Sabato 4 novembre, il Corriere della Sera ha dedicato la pagina 6 alle tempeste atlantiche (“Perché Ciaran ha travolto l’Italia. E quanto durerà”, P. Virtuani), col proposito di fornire informazioni sulle loro caratteristiche e sull’andamento temporale.
Tutto l’articolo è strutturato in modo da focalizzare l’attenzione sulla temperatura delle acque oceaniche, con l’evidente messaggio che vi sia una solida conoscenza scientifica in merito alla correlazione diretta fra tale parametro e l’intensità delle tempeste. Anche le figure a corredo del testo, con le relative frasi in esse contenute, risultano ben funzionali all’impostazione ora detta; ad esempio, entro uno schema riferito alla formazione dei cicloni extratropicali, come appunto Ciaran, si legge: «Passando sopra le acque calde dell’oceano richiama umidità. Più calda è l’acqua, maggiore è la grandezza e la forza del ciclone». Affermazioni che – con grande bonarietà – possiamo definire misteriose.
Lo scritto è sviluppato in forma dialogica, con nove domande e relative risposte; di seguito ne commenterò le tre che mi paiono più significative per comprendere l’impostazione generale.
- 1 = «Come si è formato il ciclone Ciaran?»
- = «È una tempesta atlantica extratropicale, frequente alle nostre latitudini tra la tarda estate e l’autunno. […]».
È evidente che pure questa frase suggerisce che il punto nodale sia dato dalle elevate temperature superficiali, considerando il periodo dell’anno indicato per la frequenza prevalente dei fenomeni in oggetto. Purtroppo, non è fornito alcun dato a supporto di ciò, per cui il lettore deve prendere la cosa per oro colato. Se invece si volessero fare delle verifiche, sarà necessario ricercare delle statistiche in merito alle rilevazioni effettuate nel tempo sulle tempeste atlantiche.
MeteoFrance, l’ente meteo-climatico nazionale transalpino, studia da tempo il fenomeno in modo sistematico, potendo così fornire, in una sezione ad hoc del suo sito web, una notevole quantità di materiale informativo; da tale materiale deriva quanto segue.
L’individuazione e la classificazione di una tempesta sono fatte in base alla massima velocità del vento, considerando quattro valori soglia: 100, 120, 140 e 160 km/h. Viene elaborato un indice di intensità (SSI, Storm Severity Index), applicando una formula che richiede la valutazione delle percentuali di territorio francese ove il vento ha superato le suddette soglie. Seguendo questo approccio, MeteoFrance ha creato un archivio nel quale, dal 1980 al 2020, risultano catalogati 375 eventi, ripartiti in 9 “eccezionali” (SSI > 12), 36 “forti” (SSI tra 4 e 12) e 330 “moderati” (SSI < 4). Le tempeste di origine mediterranea rappresentano il 19% del totale e hanno una violenza media assai inferiore a quelle atlantiche; solo una, infatti, rientra tra le 40 con l’indice più alto.
Nell’ambito degli eventi atlantici, MeteoFrance riconosce 44 casi principali, sempre dal 1980 al 2020. Controllando le rispettive date di occorrenza, ho potuto così valutare la distribuzione della loro frequenza nel corso dell’anno, sintetizzandola nell’istogramma sottostante.
Il commento è quanto mai evidente: una netta prevalenza dell’inverno (64%), seguito dall’autunno (27%). Una statistica che pare in netto contrasto con la risposta n°1, tenendo oltretutto conto che nel bimestre agosto-settembre ricade 1 solo evento. La concentrazione delle tempeste nella stagione invernale credo che contrasti notevolmente con l’idea che il tutto sia guidato dalle alte temperature dell’oceano.
- 7 = «L’attuale tempesta è collegabile ai cambiamenti climatici?»
- = «Il Nord Atlantico nel 2023 ha registrato un riscaldamento significativo, che ha di gran lunga superato sia le medie trentennali che il primato precedente che risaliva solo all’anno scorso. Tempeste simili a Ciaran ci sono sempre state, ma abbiamo visto che i cambiamenti climatici le stanno rendendo più intense. Molti fenomeni meteorologici negli ultimi tempi sono stati amplificati. Occorrerà capire se le infrastrutture sono ancora adeguate per resistere a impatti di questo tipo».
