1,5 °C rispetto all’epoca pre-industriale. Questo numero magico è scaturito da un rapporto di valutazione dell’IPCC pubblicato poco prima della COP 21 che partorì il famoso Accordo di Parigi. Sono passati circa otto anni da quei fatidici giorni ed il mio giudizio sul raggiungimento dell’obbiettivo prefisso resta immutato: irrealistico. La mia è, però, un’opinione che conta poco, per cui lasciamola da parte e poniamo per ipotesi che esso sia realistico e che il numero 1,5 °C rappresenti il discrimine tra la salvazione e la dannazione climatica.
Secondo il responsabile del Gruppo di Lavoro III dell’IPCC che ha contribuito ad elaborare la teoria degli 1,5 °C,
“In tutti gli scenari [limitando il riscaldamento nel 2100 al di sotto di 1,5°C], l’uso di combustibili fossili sarà notevolmente ridotto e l’uso del carbone sarà completamente eliminato entro il 2050”.
Tale giudizio è stato ripetuto in maniera quasi identica anche durante la COP 28. Vediamo dal punto di vista pratico che cosa comporta l’attuazione di questo scenario fortemente voluto dai Paesi maggiormente vulnerabili (quelli insulari, per esempio) durante la COP 15 di Parigi.
Per maggiore chiarezza mi servirò di un diagramma estratto dall’articolo citato.
Questo diagramma è relativo ad uno degli scenari elaborati dall’IPCC e non è molto differente dagli altri, ma di più agevole comprensione. Le due rette rappresentano la traiettoria dei consumi di combustibili fossili espressi in unità di energia prodotta e sono riferite ai consumi di combustibili fossili senza cattura e sequestro delle emissioni, quindi con emissioni scaricate direttamente in atmosfera (unabated) ed ai consumi di combustibili fossili in cui le emissioni vengono catturate e sequestrate definitivamente (abated). Quando parliamo di emissioni, ovviamente, il riferimento è a quelle climalteranti e, quindi, al diossido di carbonio.
Volendo giocare con i numeri, è facile intuire che l’obbiettivo di mantenere “a portata di mano” i famigerati 1,5 °C di aumento delle temperature globali rispetto all’epoca pre-industriale, può essere raggiunto modificando le pendenze delle due rette: aumentando la pendenza della retta blu e diminuendo quella della retta rossa si mantiene il consumo dei combustibili fossili e si “mantiene a portata di mano” l’obbiettivo di 1,5 °C. Tradotto in soldoni, di soldi infatti si tratta, invece di ridurre entro il 2050 il consumo di combustibili fossili dell’88% rispetto al consumo attuale, in modo tale che il consumo residuo di combustibili fossili al 2050 sia pari al al 12% dell’attuale domanda, tra cattura delle emissioni e immissione diretta in atmosfera (phase-out), si potrebbe optare per delle traiettorie diverse che portino, per esempio, ad una riduzione del consumo di combustibili fossili senza abbattimento delle emissioni del 50% e ad un incremento del consumo di combustibili fossili con abbattimento delle emissioni del 40% rispetto all’offerta attuale, con un residuo del 10% di emissioni immesse direttamente in atmosfera (phase-down).
La frangia delle Parti e degli osservatori più ideologizzata teme che se il discorso si dovesse spostare dall’eliminazione dei combustibili fossili all’eliminazione delle emissioni, si potrebbero innestare tutta una serie di meccanismi, per cui non si arriverebbe ad alcun risultato pratico. Si dovrebbero, infatti, individuare tutta una serie di parametri per poter quantificare quanta parte di emissioni è stata catturata e quanta parte no, rielaborare tutti gli scenari di emissione, riformulare tutte le politiche di transizione: meglio tagliare la testa al toro eliminando il consumo di combustibili fossili.
