Salta al contenuto

Un confronto spettrale tra la precipitazione nelle Marche e le oscillazioni atmosferiche e oceaniche

In un post del 2021 avevo descritto la precipitazione di 45 stazioni delle Marche, con l’intento di capire se i dati SCIA utilizzati fossero adatti per derivare informazioni attendibili. Avevo utilizzato i dati così come il database li presenta, senza ulteriori elaborazioni e avevo usato 26 stazioni seguite da altre 19 per coprire la mancanza dell’area centro-nord delle Marche, evidenziata nell’elaborazione della prima serie. Mi riferisco a quel post e al suo sito di supporto per le serie e gli spettri delle 45 stazioni.
In figura 1 mostro la distribuzione dei massimi spettrali presenti nelle 45 serie complessive, dalla quale appare evidente la presenza principale dei massimi tipo ENSO (El Nino-La Nina), con periodicità tra 2 e 8-10 anni.

Fig.1: Distribuzione dei periodi spettrali per le 45 stazioni pluviometriche delle Marche. Come sottolineato nel post del 2021, le serie hanno estensione temporale tra 10 e 82 anni, con conseguente ampia dispersione nei picchi spettrali.

I periodi tra 16 e 20 anni costituiscono un piccolo secondo gruppo, con il sottogruppo tra 18 e 20 anni troppo poco numeroso per essere indicativo, come si afferma da più parti, di un’influenza lunare.
I tre gruppi finali, tra 26 e 32 anni, ben visibii ma davvero poco numerosi, risentono della variabilità della lunghezza delle serie e in pratica si riferiscono solo alle serie più estese.

Con la figura 1 davanti agli occhi e con in mente l’influenza di ENSO nelle piogge delle Marche, ho letto con interesse un lavoro, Romano et al., 2022, a mio parere ben fatto, sulle precipitazioni del Distretto Idrografico dell’Appennino Centrale (DIAC, tra 41.2 e 43.9 gradi di latitudine nord) mostrato in figura 2, riproduzione della figura 1 di Romano et al.

Fig.2: Mappa dell’Italia centrale (Da Romano et al., 2022, figura 1) in cui si osserva bene la varietà di situazioni meteo e quindi la variabilità nelle precipitazioni. Da non trascurare il fatto che questo Distretto Idrografico contiene le cime più alte dell’Appenino (Gran Sasso e Maiella).

Le precipitazioni delle Marche sono ovviamente un sottoinsieme di quelle del DIAC che, pur non comprendendo Gran Sasso e Maiella, contiene la catena appenninica dei Sibillini e il monte Vettore (2476 m slm). L’orografia della regione è tale che permette di passare, in circa un’ora di macchina dalla spiaggia ai campi da sci e quindi di avere un’ampia variabilità in spazi ristretti. La protezione dell’Appennino espone le Marche più alle perturbazioni da est (e a volte da nord, a causa dei fenomeni a mesoscala generati nel golfo di Genova che, dopo aver attraversato la Pianura Padana, si dirigono verso sud-est lungo l’Adriatico) che ai flussi occidentali e i fenomeni inusuali che posso personalmente ricordare, in particolare abbondanti nevicate anche al mare, sono sempre dipesi dalle perturbazioni orientali.
L’aspetto interessante da notare, malgrado le specifiche caratteristiche orografiche delle singole regioni del DIAC, è che l’analisi spettrale di Romano et al. contiene gli stessi massimi (di periodo tra 2 e 8 anni) che trovo per le sole Marche, come si vede da figura 1.
Romano e colleghi usano le wavelet per la loro analisi spettrale, e la possibilità offerta da questo metodo di esaminare l’evoluzione nel tempo dei massimi spettrali permette loro di dire che la costa adriatica mostra, dall’inizio del secolo, un possibile spostamento (shift) verso periodi più lunghi e un indebolimento dell’ampiezza dei periodi tra 2 e 4 anni.
Io non ho usato le wavelet nelle 45 stazioni e quindi non sono in grado di commentare quelle affermazioni, ma la figura 1 mostra che nelle Marche, e senza alcun criterio di selezione delle serie, i periodi spettrali tra 2 e 8 anni costituiscono una grande parte dei periodi osservati e lasciano i periodi superiori in un ambito di marginalità.
Gli autori cercano anche di capire se le piogge (non usano i valori osservati ma l’indice SPI -Standardized Precipitation Index- che, essendo standardizzato, permette un confronto statisticamente più attendibile) nell’area DIAC possano essere condizionate da 6 indici atmosferici (ma in realtà la loro attenzione è stata fin dall’inizio rivolta a un numero maggiore di indici): Oscillazione Artica (AO), Oscillazione nord-atlantica (NAO), Disposizione (pattern) est-atlantica (EA), Disposizione est-atlantica/Russia occidentale (EA/WR), Disposizione polare/eurasiatica (POL), Disposizione scandinava (SCA), Indice MOI occidentale (WeMOI; MOI è l’indice dell’oscillazione mediterranea), Oscillazione multidecennale atlantica (AMO).

Leggendo le loro conclusioni, però, ho come l’impressione di poca sicurezza, come se dovessero, per dovere d’ufficio, riportare dei risultati di cui non sono convinti. Se questa mia impressione è corretta, non posso che essere d’accordo con loro. Ad esempio, perché usare WeMOI (differenza di pressione tra Cadice e Padova) e non MOI (differenza tra Gibilterra e Tel Aviv e anche tra Algeri e Il Cairo) che dovrebbe raccogliere meglio le influenze sull’Adriatico?
Ma l’aspetto che mi è apparso più evidente fin dalla prima lettura è che non è stata presa in considerazione l’influenza di ENSO, almeno per i periodi tra 2 e 4 anni (in questo lavoro; all’assemblea AGU del 2020 il loro lavoro presenta la correlazione tra le piogge mensili della costa adriatica e, tra gli altri, ENSO e SOI (Southern Oscillation Index) con valori tra i più alti per le piogge di agosto).
Per un confronto tra gli spettri della precipitazione delle 45 stazioni e dei numerosi indici atmosferici e oceanici, si può fare riferimento alla pagina web https://www.zafzaf.it/clima/indici/indicihome.html dove ho raccolto serie e spettri degli indici in cui mi sono imbattuto.

Mi rendo conto del fatto che le perturbazioni che interessano l’Italia, e quella centrale in particolare, sono in gran parte da ascrivere a fenomeni a mesoscala e che l’influenza di ENSO, nel Pacifico equatoriale, può essere molto vaga nel Mediterraneo e nelle precipitazioni delle Marche, ma so anche che questo fenomeno interessa, con varia intensità, il clima globale.
Per questo mi piacerebbe, senza volerne fare una crociata, che si considerasse anche EL Nino-La Nina tra i possibili “influencer” del clima mediterraneo.

Approfitto dell’occasione per ribadire ancora una volta la presenza, nelle 45 stazioni marchigiane, della prima armonica dell’oscillazione di Chandler (1.17 anni; prima armonica a 0.585 anni) che si presenta nel 53% dei casi entro ±2% (tra 0.573 e 0.597 anni) e nel 91% dei casi entro ±5% (tra 0.565 e 0.614 anni).

Bibliografia

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualitàClimatologia

Sii il primo a commentare

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »