di Gianluca Alimonti, Luigi Mariani, Sergio Pinna
- Premessa
Le precipitazioni alluvionali registrate in Emilia Romagna l’1-3 maggio e il 16-17 maggio 2023 hanno prodotto estesi allagamenti di aree urbane e rurali con 15 morti e danni ingenti. Il territorio montano dei bacini idrografici coinvolti nell’evento (Reno, Idice, Santerno, Senio, Lamone e Marzeno) è stato dal canto suo interessato da diffusi fenomeni franosi.
Con questa nota ci proponiamo di effettuare un’analisi sulla base dei dati degli Annali idrologici del Servizio Idrografico del Ministero dei lavori Pubblici – Compartimento di Bologna, qui di seguito designati per brevità come “Annali”.
L’analisi da noi effettuata si riferisce da un lato ad eventi pluviometrici estremi riferiti ai bacini sopra elencati e dall’altro agli eventi alluvionali che da essi sono conseguiti. Questi ultimi (sette in tutto) sono in numero inferiore rispetto agli eventi pluviometri estremi da noi reperiti e sono quelli per cui gli Annali idrologici hanno riportato le analisi dell’evento.
- Aspetti circolatori a scala sinottica e mesoscala
I due eventi alluvionali in oggetto sono stati originati da situazioni circolatorie piuttosto simili; l’analisi riferita al livello barico di 850 hPa mette in luce che i determinanti sono minimi depressionari tirrenici innescati da masse d’aria fredda di origine artica. Tali minimi nel loro moto verso Nord si sono posizionati tra Tirreno e Adriatico (figura 1) esponendo l’Appennino Emiliano-Romagnolo ad un flusso di correnti da Nordest che per effetto Stau ha dato luogo a piogge abbondanti.
3. Dati cartografici e tabellari
Le carte in figura 2 mostrano la distribuzione delle piogge nei due eventi dell’1-3 maggio e 16-17 maggio 2023. Da esse si nota che:
- I massimi (aree in rosa) sono per lo più compresi fra 150 e 200 mm e solo in aree di estensione molto ridotta si sono superati i 200 mm.
- Il fatto che i due eventi abbiano colpito la medesima zona a breve distanza temporale ha certamente contribuito ad acuirne gli effetti complessivi sul territorio. Certamente un fatto raro, che tuttavia – a giudizio di chi scrive – non può essere attribuito al cambiamento climatico antropogenico. Si noti in proposito che le due alluvioni “consecutive” non sono un unicum: nel 1939 si ebbero infatti due marcati eventi di piena nel bacino del Reno, a distanza di un paio di settimane (fine maggio e metà giugno, da Annale 1939, Parte II, pag. 112 e seguenti).
Inoltre per riflettere sul livello di anomalia degli eventi pluviometrici alluvionali del maggio 2023 è opportuno considerare i valori di precipitazione rilevati in alcuni eventi estremi del passato e riportati dagli Annali. Da questi provengono i dati in tabella 3, in cui si riportano le piogge massime registrate in 1, 2 e 5 giorni da alcune stazioni emiliano-romagnole, che il lettore è invitato a confrontare con i dati riportati nelle carte in figura 2 e nelle tabelle 1 e 2 e riferiti alle alluvioni del maggio 2023.
Dai dati emerge in sostanza che totali pluviometrici paragonabili a quelli registrati negli episodi del 2023 erano già stati misurati nel corso di eventi accaduti in periodi che precedono la fase climatica attuale, per cui la comprensione dell’entità dei danni registrati non può ad avviso di chi scrive prescindere sia delle variazioni temporali nell’uso del suolo in pianura e in montagna, sia delle opere di gestione delle acque piovane.
In figura 3 si presenta l’intensità oraria per alcune stazioni durante l’evento del 1-3 maggio mentre in figura 4 si presenta l’intensità oraria per la stazione di Monghidoro nell’evento del 16-17 maggio.
- L’evento alluvionale del Novembre 1966
La figura 5 illustra le precipitazioni totali dalle ore 9 del 3 alle ore 9 del 5 novembre 1966 che a nostro avviso può essere in prima battuta considerato come il “big one” in termini di intensità ed estensione dei fenomeni. Il diagramma in figura 6 mostra l’area di oltre 2000 km2 che nell’evento ha presentato precipitazioni superiori a 200 mm in 48 ore (si noti che su un’area di 250 km2 si sono superati i 275 mm) mentre la figura 7 descrive le aree alluvionate. La figura 8 mostra la precipitazione cumulata in funzione dell’area interessata per i due eventi del maggio 2023: valori superiori ai 200 mm si sono avuti su aree inferiori ai 50 km2 per l’evento dell’1-3 maggio ed inferiori a 200 km2 per l’evento del 16-17 maggio.