Una risposta che non lascia dubbi sull’intensificazione che le tempeste avrebbero registrato, a causa del riscaldamento globale; una variazione così marcata da far affermare che certe infrastrutture potrebbero non essere più idonee a sopportare i mutati impatti. I dati francesi smentiscono però categoricamente questa visione, evidenziando invece una moderata riduzione nel corso degli ultimi decenni. Nel grafico successivo, i colori distinguono appunto i cinque diversi intervalli decennali (il quinto è ovviamente quello in corso), permettendo bene di apprezzare come il periodo più vicino all’attuale sia stato caratterizzato da un quadro più tranquillo rispetto al precedente. Anche Ciaran è indicata nella figura; con un SSI valutabile intorno a 6,2 è classificabile come “forte”, risultando al 27° posto in un ordine decrescente di violenza: quindi un evento considerevole ma di certo non epocale come comunicato su tutti media.
Vi è inoltre da sottolineare che Meteo France ricorda che, anche a proposito delle previsioni climatiche, non vi è affatto accordo sul futuro rapporto fra temperature e tempeste, per cui il lo stato dell’arte è ben lontano da quelle idee che l’articolo del Corriere vuole diffondere.
Va poi ulteriormente precisato che in Francia esiste un organo statale (ONERC, Observatoire National sur les Effets du Réchauffement Climatique), creato nel 2001 con l’obiettivo di aiutare il Parlamento e il Governo a tradurre in pratica la volontà di inserire gli effetti del cambiamento climatico nelle politiche pubbliche ambientali; un organo pertanto istituzionalmente votato a rimarcare certi presunti rischi piuttosto che a sminuirne la gravità. Ebbene, lo stesso ONERC afferma testualmente – alla pag. 77 del suo rapporto ufficiale (2019) sugli eventi meteorologici estremi (“Les événements météorologiques extrêmes dans un contexte de changement climatique”) – che: «Le proiezioni non mostrano in effetti alcuna tendenza significativa di lungo termine sulla frequenza e l’intensità delle tempeste, sia a riguardo dell’orizzonte temporale del 2050, sia di quello del 2100».
Insomma, un quadro reale che nulla ha a che vedere con quanto il lettore apprende dalla lettura del Corriere.
- 5 = «C’è una similitudine con il 4 novembre 1966 con l’alluvione di Firenze e l’acqua alta da record a Venezia?»
- = «Quella del 1966 e Ciaran sono perturbazioni molto estese di tipo analogo. La differenza è che ora le temperature, e quindi le energie in gioco, sono molto più alte».
Un’altra risposta del tutto inadeguata, rispetto alle conoscenze meteorologiche e climatologiche sui due eventi, che ripetutamente in questi giorni si è cercato da più parti di associare, con ovvie finalità sensazionalistiche, visto il significato che l’epocale disastro del 1966 ha avuto per la storia della Toscana.
Dal punto di vista circolatorio, l’evento del ’66 è riconducibile a una situazione di blocco, concernente la lenta evoluzione di una profonda saccatura stretta tra due robuste strutture anticicloniche. Tale saccatura, approfonditasi fin oltre Gibilterra, ha comportato sul suo fianco orientale un richiamo verso Nord di aria calda africana che si è arricchita di umidità sul Mediterraneo, per poi scaricare considerevoli quantità di pioggia per molte ore consecutive sulle regioni situate lungo la sua traiettoria di movimento (in particolare, la Toscana e il Veneto).
La carta delle precipitazioni, riferita alle ore 00:00 del 4 novembre 1966 (da rianalisi ERA), consente infatti di osservare nel Mediterraneo occidentale un’area interessata dal fenomeno, area avente forma allungata secondo i meridiani, frutto proprio del quadro circolatorio sinottico ora accennato. Al contempo, sull’Atlantico non risulta nulla di rilevante.
La situazione determinata dalla perturbazione Ciaran appare completamente diversa. La relativa carta delle precipitazioni, riferita alle ore 18:00 del 2 novembre 2023 (da rianalisi CFS), evidenzia molto bene la struttura ciclonica centrata sul Mare del Nord, con ampissime aree interessate da abbondanti piogge, tra le quali si osservano quelle di massimo posizionate sull’Italia centro-settentrionale.