I Paesi produttori si oppongono ed insistono sulla necessità di non buttare via il bambino e l’acqua sporca: si riducano le emissioni e si lascino perdere i consumi. I Paesi in via di sviluppo sono alla finestra e badano al loro interesse: per loro è indifferente la tecnologia utilizzata per mantenere l’obbiettivo di 1,5 °C, l’importante è che arrivino i finanziamenti ed i risarcimenti da parte dei Paesi sviluppati, in modo da consentir loro di svilupparsi.
Allo stato attuale dell’arte le metodologie di cattura e stoccaggio delle emissioni non sono particolarmente sviluppate, per cui l’IPCC, giustamente, ha riservato a queste metodiche di mitigazione poco spazio, privilegiando, quindi, la riduzione fino all’eliminazione dell’uso di combustibili fossili. Un uso residuale di tali combustibili sarà ancora possibile a condizione che si obblighi l’utilizzatore alla cattura delle emissioni.
Mi rendo conto di aver semplificato molto la questione, in quanto gli scenari sono diversi, più variegati e via cantando, ma il senso della discussione che a me interessa portare avanti, non cambia più di tanto a seconda dello scenario utilizzato.
E torniamo alla nostra COP di Dubai. Attualmente lo scontro si è concentrato tra Paesi che vogliono la graduale eliminazione dei combustibili fossili e che, guarda caso, coincidono con quelli che NON producono combustibili fossili e Paesi che, invece, di eliminazione del consumo dei combustibili fossili non vogliono nemmeno sentirne parlare e che, guarda sempre il caso, coincidono con quelli che producono i combustibili fossili.
Quando il presidente Al Jaber parlava di scienza che non supporta l’idea dell’eliminazione dei combustibili fossili, si riferiva al fatto che la scienza consente di utilizzare i combustibili fossili a condizione che si abbattano le emissioni. Quindi lui crede nella scienza quando sostiene che per tenere “a portata di mano” gli 1,5 °C, bisogna ridurre, anzi annullare le emissioni di CO2 in atmosfera, ma crede altrettanto fermamente che per ottenere il risultato non bisogna rinunciare all’uso dei combustibili fossili, ma abbattere le emissioni, incrementando i processi di cattura e stoccaggio delle emissioni che, a rigore di logica, è previsto dalla scienza. Il tutto fino a che questi benedetti combustibili fossili ci sono e sono a buon mercato, poi si possono anche eliminare del tutto.
Come si vede le ragioni non stanno da una parte sola, ma la maledetta velocità della comunicazione, impedisce di svolgere ragionamenti complessi e riduce tutto a slogan idioti. Oggi otto dicembre lo scontro tra i due schieramenti ha raggiunto un livello inusuale. Il cartello che raggruppa i principali Paesi produttori di petrolio e gas (OPEC) ha comunicato ai suoi membri ed ai Paesi che gravitano intorno ad essi (OPEC+) che nel documento finale della COP 28, è meglio che di “phase-out” non si parli. L’Arabia Saudita, per non perdere tempo, ha iniziato a svolgere un lavorio a tutto campo, teso a spostare il livello di attenzione dei delegati dall’eliminazione dei combustibili fossili all’eliminazione delle emissioni. Se le cose andranno come sono andate nel caso dell’Esposizione mondiale cui ambiva Roma, c’è poco da dubitare circa l’esito finale dei lavori della COP 28.
Che la vita di coloro che vogliono eliminare gradualmente i combustibili fossili, sia molto difficile, è dimostrato dalla posizione della Cina e del G77 (Paesi in via di sviluppo) che considerano “irrealistico” questo obbiettivo. Diciamo che circa la metà dei delegati non supporta l’idea di eliminare gradualmente i combustibili fossili e molti, ma molti di più, sono contrari all’eliminazione di tutti i combustibili fossili.
E’ in questo quadro che si inseriscono, infine, le fughe in avanti di coloro che vogliono raddoppiare l’utilizzo della fonte nucleare e/o triplicare l’uso delle fonti rinnovabili: se proprio bisogna eliminare i combustibili fossili, bisogna pur trovare un’alternativa perché, in caso contrario, ci dobbiamo preparare a tornare nelle caverne. Di questo abbiamo già discusso, però, nel post precedente
La prossima fase delle trattative, condotta questa volta dai politici, al livello ministeriale, ci consentirà di capire come andrà a finire, ma ora vediamo cosa è successo in questa prima fase di trattative “tecniche”.