- Il confronto dell’evento di maggio 2023 con l’evento delle Marche del 15 settembre 2022
E’ interessante confrontare i due eventi dell’Emilia Romagna (1-3 maggio e 16-17 maggio 2023) con quello delle Marche del 15 settembre 2022. L’alluvione marchigiana è stata determinata da precipitazioni molto più intense di quelle registrate in Emilia Romagna nel maggio 2023: è durata infatti solo 5 ore (dalle 15 al)le 20 e la stazione meteorologica di Cantiano ha superato i 100 millimetri di pioggia in un’ora e i 300 millimetri nell’arco dell’intero evento. In Emilia Romagna invece l’evento dell’1-3 maggio si è protratto dalle 14 del primo maggio alle 4 del 3 maggio con un precipitazione totale di 224 millimetri in 43 ore registrati dalla stazione di San Cassiano (figura 3). L’evento tra il 16 e il 17 maggio ha invece presentato una durata complessiva di 36 ore e la stazione di Monghidoro ha avuto un’intensità massima oraria di 11,3 millimetri per un totale complessivo di poco superiore ai 200 mm (figura 4). In ambedue i casi, in Emilia Romagna le precipitazioni sono state continue, senza i picchi estremi che fanno parlare di rovescio violento, il che fa più pensare alle piogge tipiche di nembostrati, formazioni diverse dai cumulonembi che portano i rovesci.
- Le attuali discussioni alla luce del reale contesto storico
Importante sarebbe oggi trarre insegnamento dalle serie storiche di dati pluviometrici ricavati in quasi un secolo di attività dal nostro Servizio Idrografico, integrandoli con i dati raccolti dagli enti che hanno avuto in eredità il monitoraggio meteo-idrologico a seguito dell’abolizione del Servizio Idrografico sancita dalla Legge n. 191 del 1998 (Bassanini-ter). Infatti le serie storiche di dati pluviometrici costituiscono a nostro avviso una base insostituibile per progettare le opere di gestione delle acque piovane in eccesso alle diverse scale e l’idea secondo cui i dati pregressi non sono più utilizzabili per colpa del cambiamento climatico che avrebbe sconvolto il regime delle precipitazioni è da ritenere un preconcetto che non ha fondamento nei dati osservativi e che rischia di favorire un approccio irrazionale a una tematica tanto cruciale per la sicurezza delle popolazioni.
Una conferma di questa nostra idea viene dai grafici che illustrano il numero annuo di eventi alluvionali e franosi in Italia dal 1915 al 2022 e i morti conseguenti (figura 9), tratto dal dataset IRPI. I diagrammi, che Guzzetti (2015) aveva presentato per il periodo 1915-2014 sono stati estesi fino al 2022 utilizzando dati tratti dai report IRPI di cui alla tabella 4. Si noti che a parte la catastrofe del Vajont (9 ottobre 1963) che costituisce una tragica eccezione, il numero di eventi e la mortalità legata agli stessi non mostrano tendenze all’incremento, il che depone appunto a favore della stazionarietà dei fenomeni e dell’assenza della crisi climatica paventata da molti.
A riguardo dei fatti recenti in Emilia-Romagna, è importante precisare che Negli Annali Idrologici del Servizio Idrografico del Ministero LLPP è reperibile un’ampia documentazione (carte a isoiete, grafici, tabelle e altro) volta a descrivere degli episodi di gravi piene alluvionali che – negli anni 1937, 1939, 1940, 1951, 1956, 1959 e 1966 – avevano colpito proprio stesse zone interessate dagli eventi del maggio 2023. Dopo gli anni ’60 Il Servizio Idrografico non ha più prodotto le relazioni sui fatti di rilievo; ne deriva quindi che potrebbero essersi verificate altre piene importanti senza che vi sia un riferimento specifico sugli Annali.
- Alcune idee per aumentare la resilienza a siccità / alluvioni
7.1 Idee generali
Principio di ogni politica di protezione civile è quello di salvaguardare in primis le vite umane e poi i beni. In relazione a ciò riteniamo che oggi sia di primaria importanza ripensare (riprogettare) le opere di gestione delle acque in eccesso (casse di espansione alias vasche di laminazione, ecc.) anche alla luce dei profondi cambiamenti avvenuti nell’uso del suolo negli ultimi decenni (abbandono dell’agricoltura montana con massiccia espansione del bosco, imponenti processi di urbanizzazione delle pianure).