In merito al territorio della Toscana, i due eventi che si vorrebbero paragonare sono anche totalmente diversi dal punto di vista dei caratteri pluviometrici che li hanno contraddistinti.
- Il passaggio di Ciaran ha comportato, nel complesso, accumuli consistenti ma non eccezionali, cioè in linea con quanto si riscontra per le perturbazioni intense del periodo autunnale. I seri danni che si sono verificati sono dovuti ad alcuni eventi estremi ben localizzati, con condizioni di intensità così elevata da determinare la caduta di 150-200 mm in pochissime ore. È significativo a riguardo il record di Pontedera – località di pianura, si badi bene – ove si è misurato un picco di 114 mm in un’ora. Temporali violenti hanno interessato anche le colline prospicenti la zona di Prato, causando delle impetuose e rapidissime piene in alcuni corsi d’acqua minori, con gli effetti drammatici dei quali i media hanno ampiamente riferito nei giorni scorsi.
- Le piogge del 4-5 novembre 1966 rimangono ancora un unicum per l’estensione e la diffusione di grandi quantitativi di precipitazione, come dimostrato dal fatto che sulla superficie data dai bacini idrografici dell’Arno e dell’Ombrone grossetano (11700 km2 in totale) l’afflusso medio è risultato di 179 mm; per capirsi, un valore che normalmente si associa a eventi forti ma localizzati, in quell’occasione aveva contraddistinto un’intera regione. Non vennero però registrati dei particolari picchi di intensità: dall’Annale del Servizio Idrografico si evince che nel bacino dell’Arno non si è quasi mai oltrepassata la soglia dei 30 mm in 1h (il max segnalato è di 36); nel Grossetano i valori sono stati un po’ più alti, ma comunque mai superiori a 50. In effetti, la particolarità dell’evento è da ricercarsi nella continuità della pioggia che, in quasi tutte le stazioni, non ha avuto interruzione per circa 25-27 ore consecutive. Il pluviogramma orario di Firenze (tratto dalla Parte 2 dell’Annale 1966) chiarisce molto bene quanto ora detto.
Considerazioni conclusive – Siamo di fronte all’ennesimo esempio di una divulgazione che dovrebbe informare il lettore di questioni scientifiche e che invece pare votata a convincerlo di un’unica idea: l’incremento delle temperature sta procurando effetti devastanti. Nel caso delle tempeste atlantiche si è visto che non è affatto vero e che è probabile che non sarà così neppure nei decenni a venire. Quello che trovo particolarmente deprimente è il fatto che si ignorino i dati disponibili e che perciò, in relazione a quanto avvenuto per determinati fenomeni, si facciano affermazioni basate su teorie preconcette, invece che su valutazioni statistiche dei valori di grandezze misurate.
NB: l’articolo è uscito in origine sul blog dell’autore.
Avete inviato le vostre osservazioni al Corrierone? Almeno sapranno che non tutti hanno fede in quello che scrivono, che la scienza è altro, non adesione conformistica a opinioni precostituite, presentate come dogmi indiscutibili. E’ invece ricerca, con dati e interpretazioni che aprono il confronto invece di chiuderlo condannando l’altro all’eresia negazionista
Consueta puntuale analisi compresa anche dai profani come il sottoscritto e commenti ponderati e competenti.
All’opposto abbiamo i soliti media impreparati o, peggio, in malafede.
Potrei sbagliarmi, ma anche IPCC prende le distanze da chi intende collegare gli eventi presunti estremi e le temperature dell’Oceano Atlantico, ancor di più dal pretendere di collegare il cambiamento climatico antropogenico (presunto dai loro modelli, anzi, dalle loro previsioni ideologiche) ed eventuale incremento di eventi estremi come tempeste, uragani etc, etc. Non esistono dati sufficienti per poter pensare a questi avvenimenti catastrofici e gli stessi non sono registrati in correlazione. Hanno persino reso evidente che, secondo loro (IPCC), non esiste alcuna crisi climatica e la stessa è resa tale solo da certa stampa.
In Italia, in quadro scientifico e divulgativo carente di suo, siamo capaci di toccare il fondo ed andare a scavare ben oltre, pur di far prevalere lo slogan di turno (riscaldamento globale, prima, cambiamento climatico, adesso, con in mezzo altre condizioni scientifiche e storiche che qui non trattiamo per logico rispetto delle Scienze).
Relativamente al nesso “cambiamento climatico/aumento fenomeni estremi” coloro che lo sostengono non hanno mai letto il rapporto dell’IPCC, pur citandolo senza soluzione di continuità. Qui di seguito allego la tabella del Capitolo 12 “Climate change information for regional impact and for risk assessment”: la caselle bianche significano…”nessuna tendenza”.
Immagine allegata
Grazie per l’articolo. Sono tra gli alluvionati di Campi Bisenzio e concordo sull’eccezionalita’ dell’evento, sebbene con una lettura completamente diversa dalla narrazione dei media. Altro che tempesta atlantica… qui ogni 10km c’è una variazione nei cumulativi di pioggia superiori al 100%. Con configurazioni simili, mi sarei atteso eventi eccezionali in Versilia o val di Vara, ma non a quasi 100km dal mare. Le cause sono da cercare altrove, da un mix unico di fattori (correnti di scirocco al suolo, allineate con la topografia della piana di FI- PO- PT; correnti di libeccio tese alle quote medie, divergenti e impattante sull’Appennino, orario pomeridiano, terreni impregnati da oltre 10gg di pioggia precedenti…) amplificati da una topografia che vede il passaggio dai 1000m al livello del mare in 3-5km in linea d’aria. Al lavoro andai via in anticipo; a mia moglie a ora di pranzo a telefono le suggerii di venire via, perché dal satellite era evidente che si stesse preparando la “tempesta perfetta”. Almeno ho salvato le auto… Il risultato è quello che pochi conoscono: il fiume Bisenzio ha assunto nel suo breve corso una portata quasi doppia rispetto al suo alveo, ha abbattuto muri e argini vecchi di secoli, e il reticolo minore, fatto di canali e torrenti pensili, ha esondato ovunque in un’area di appena 200kmq. Altrove anche in Toscana, solo piene e allagamenti ordinari, come in tutti gli autunni che poi possiamo affermare essere nella media. L’unico elemento degno di nota a livello regionale è stato il vento del giorno dopo 3 novembre, con mareggiate importanti sulla costa. Un evento del genere lo può “prevedere” solo la statistica e la conoscenza del territorio, dove dopo l’ultimo evento del 1991 “sebbene di minore entità”, non è stato fatto praticamente nulla., sapendo che i precedenti avevano tempi di ritorno di 20-25 anni. Un evento simile? Forse quello dell’ottobre 1954 a Salerno. Ultima nota: ormai tutti concordano che se l’evento di rottura degli argini fosse avvenuto di giorno e non a tarda sera, forse ora piangeremmo centinaia di vittime. Una cosa è certa: il presunto deterioramento del clima va di pari passo con il peggioramento del governo dei territori, il loro sovrappopolamento, deturpamento e sovrasfruttamento, con abbandono e trascuratezza gestionale a corredo. Grazie a tutti coloro che scrivono su questo blog e gettano luce sul neo-oscurantismo dei nostri tempi.
E’ il principale problema del nostro territorio la presenza di numerosissmi microclimi e varianti locali, dettate dai capricci della nostra tormentata orografia. Oltre, naturalmente, alle modifiche/sfruttamento del territorio.
Si dice localmente che Roseto degli Abruzzi (TE) abbia un suo microclima, e dove fa da altre parti lì non fa, e viceversa.
Dopo il “blizzard” del passato sabato con Tramontana e gragnuolate, Scerne di Pineto (TE) ha ancora i campi a ridosso della costa che sono acquitrini, quasi suggestivi a vederli con il sole di ieri. Mi dicono che esistevano pure tante “cavate” che aiutavano a far defluire l’acqua dai vicini colli, poi sparite, lasciate a sè o tombate.
Io abito alla base di una collina a 4.5km dalla costa. Sono relativamente protetto dai venti a componente meridionale: quando soffia lo Scirocco o l’Ostro, da me giunge solo qualche turbolenza. Dovessi salire sul vicino colle di Torre San Rocco (uno dei tanti “passaggi a nordovest” per evitare la SS16 e per dirigersi in paesi limitrofi), non riuscirei a tenermi in piedi dal vento che spira violentissimo sul crinale. Così come se vado sulla costa lo Scirocco è molto più libero di soffiare forte e costante.