La maggior parte dei fascicoli inerenti i lavori sono stati chiusi con documenti di qualche paginetta in cui, preso atto che non esisteva consenso tra le parti, tutto veniva rinviato al prossimo incontro di Bonn a giugno 2024. In alcuni casi le Parti hanno raggiunto il consenso di proseguire il dialogo a giugno 2024. Su altri argomenti meno divisivi il consenso è stato registrato, per cui i documenti appaiono abbastanza definitivi, ma riguardano aspetti marginali e di natura amministrativa, atti a consentire il funzionamento degli organi delle Nazioni Unite che si occupano di clima.
Molti fascicoli sono ancora in alto mare a causa di forti disaccordi tra le parti, per cui si potrebbe addirittura arrivare alla conclusione più temuta: “nessun testo”. Molto complicate le discussioni sull’art. 6 dell’Accordo di Parigi relativo agli impegni volontari nazionali in materia di contenimento delle emissioni, mercati del carbonio formali e non formali, doppia contabilizzazione delle riduzioni delle emissioni, ecc.: le opzioni e/o le parentesi sono ancora centinaia.
Stesso discorso deve essere fatto per quel che riguarda il bilancio globale delle emissioni. L’art. 14 dell’Accordo di Parigi stabiliva che il bilancio dovesse essere fatto una prima volta nel 2023, ma sembra che le parti non siano in grado di raggiungere un’intesa. Si teme che su molti punti non si riesca addirittura a stilare un testo. In questo fascicolo rientra anche la spinosa questione dell’eliminazione dei combustibili fossili, di cui ho discusso in questo articolo e l’ultima bozza di risoluzione, relativamente ai combustibili fossili, prevede cinque opzioni (copiato direttamente dalla bozza del documento):
Option 1: A phase out of fossil fuels in line with best available science;
Option 2: Phasing out of fossil fuels in line with best available science, the IPCC’s 1.5 pathways and the principles and provisions of the Paris Agreement;
Option 3: A phase-out of unabated fossil fuels recognizing the need for a peak in their consumption in this decade and underlining the importance for the energy sector to be predominantly free of fossil fuels well ahead of 2050;
Option 4: Phasing out unabated fossil fuels and to rapidly reducing their use so as to achieve net-zero CO2 in energy systems by or around mid-century;
Option 5: no text
Il documento sull’art. 14 dell’Accordo di Parigi in corso di elaborazione è strutturato in ben 27 pagine zeppe di parentesi ed opzioni: a titolo di confronto si consideri che l’intero Accordo di Parigi è contenuto in 25 pagine! Nella tarda serata dell’otto dicembre non era ancora comparsa la terza versione della bozza, per cui, sarcasticamente, un osservatore faceva notare che tutto questo impegno dei delegati era encomiabile, ma poco utile: alla fine avrebbero deciso USA, UE e Cina. Si tenga presente, infine, che la lettera ai membri dell’OPEC con cui li si metteva in guardia circa i pericoli legati all’inserimento della parola eliminazione con riferimento ai combustibili fossili, è posteriore alla seconda versione del documento.
Notiziola finale: sembra che la prossima COP si svolgerà in Azerbaijan, essendo venuto meno il veto dell’Armenia, alla luce di un possibile trattato di pace definitivo tra i due Stati.
Sentivo in trattoria un noto tiggì dar l’annuncio a suon di fanfare della raggiunta di uno “storico accordo”.
Che volessero sbaraccare per tempo, che le feste son vicine?..
“Coloro che vogliono eliminare i combustibili fossili” entro il 2050 hanno idea di che tipo di mondo vivremmo da qui ai prossimi 10-15 anni?
