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Con il climate change è sempre la coda che muove il cane

Soltanto una decina di giorni fa l’America del Nord è stata colpita da una ondata di freddo di proporzioni storiche. Breve ma estremamente intensa, la discesa di aria artica è arrivata fino al Golfo del Messico tirando giù le Iguana dagli alberi, ma questo è stato nulla al confronto del ghiaccio spesso decine di centimetri che ha ricoperto strade e case negli Stati più settentrionali, specialmente nel nord est USA e in Canada.

L’evento, sebbene strettamente meteorologico, è stato lestamente attribuito disfacimento climatico. Nello specifico, è stata per l’ennesima volta tirata fuori la storia della corrente a getto ballerina, con tanto di link a un testo della NOAA che riportava una dotta spiegazione di cosa ci si dovrebbe aspettare da una corrente a getto forte e tesa o debole e ondulata, concludendo però il contrario di ciò che si sarebbe voluto attribuire, e cioè che non ci sono segnali tangibili di una modifica dell’intensità o propensione all’ondulazione del flusso. L’immagine però è bellissima per chi preferisce guardare solo le figure, per cui la riporto qui sotto insieme alle conclusioni.

Contestualmente, l’Europa meridionale ha subito gli effetti di un blocco della circolazione atmosferica, con un anticiclone di provenienza meridionale che ha portato un’anomalia positiva delle temperature davvero significativa su tutti i Paesi affacciati sul Mediterraneo e su qualcuno di quelli appena più a nord. La colpa, naturalmente, sarebbe da attribuire ad una corrente a getto troppo forte e tesa (quindi per nulla ondulata).

Tralasciando il fatto che il gelo calato sull’America settentrionale ha fatto danni molto ingenti e si è purtroppo portato via molte vite, mentre l’anomalia mite sull’Europa ci ha salvato dalla bancarotta mitigando i costi del riscaldamento e, quindi, pare che mite sia meglio di gelido, sarebbe forse il caso di liberarci una volta per tutte di questa insulsa e noiosa faccenda della corrente a getto resa pazza dal riscaldamento globale. Una teoria che spiega tutto non spiega nulla. Un getto ondulato può portare sia il freddo che il caldo, un getto teso intenso, invece, separa da sempre l’aria polare o artica da quella più temperata delle medie latitudini.

Nella fattispecie, la teoria del getto pazzo è la coda e tutto il resto è il cane. Una teoria uscita qualche anno fa in seguito ad un paper che è stato successivamente demolito ma che continua ad essere tirato fuori alla bisogna ogni volta che la narrativa lo richiede.

A futura memoria, ecco qui sotto, i due paper:

Enjoy.

 

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Published inAttualità

8 Comments

  1. Luebete

    Per Shadok

    quello che lei spiega non sono danni dovuti ad un cambiamento climatico, ma dalle politiche economiche adottate.
    Se invece di abbracciare in modo acritico e supino politiche di bilancio procicliche avessimo speso in manutenzione anche del sistema ambiantale oggi tali problemi sarebbero meno contingenti.
    Obbligare le persone a spendere il doppio per un’auto o fare un mutuo per ristrutturare casa per adeguarsi ai nuovi limiti europei non porterà un vantaggio collettivo e non risolverà le criticità idriche.

  2. Michele M

    Premessa: “Mi dispiace per coloro che hanno attività economiche dipendenti dalla nevosità di Alpi e Appennini e soprattutto se non hanno capitali accumulati per attutire le annatacce”; però vi riporto uno scambio di battute famigliari avvenuto a spasso per la riviera del Conero qualche giorno fa.
    IO : “..che bello, si sta benissimo, una felpina e via…poi oggi nemmeno la foschia”
    MOGLIE : “…Mamma mia, come andremo a finire con questo andazzo”
    IO : “..stai male ?”
    MOGLIE : “…no, anzi benissimo; però la noi, la natura, questo cambiamento”
    IO: “…Tranquilla, adesso, noi come tutti, ci compriamo una bella auto elettrica da 50000 €, per la famiglia, una da € 30000 per te, così… per le commissioni in città, così nostro figlio, fra 50 anni, viene al Conero a dicembre col piumino”

    • FRANCO CARACCIOLO

      Non credo di poter essere tacciato di meteo-catastrofismo, però i timori espressi dalla Signora mi sembra che vadano presi un po’ meno alla leggera.
      La mancanza di neve in montagna ha delle ricadute su scala macroeconomica che vanno ben oltre l’orizzonte ristretto del nostro conto per il riscaldamento personale e domestico.
      L’invernata in corso potrebbe essere anche peggio di quella mitissima 2006-2007, facendo ovviamente riferimento al mio personale orticello medio-adriatico; qualche dubbio comincio a pormelo anch’io….
      Ma la paura più grande è che nemmeno il “pauperismo pro-climatico” possa essere sufficiente per tornare ad indossare il piumino a dicembre, almeno alle nostre latitudini e soprattutto longitudini.
      Buona domenica.