Occorrerebbe inoltre tornare a sviluppare una politica lungimirante dei serbatoi (dai laghetti aziendali alle grandi dighe) alla luce dei loro grandi vantaggi che qui di seguito riassumiamo:
– sono già oggi fonte del 40% del totale nazionale di energia da fonti rinnovabili
– sono un ottimo sistema per stoccare l’energia da fonti rinnovabili discontinue (sole e vento)
– sono un valido strumento di contenimento delle piene (impediscono che si propaghino verso valle causando alluvioni e dissesto idrogeologico)
– sono fonte di acqua per l’agricoltura e per gli usi civili e industriali.
Tale sistema (si pensi ad esempio ai grandi laghi subalpini) è stato efficace per contenere le perdite produttive in agricoltura durante la grande siccità del 2022-23.
7.2 Idee riferita all’agricoltura e alle foreste
Esiste una vasta panoplia di metodi per contrastare gli effetti di siccità e eccesso idrico:
- sistemazioni idraulico-agrarie e idraulico-forestali per gestire le acque in campi e boschi evitando che scendano a valle senza alcun controllo
- scelta di specie e varietà coltivate tolleranti alla siccità (comprese creazioni ex-novo con strategie di miglioramento genetico)
- adottare sistemi irrigui più efficienti e sistemi di irrigazione di precisione da abbinare a modelli di bilancio idrico per gestirli
- adottare agricoltura conservativa per conservare l’acqua nel suolo e proteggere i suoli dall’erosione (minima lavorazione, semina su sodo).
Bibliografia
Guzzetti 2015 Frane e alluvioni una lunga storia italiana – Eventi e morti in Italia 1915-2015 – EcoScienza-2015-12
Annali Idrologici, ISPRA http://www.bio.isprambiente.it/annalipdf/
Ottimo il livello dell’articolo e anche quello dei commenti. Al riguardo vorrei ricordare che nel passato l’Emilia Romagna è stata teatro di episodi simili,in Romagna,nel Luglio 1976 e nel settembre 1910. Anche in questi casi mareggiate violente e piogge intense portarono danni a cose e persone. E purtroppo ovviamente anche vittime. Nel 1953 un’esondazione della Trebbia fu causata da una pioggia intensa di 300 mm in 24 ore,quindi un evento apparentemente anche più grave di quello dei mesi passati. Vorrei concludere ricordando l’alluvione che colpì la Pianura Padana nella prima metà del 1300 ( Vasari scriveva che era avvenuta nel 1350,ma probabilmente l’evento era accaduto qualche anno prima). Tale alluvione,che interessó la zona tra Piacenza e Mantova,portò alla morte di 10000 persone. Secondo le cronache dell’epoca,evidentemente ormai dimenticate.
[…] Riportiamo nuovamente il link all’articolo segnalato la scorsa settimana http://www.climatemonitor.it/?p=58210 […]
La progettazione delle opere idrauliche non può prescindere dai dati raccolti nel corso degli anni e dei decenni. Tutti i metodi di calcolo che utilizzano gli ingegneri idraulici, richiedono la conoscenza delle intensità di pioggia in corrispondenza di specifici intervalli temporali. Non vi può essere protezione del territorio, adattamento et similia senza avere a disposizione dati affidabili circa le piogge storiche in una certa zona. Quando frequentavo l’università negli anni ottanta del secolo scorso, non avevamo grossi problemi ad individuare tali dati: il ministero dei lavori pubblici ed i vari servizi idrografici curavano ed aggiornavano i registri dei dati pluviometrici ed idrografici e li mettevano a disposizione di studiosi e tecnici.
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La mia vita professionale mi ha portato ad interessarmi di altri campi dell’ingegneria, per cui non ho avuto necessità di ricercare i dati pluviometrici ed idrografici che utilizzavo per preparare gli esami di costruzioni idrauliche ed idraulica. Ho potuto verificare con mano, però, che oggi è molto più difficile reperire questi dati. Ne ha fatto le spese mio figlio che ha incontrato grossi problemi quando ha cercato questi dati per sostenere i miei stessi esami universitari. Detto in altri termini, è peggiorata in modo sostanziale la base di dati necessaria per effettuare una progettazione seria delle opere idrauliche, necessarie a salvaguardare il territorio.