Altro che regresso alle caverne, nelle nostre città assisteremmo a scene apocalittiche da day after. Anzi, qualcuno, pur di risolvere il problema, potrebbe davvero scatenare l’inverno nucleare.
AGGIORNAMENTO
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Nella notte tra l’otto ed il nove dicembre si cominciò a parlare di un documento che l’OPEC avrebbe inviato ai suoi membri effettivi (13) ed a quelli associati (10) per complessivi 23 Paesi. Si trattava di un’anticipazione “catturata” da The Guardian che ha creato il panico nella sede della COP 28. Il giorno successivo l’illazione divenne certezza: il documento fu pubblicato ufficialmente. Ormai era chiaro che la Comunità internazionale era spaccata e, in questo, molto dovrebbe aver fatto la Russia. Nel suo viaggio in Arabia Saudita si pensa che il presidente Putin abbia concordato questa linea di azione con l’omologo saudita: i due Paesi producono oltre il 20% del petrolio in circolazione e, quindi, hanno un peso notevolissimo nel decidere le sorti del commercio globale di petrolio. Per non parlare del peso dei due colossi energetici nella produzione e commercializzazione del gas naturale.
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Come era facile intuire le questioni geopolitiche stanno fortemente influenzando la COP 28 e, credo, che qualcuno voglia far capire al Nord globale che i conti si fanno in due: il mondo unipolare è finito, sembra di leggere tra le righe. Tornando, comunque, alle problematiche più squisitamente climatiche, vediamo di capire cosa è successo alla COP 28.
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Nella giornata di oggi (11/12) è apparsa la nuova bozza di documento sul bilancio globale delle emissioni e, come per incanto, è scomparsa l’eliminazione graduale dei combustibili fossili. Il linguaggio si è fatto più sfumato e abbondano i riferimenti alle tecnologie di cattura e sequestro delle emissioni. Il vertice è sull’orlo del fallimento e ciò è dimostrato dalla rabbiosa reazione della delegazione europea che ha minacciato l’abbandono dei lavori.
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Si tratta di reazioni scomposte ed ingiustificabili, in quanto gli europei pretenderebbero di eliminare i combustibili fossili per tutti, quindi, anche per i Paesi in via di sviluppo e, per giunta, non intendono offrire nulla quale contropartita. La presunzione e l’arroganza di questi delegati è stupefacente.
I Paesi in via di sviluppo sarebbero anche disposti ad eliminare i combustibili fossili gradualmente, ma pretendono, giustamente, una contropartita finanziaria tale da consentire loro di svilupparsi. In alternativa chiedono che siano i Paesi sviluppati ad eliminare gradualmente i combustibili fossili, alla luce di una responsabilità differenziata legata ai trascorsi coloniali dell’Occidente globale. In questa fase delle trattative ho l’impressione che siano i Paesi in via di sviluppo a mostrare un grande senso di realismo. Il documento è debole e poco coerente con le richieste scientifiche, ma in mancanza di valide alternative ai combustibili fossili, non abbiamo alternative, hanno comunicato. Chapeau!
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Non mi sento assolutamente di condannare la tesi dei Paesi in via di sviluppo: hanno perfettamente ragione. Non possiamo loro imporre una condanna al sottosviluppo perché temiamo che i cambiamenti climatici possano mettere a repentaglio il nostro modo di vivere. Cambiamo il nostro modo di vivere e poi ne parliamo, mi sento di suggerire.
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Lo stallo sul documento relativo al bilancio globale, ha avuto ripercussioni su tutti gli altri documenti in corso di discussione, per cui tutto è in alto mare. Stasera sono in corso febbrili trattative in vista della scadenza di domani: alle 11,00 del 12 dicembre la COP 28 dovrebbe chiudere i battenti. Non succederà, per cui prepariamoci, come è ormai consuetudine, ai tempi supplementari.
Ciao, Donato.
Armiamoci e partite :
https://simpleflying.com/private-jet-flights-cop-28-carbon-footprint/