Esattamente a due settimane dal suo inizio, nella mattinata di domenica 20 novembre si è chiusa la ventisettesima edizione della Conferenza delle Parti.
E’ giunto il momento di fare un bilancio dei lavori appena conclusi. Leggendo ed ascoltando i resoconti dei media generalisti, si ha l’impressione (come da lunga tradizione) che sia andato tutto bene: a Sharm el-Sheikh gli Stati hanno raggiunto l’accordo per combattere il cambiamento climatico. Se qualcuno avesse capito che da domani tutto l’Orbe terracqueo marcerà unito verso l’azzeramento delle emissioni climalteranti, si metta l’animo in pace: ha capito male, anzi non ha capito proprio nulla. Alla COP 27 è stato raggiunto solo ed esclusivamente un accordo di facciata che non ha cambiato di una virgola lo “statu quo”. Chi parla “di accordo sul clima” alla COP 27, lo fa da un punto di vista assolutamente parziale e non in grado di inquadrare la complessità della questione. Per avere un’idea più completa degli esiti della COP 27, bisogna analizzare puntualmente ciò che è successo durante il consesso e, da questa analisi, si capisce in modo inequivocabile che le cose non sono andate nel migliore dei modi.
Nel primo articolo dedicato alla COP 27, individuai i temi sui quali si sarebbe misurato il successo o il fallimento della COP 27 e, a posteriori, nessuno degli obbiettivi prefissi mi sembra sia stato raggiunto. Procediamo, però, con ordine.
– mitigazione ed ambizione
La COP 27 doveva attuare il Patto di Glasgow, individuando i termini temporali entro i quali le Parti dovevano presentare i loro piani di riduzione delle emissioni, in modo da raggiungere l’obbiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C. Nulla di tutto ciò è accaduto, anzi è opinione di molti osservatori che la COP 27 ha, di fatto, decretato la fine delle speranze politiche di raggiungere questo risultato. In nessuno dei documenti elaborati dai corpi sussidiari e da quelli politici è possibile trovare un limite temporale o una scadenza: nella dichiarazione finale si ripetono quasi parola per parola le formule utilizzate alla COP 26. Se poi qualcuno vuole vedere nell’utilizzo di qualche espressione che nel gergo ONU costituisce un “linguaggio” più forte, si accomodi pure. Come direbbe G. Thunberg, si tratta solo di uno sterile “bla, bla, bla”.
I mediatori europei, a mio giudizio i peggiori della COP, si sono venduta anche l’anima per raggiungere lo scopo, ma non ci sono riusciti. Hanno messo sul piatto della bilancia addirittura il fondo per la refusione delle perdite e dei danni ai Paesi in via di sviluppo, pur di raccattare qualche impegno vincolante, ma gli è stato risposto picche.
Secondo gli osservatori più di parte la causa della mancanza di azione sul tema della mitigazione deve essere ricercata nell’azione dei Paesi produttori di petrolio che bloccano il consenso richiesto dalle Nazioni Unite e che alla COP 27 erano molto agguerriti: si parla di circa 600 “lobbisti”, più dei rappresentanti degli stati insulari, che hanno remato contro le mire ambiziose dei Paesi più virtuosi, blandendo molti Paesi in via di sviluppo con i lauti guadagni che avrebbero ottenuto, sfruttando le loro intonse riserve di combustibili fossili. Questo sarebbe il motivo per cui nel documento finale della Conferenza manca ogni riferimento alla riduzione o eliminazione dell’uso dei combustibili fossili, ma compare un generico invito ad utilizzare fonti energetiche a “basso livello di emissioni”. Il gas naturale come si colloca in questa categoria? E’ basso emissivo o alto emissivo? Non è chiaro e, quindi, si apre una prateria immensa. Circa il carbone, si ripete la formula di Glasgow: ridurre gradualmente il suo utilizzo, ma non si stabilisce alcuna data entro cui eliminarlo dal mix energetico. Nessun riferimento al petrolio.
– perdite e danni
I Paesi in via di sviluppo capitanati dalla Cina e riuniti nel G77 (134 Paesi su un totale di 197 partecipanti alla COP) sono riusciti, dopo trent’anni di fallimenti, ad imporre il tema del risarcimento di perdite e danni come punto prioritario della COP 27: in caso contrario la Conferenza non sarebbe proprio iniziata. Alla fine l’UE ha accettato la loro richiesta di istituire un fondo ad hoc per il risarcimento di perdite e danni. Come contropartita ha posto sul piatto due condizioni: ambizione nell’abbattimento delle emissioni per mantenere “a portata di mano” l’obbiettivo di 1,5°C di incremento della temperatura globale rispetto all’era preindustriale ed allargamento del fronte dei donatori. Non ha ottenuto nessuno dei due risultati. Ad onor del vero anche l’impegno a costituire il fondo non è né vincolante, né concreto. Si è stabilito, infatti, di creare un Comitato che faccia delle proposte da sottoporre alla prossima COP 28. Si è riusciti, fortunatamente, ad evitare che al danno economico (il fondo ci costerà un occhio della testa, se creato) si unisse la beffa. Nel documento finale sono riusciti a inserire il vincolo di destinazione del fondo: i Paesi maggiormente vulnerabili. Lo scopo è duplice. Da un lato evitare di evitare di dare soldi alle monarchie del Golfo o alla Cina o all’India che, allo stato, sono considerati Paesi in via di sviluppo; dall’altro costringere Cina, India ed i Paesi del Golfo a contribuire al fondo. Idea piuttosto bizzarra, visto che ufficialmente non esiste la definizione di Paese vulnerabile, ma solo di Paese emergente o in via di sviluppo. Sono convinto che di questo fondo non se ne farà nulla, ma se si dovesse costituire, state ben certi che una parte dei contributi a fondo perduto toccherà alla Cina o all’Arabia Saudita, perché essi sono ufficialmente Paesi emergenti. Questo per far capire il capolavoro diplomatico che sono stati capaci di fare i nostri rappresentanti diplomatici.