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Oggi si parla tanto di difesa del territorio, ma se noi smantelliamo il sistema di aggiornamento dei dati pluviometrici ed idrografici, se rendiamo impossibile reperire ed aggiornare i dati storici delle precipitazioni, parliamo di aria fritta.
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E veniamo, ora, ad un altro aspetto della questione. La salvaguardia del territorio passa attraverso una oculata gestione delle opere di salvaguardia. Una volta le lavorazioni del terreno venivano fatte in modo oculato in modo da evitare il formarsi di accumuli di acqua che erodono il terreno nelle zone acclivi e lo portano a valle. Oggi nessun agricoltore regimenta le acque che cadono sui terreni acclivi che egli coltiva: sarebbe costoso in termini di tempo e di denaro.
Men che meno si procede a regolare manutenzione dei torrenti, dei fossi di scolo, dei canali. Non ne parliamo delle opere di salvaguardia delle strade: cunette intasate, tombini chiusi, fossi di guardia e canalette di sgrondo delle acque che cadono sulla sede stradale inesistenti. Poi ci si lamenta delle alluvioni, dei dissesti e si invocano miracolosi interventi di mitigazione.
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Il discorso è molto semplice. Per limitare gli eventi che distruggono i nostri territori, bisogna curare i territori, realizzare o, per essere più precisi, ripristinare le vecchie buone pratiche di salvaguardia diffusa. Invece di buttare miliardi in inutili infrastrutture informatiche, sarebbe più opportuno investire nella salvaguardia del territorio ripristinando efficienti servizi di rilevazione dei dati, di aggiornamento degli archivi e via cantando. Automatizzare il rilievo dei dati e dimenticarsi della manutenzione del sistema è la norma, per cui i risultati sono quelli che vediamo: archivi sempre più lacunosi ed inaffidabili. E’ necessario, infine, impostare piani di manutenzione delle opere idrauliche esistenti, crearne di nuove ed imporre, ove necessario, tecniche di coltivazione che garantiscano una salvaguardia diffusa del territorio.
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Ci sarebbe tanto altro da dire, ma preferisco fermarmi qui, tanto, la mia, sarà la solita voce che grida nel deserto. Scrivo queste note per testimonianza storica, ed a futura memoria, non con la speranza che possano cambiare qualcosa in questo mondo che va sempre più a rotoli.
Ciao, Donato.
Salve a tutti. Articolo condivisibile se non che devo fare un appunto riguardo alla costruzione di nuove dighe per lo stoccaggio dell’acqua. Vi riporto un link, tratto dal sito del CIRF (Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale) di cui sono socio da una dozzina di anni, a tal proposito, dove sono menzionati una serie di consigli e proposte su come vadano gestiti gli afflussi d’acqua in eccesso: https://www.cirf.org/it/siccita-alluvioni-e-gestione-corsi-acqua-per-adattamento-al-cambiamento-climatico-servono-soluzioni-integrate-e-basate-sulla-natura/ . Sostanzialmente, oltre al dover dare molto più spazio ai fiumi – quello che gli abbiamo tolto, per intenderci – gli eccessi d’acqua devono poter essere stoccati nel posto più naturale che ci sia, ossia nelle falde acquifere, per una serie di motivi importanti. Dobbiamo in definitiva creare le condizioni per far sì che l’acqua vada a finire nelle falde. Creare nuovi bacini e nuove dighe porta sia a interrompere il normale scorrimento dei detriti dei fiumi con la interruzione della connettività fluviale, con tutto ciò che ne consegue e che potete leggere al link sopra indicato, e sia ad alterare lo stato naturale degli stessi dal punto di vista naturalistico. Poi ci sono molti altri motivi, tra cui l’evaporazione da questi bacini che è molto più elevata di quello che ci si aspetti. Insomma, colegatevi al link e leggete questo ed altri aspetti simili perchè non voglio essere pleonastico. Grazie dell’attenzione e, beninteso, non credo come vogliono farci intendere, al disastro del cambiamento climatico in termini catastrofici.