    • shadok

      Mah, sicuramente si tratta anche di preferenze climatiche personali, ma io tutto questo entusiasmo per questo “calduccio” non ce l’ho: per motivi familiari mi trovo a spostarmi continuamente fra Emilia Romagna e Nord Europa; normalmente passo le vacanze scolastiche con la famiglia in una casa in campagna nella pedecollina bolognese, l’anno scorso mi sono reso conto che, di fatto, abbiamo trascorso intere giornate in casa, spesso con aria condizionata accesa, in quanto all’aperto dalle 11 del mattino alle 8 di sera le temperature erano decisamente sgradevoli. Per il periodo estivo iniziamo a valutare la possibilità di rimanercene “al fresco” e di scendere in Italia solo per vacanze al mare o montagna. Francamente preferirei spalare neve d’inverno e non subire temperature massime estive sistematicamente attorno ai 35 C!

  3. rocco

    la vera anomalia è il credere nella stabilità e questa credenza ha una valenza strettamente religiosa.
    Ci chiedono di salvare il “creato”, non l'”evoluto”
    e chi ha orecchie per intendere, intenda.
    amen

  4. Ivan

    Il manufatto delle correnti in tropopausa che trasbordano dal polo in seno a un vortice polare spompato dal troppo caldo è la punta di diamante del climate crisis.
    Tanto di cappello

  5. Paolo

    Infatti alla fine di tutto il gran can can mediatico sul climate change o global warming che sia ci dovrebbero essere dei ragionamenti obiettivi che non sentiamo fare a nessuno ,tanto
    sono protesi all’ inculcamento del pensiero unico nell’ opinione pubblica,tipo: la vita sul pianeta si adatta e sviluppa meglio con clima più caldo o più freddo?
    Dato che la risposta è ovvia, la vita fiorisce a clima temperato e caldo non certo oltre i circoli polari ,dovremmo essere contenti di una fase climatica più mite,anche perché con quasi 8 mld di bocche da sfamare abbiamo bisogno che la produzione di cibo sia abbondante.
    Il fatto che mai nessuno parli in questi termini mi fa pensare che dietro vi siano al solito altri interessi ,non certo il miglioramento delle condizioni di vita dei popoli,oppure anche il semplice ” vero” ambientalismo.

    • shadok

      Beh, in effetti le prospettive non sono tutte “rose e fiori”, perlomeno per buona parte della popolazione terrestre e, soprattutto, per quasi tutti gli ecosistemi. Un cambiamento del clima, piuttosto rapido come sembra essere quello in atto, comporta la necessità di adattarsi “rapidamente” o di spostarsi, cosa non sempre possibile (e gli ecosistemi sono meno adattabili/resilienti degli umani).
      Un incremento delle temperature (in Italia del nord siamo quasi a 2 gradi) porta a maggiori fabbisogni idrici e, congiuntamente, a minore disponibilità d’acqua; se ad esso si assomma una riduzione delle precipitazioni e/o una distribuzione più sfavorevole il sistema agroalimentare viene completamente stravolto e i fabbisogni civili e industriali diventano più onerosi da soddisfare. Molte colture tradizionali diventano di fatto non più praticabili o, comunque, si incrementano fortemente i fabbisogni irrigui; se si riesce a reperire acqua irrigua la produzione può anche aumentare (ma con costi decisamente più elevati), altrimenti si deve passare a colture seccagne poco idroesigenti (e normalmente meno produttive); per gli usi civili e industriali si può passare alla dissalazione o al recupero spinto, ma anche in questo caso con costi molto elevati.
      Rimanendo al nord Italia, l’acqua dovrebbe comunque esserci, ma sarebbero necessarie (parecchie) dighe: ipotizzando circa 500 M€ per una diga da una 50ina di Mmc si fa in fretta a raggiungere cifre “interessanti”.
      In zone poco sviluppate dove l’acqua non ci sarà proprio o non ci saranno le risorse per immagazzinarla, le prospettive sono grigie: perdita di produzione e quindi fame/povertà, disordini sociali e emigrazione.
      Sarebbe in effetti interessante mappare le aree che invece avranno verosimilmente un beneficio in termini di maggiore produttività agricola potenziale (esistono studi non solo catastrofisti?).
      Sarebbe infine molto bello se i decisori politici iniziassero a valutare seriamente cosa è opportuno o necessario fare per adattarsi (visto che l’azzeramento delle emissioni a livello globale lo vedo molto problematico). Magari potrebbero almeno evitare di finanziare progetti folli come, in ER/Toscana, il collegamento sciistico doganaccia corno alle scale (a settembre scorso “si sono trovati” 16 milioni per questo progetto insensato)

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