Sono relativamente protetto dal Garbino così come sono invece preso in pieno da venti di Ponente (con effetto incanalamento che lo rende ancora più forte localmente), Maestrale e Tramontana…. E ovviamente mi prende in pieno il vento che a me e al mio Conterraneo -acquisito da oriundo che sono- tradizionalmente può portare la neve sul lato costiero, cioè il Grecale.
Su in quel di Brescia, di dove sono le mie origini, sei “in trappola”, specialmente se ti allontani di pochi km verso sud dalla città, che in parte si salva perchè appoggiata sui colli prealpini. Per pochi anni ho abitato a 10km sudovest della città, a Torbole Casaglia: muro di nebbia in inverno, odore penentrante di allevamenti intensivi in estate.
Non si muove nulla e il cielo è generalmente caliginoso, a meno che non abiti in Valle Camonica o in valli limitrofe. Per muovere qualcosa servono folate di Foehn, il refolo di Bora che riesce ad spingersi fino in zona, o il sistema frontale che ti porta la sciroccata, travestita da venti localmente orientali.
I temporali primaverili o estivi vengono bloccati dai monti, tranne le “sarneghère” (da Sarnico, paese bergamasco sul basso lago d’iseo) , che arrivano violente in città perchè arricchitesi del vapore acqueo catturato dalle acque del lago d’Iseo. Ma il più delle volte vedi nero a ovest e il papà inesorabilmente sentenzia “non arriva”. E infatti il temporale non avanzava e si dissolveva sul posto, bloccato dalle vicine Prealpi.
In compenso ci sono paesi limitrofi a BS dove ogni temporale che transita è un macello. Rovato, verso ovest, oppure Lonato o Desenzano a est sono fra i disaster-preferred.
Il Lago di Garda ha a sua volta propri sistemi di venti locali e microclima locale, e dista 30km dalla città.
Pochi esempi alla spicciolata per evidenziare grandi differenze di effetti che si possono avere su brevi distanze.
il mercato!
E’ il mercato la chiave del clima.
La lotta è utile al mercato e non ad altro.
Poi si scopre che le soluzioni sono peggiori del male che si vorrebbe limitare, ma è tutto nel logico contesto dell’espanzione dei mercati: nuovi problemi (indotti) e nuove soluzioni (indotte).
Qualcuno ha l’ardire di credere che la lotta ai cambiamenti climatici ha lo scopo di salvare il pianeta?
ahahahahahahahaah (grassa risata)
L’unico ambiente da salvare è quello economico. Con buona pace di gretini e plasmati imbrattatori di opere artistiche
Attualmente,le linee editoriali prevalgono sull’accuratezza scientifica – e a maggior ragione quando il confronto oppone “la mia statistica” contro “la tua statistica”.
Inoltre, la “cultura della cancellazione” mostra quanto sia diventato potente l’arsenale mediatico dispiegabile contro i dissenzienti.
Tanta potenza di fuoco mediatica rischia di diventare incontrollabile… un paio di decoli fa se ne accorsero i rivoluzionari francesi, molti dei quali finirono “accorciati” come i loro accusati e, nonostante la formidabile etichetta di “Libertà, uguaglianza, fraternità”, in meno di dieci anni, eliminato un re incapace, si ritrovarono soggiogati da un dittatore sanguinario.
E l’etichetta “Salvare il pianeta” mi sembra ancora più formidabile…
A titolo di curiosità, dal mio solito caro vecchio libercolo di Gunter dott. Roth, allego un paio di immagini relative alla situazione di 4 gg dopo, ovvero 8 novembre 1966.
Si vedono ancora i remants della saccatura che causò la famosa alluvione.
La situazione descritta fa parte delle 17 cartine descritte nel capitolo “Alcune situazioni tipiche in Europa”. (Guida alla Meteorologia, stampa 1984, ma l’edizione originaria è del 1979)
La prima immagine è qui allegata, mentre un ingrandimento delle cartine lo metterò poi in “autorisposta”
Immagine allegata
La cartine di cui sopra, ingrandite.
Immagine allegata