purtroppo da troppissimi anni oramai stiamo assistendo ad una narrazzione abberrante di cio che sta accadendo al clima ..colpisce una miriade di parole attribuite a questa cosa ..in primis la cosidetta crisi climatica ,come che tutto cio che avviene sia una sorta di SPA dove come fosse una fabbrica rischi il fallimento ..il clima è sempre mutato ,il nostro pianeta non è una materia statica ,ma viva ,dai continenti al cielo e ad ogni forma di vita ..buttarla poi sulle estremizzazzioni è il voler girare la frittata ammettendo che il clima muta dalla notte dei tempi ….ma quel che è peggio è una scienza manipolata e fatta passare dai pennivendoli il dogma vero e unico ..la mia regione è stata bersagliata dalla tempesta perfetta configuralmente parlando con l,ingrediente aggiunto del effetto stau orografico ..vallo dire ai luminari mario tozzi ..luca mercalli queste idee qua che mi frullano x la testa ?..sono 3 settimane che faccio le guerre di idee sui social e purtroppo devo costatare che la tv ha fatto un ottimo lavoro mentale …i ghiacci non esistono quasi piu ..ce un emergenza siccita alternata a diluvio ..ne hanno sempre una da raccontarti …per questa gente qua ..le piene dei fiumi mai si sono verificate nei scorsi anni come un mese fa …capisco indottrinati ,ma pure smemorati ..questo è diabolico e vergognoso…la tv provinciale di modena che intervista il pluri settantenne che giura di non avere mai visto in vita sua un fiume cosi pieno …quando io ogni anno lo vedo
La media annuale dei morti a causa di alluvioni/frane negli ultimi 50 anni è di circa 40 persone. Negli ultimi 10 è di circa 20 persone. Prevalentemente colte all’esterno degli edifici e talvolta a causa di comportamenti inconsapevolmente rischiosi. Ma non siamo in emergenza. La media annuale dei morti per incidenti domestici è stimata tra i 4.000 e i 6.000. Sono d’accordo che bisogna agire con politiche di ampio respiro, strutturali e non influenzate da emozioni naturali ma contingenti.
Aggiungerei:
Piani di protezione civile e di emergenza semplici, operativi, aggiornati e con momenti di comunicazione alle popolazioni soggette a rischio (quanti sanno di vivere in una casa a rischio idrogeologico? Davvero pochi). E’ necessaria una revisione complessiva di questi strumenti
Il rischio è anche in funzione della vulnerabilità, non solo del territorio come giustamente avete scritto, ma anche dei beni, degli edifici. Le attuali politiche invece sono volte a limitare gli interventi sugli edifici in zona di rischio, con l’idea teorica che in questo modo si disincentiva l’uso e quindi il rischio. In realtà l’impossibilità di intervenire sugli edifici non fa che aumentare la loro vulnerabilità, ma non a diminuirne l’uso, al limite in considerazione della perdita di valore, vedranno un progressivo maggiore utilizzo da fasce di popolazione o attività economicamente più deboli.
Articolo molto intestante che meriterebbe di essere valutato e tenuto in considerazione da chi è chiamato a mettere in atto le iniziative strutturali tese alla salvaguardia del territorio e soprattutto delle popolazioni.
Soprattutto i Comuni della “bassa” e della collina dovrebbero rivedere i piani regolatori con l’ausilio della corretta scienza geologica . Spesso le sia le piccole che le grandi catastrofi hanno origine da abusi edilizi, condonati e non .Anche l’agricoltura deve rivedere l’impostazione, come giustamente fatto presente nell’articolo, sia quella di collina che di pianura.
Basta piangere ed imprecare sempre “ dopo” ben sapendo di non essere stati alle regole “prima”.
Ottimo report, davvero interessante , ulteriore prova della scarsa memoria storica degli eventi e di come purtroppo non si impari proprio nulla dal passato .
Sostanzialmente, un invadentissimo signor Stau, insieme a tanti altri ingredienti e predisposizioni hanno prodotto la micidiale ricetta.
Se modifichi nel corso del tempo una grande fetta di territorio paludoso di origine alluvionale e quasi in depressione per sottrarlo dagli acquitrini e dalla malaria per renderlo vivibile, fertile e coltivabile, non devi mai smettere di preoccuparti di mantenere efficienti tutte opere di bonifica e adattamento, a prescindere che prima o poi ti piombi addosso un evento bruttissimo che però, volenti o nolenti, fa parte del gioco.
Ho vissuto situazioni di più fronti in sequenza (mi pare una caratteristica tipica lo sviluppo in sequenza di più depressioni a breve distanza temporale e con percorsi similari, per il ripetersi delle condizioni favorevoli alla loro generazione), combinati con l’effetto Stau, spesso alquanto imponente da queste parti -Abruzzo costiero-, e queste situazioni, a distanza di una settimana, portano prima alla saturazione del terreno, e poi a seguire portano alle mie “alluvioni personali” (fosso dietro casa che, per come è conformata la collina, raccoglie in parte e indebitamente le acque della SP27 che le gira intorno, a sua volta priva di scoli o canalizzazioni laterali), e portano fanghiglia lungo la stessa provinciale 27 (solito contadinotto che ritiene giusto arare da quasi cima colle fino direttamente a bordo provinciale e basta un temporale che si riversa sulla carreggiata una spatasciata di terriccio e fango), e portano al solito sottopasso autostradale da pagaiare (o scatta il differenziale o si intasano le pompe), e soliti campi limitrofi allagati, che però qui non fanno più notizia.
Segnalo un piccolo refuso nel terzo periodo della Premessa: “Questi ultimi (sette in tutto) sono in numero inferiore rispetto agli eventi pluviometri (-> pluviometrici) estremi da noi reperiti e sono quelli per cui gli Annali idrologici hanno riportato le analisi dell’evento.” E un grazie per il lavoro.
L’immagine risale al mattino del 18 maggio.
Immagine allegata
La Pianura Padana è una pianura alluvionale e dato il nome geologico che gli è stato costruito non credo sia da annoverare tra gli eventi estremi per quelle aree seppur catastrofici.
Da millenni i fiumi portano a valle i sedimenti e la Pianura Padana essendone un deposito di tali compositi non può che esser soggetta a eventi di codesta tipologia.
L’unica parola in proposito è adattamento.
Se ne sono sentite di tutti i colori al riguardo, persino la ridotta differenza di temperatura tra il polo e le fasce tropicali il quale genera le impazzite Westerlies che colano verso sud portando in seno cicloni killer.
Grazie, articolo documentato, pacato e pressoché del tutto condivisibile. Un piccolo appunto su un dettaglio forse marginale rispetto al tema dell’articolo: minima lavorazione/inerbimento/no tillage+ meccanizzazione portano a ridurre, non aumentare, la capacità idrica dei terreni a causa del progressivo compattamento superficiale; inoltre nei seminativi senza il capovolgimento periodico degli strati superficiali (che si ottiene solo con la aborrita aratura) il progressivo accumulo di semi di infestanti si può contrastare solo con la lotta diretta, principalmente chimica, attualmente molto disincentivata dal legislatore europeo. Il combinato disposto di obbligo di minima lavorazione e divieto di diserbo chimico sta mettendo seriamente in pericolo la coltivabilità dei seminativi italiani.
Gentile Michele Butta,
le tecniche di agricoltura conservativa (minima lavorazione e semina su sodo) richiedono:
– una meccanizzazione specifica necessaria per evitare il compattamento
– molta attenzione alla difesa dalle malerbe che devono essere contrastate con il mezzo chimico (Glyphosate in primis).
Grande vantaggio di tali tecniche è quello di ridurre l’erosione e in tal senso il caso dell’alluvione delle Marche è emblematico: le colate di fango partirono dai terreni arati per le semina del frumento che se fossero stati gestiti con l’agricoltura conservativa non avrebbero manifestato tale problema.
Circa l’efficacia delle tecniche di agricoltura conservativa segnalo che esse sono diffusissime negli Stati Uniti ed in particolare nel Corn Belt.
ogni tanto capita che il meteo abbia caratteristiche stravaganti, ma ciò non significa che ci siano cambiamenti climatici in atto.
Per sapere se ci sono cambiamenti climatici bisogna aspettare 30 anni, ossia la media dei fenomeni del periodo.
vedremo il prossimo anno se ci saranno gli stessi alluvioni, vedremo tra due anni, tra tre, tra quattro…. se non accadranno altri alluvioni si sarà trattato di un fenomeno si estremo, ma non si tratterà di un cambiamento climatico.
Purtroppo la climatologia, essendo una statistica e la statistica è un metodo di analisi, ma non una scienza, non è altro che una pseudoscienza.
Vogliamo analizzare i dati?
Ma si, facciamolo pure, ma si sappia che è solo una perdita di tempo.
Vi è sempre una visione distorta della realtà che la vorrebbe stabile ed immutabile.
Beato chi si adatta, solo egli si salverà…. parafrasando Darwin
Molto interessante. Da comune cittadino, auspico che veniate presi in attenta considerazione dagli organismi decisionali, per l”adozione di concrete strategie contro il dissesto idrogeologico, volte quanto meno a mitigare gli effetti più perniciosi degli eventi meteorologici avversi.