Dopo la conclusione dei lavori essi si sono dichiarati “delusi”. Più che delusi io li definirei “ingenui”, ma la mia è solo l’impressione di un semplice abitante del Villaggio e lascia il tempo che trova.
– adattamento
In questo campo qualche timido passo in avanti c’è stato. Le parti hanno concordato una serie di regole per delimitare il campo di intervento dei progetti di adattamento, le modalità di erogazione dei finanziamenti, le modalità di verifica della spesa, ecc., relativamente alle elargizioni che fanno capo al fondo per l’adattamento. L’accordo in questo caso è stato facilitato dal fatto che i fondi vengono spesi da strutture che fanno capo ai Paesi finanziatori del fondo e che, pertanto, lucrano guadagni di non poco conto. I fondi sono vincolati all’adattamento e, quindi, subordinati a progetti che necessitano di approvazione da parte dei finanziatori, non sono a “fondo perduto”, né risarcitori di perdite o danni.
– finanza
Del meccanismo di risarcimento perdite e danni già si è detto, così come anche per quel che riguarda l’adattamento. Resta da aggiungere qualche considerazione sulle banche di finanziamento globale. Sembra che nei prossimi mesi si debbano rivedere i meccanismi con cui tali banche dovranno erogare i loro finanziamenti, ma si tratta solo di idee ed opinioni, nulla di concreto.
– articolo 6 dell’Accordo di Parigi
Alla fine dei lavori sono stati pubblicati tre corposi documenti per circa 60 pagine complessive, ma essi ricalcano, grossomodo, quelli di Glasgow. Nulla di nuovo circa il mercato del carbonio, i doppi conteggi e via cantando, solo limature dei testi di poco o pochissimo rilievo. Le decisioni pesanti rinviate a tempi migliori. Sempre a proposito dell’art. 6 degna di nota appare un’iniziativa dell’Arabia Saudita che è stata rintuzzata, almeno in parte, dai Paesi occidentali. Ad un certo punto dei negoziati, nelle bozze è apparso un passo che faceva riferimento alla riduzione delle emissioni basato sulle tecniche ingegneristiche. Secondo le tesi del rappresentante del regno saudita, spalleggiato dalla Russia, non bisogna limitare l’utilizzo delle fonti di energia (leggi gas e petrolio), ma le emissioni. Ciò significa che io posso bruciare carbone a patto che impedisca che le emissioni vadano in atmosfera: geoingegneria, cattura del diossido di carbonio e suo stoccaggio sono le tecniche a cui si fa riferimento. La proposta è stata inserita nei testi, ma rimandata a data da destinarsi, quando, cioè, le tecnologie saranno mature.
Possiamo concludere, pertanto, che abbiamo assistito all’ennesimo fallimento di una COP. Molti osservatori si interrogano sulla reale utilità di questi incontri e, sempre più spesso si sente parlare di “circo”, “passerella di ministri e presidenti” e via di questo passo. E’ ormai chiaro, secondo costoro, che non servono a nulla e, in qualche caso, sono addirittura controproducenti.
La prossima COP, per esempio, si svolgerà nel cuore del Golfo Persico, a Dubai. Se in Egitto i lobbisti del fossile hanno potuto tanto, cosa ci si può aspettare da una presidenza che appartiene ad un Paese che senza i proventi dei combustibili fossili, regredirebbe al secolo scorso? Possiamo dire già da ora che assisteremo all’ennesimo nulla di fatto. L’augurio è che si giunga ad una rottura plateale e così profonda da indurre le Nazioni Unite ad abolirle definitivamente. Questa volta ci siamo andati molto vicini: venerdì notte molti osservatori avevano temuto il disastro. Col senno di poi è stato un peccato che non ci sia stato. Secondo qualche osservatore, l’unico modo per poter affrontare e risolvere il problema climatico, è quello di creare dei meccanismi molto più snelli che affrontino pochi argomenti e portino a casa il risultato. In mancanza assisteremo ancora una volta a fiaschi clamorosi come quello della COP 27.
Ciò, ammesso e non concesso, che il problema climatico possa essere risolto, aggiungo io. Ad ogni buon conto ho l’impressione che durante questa COP il problema climatico sia passato in secondo piano. I Paesi emergenti hanno imposto a quelli avanzati la loro agenda che non è quella climatica, ma quella economico-finanziaria. Mi sembra che alla maggior parte del mondo interessi poco del clima e molto dei soldi. Il clima è solo il grimaldello per entrare nei forzieri dei Paesi avanzati. La dimostrazione di questo assunto la vediamo rappresentata plasticamente dalle reazioni dei capi di stato e di governo: quelli dei Paesi emergenti sono euforici, quelli dei Paesi sviluppati sono delusi. Ai primi interessano i soldi, agli altri il clima. Lo ha capito anche il segretario generale delle N.U. che si dichiara deluso al pari dei rappresentanti europei. Mi auguro che in questo scorcio di tempo che ci separa dalla prossima COP qualcuno si ravveda, altrimenti saranno dolori.
A mio modesto parere, sarebbe più utile una COP che preveda un’altra strategia per affrontare i cosi detti cambiamenti climatici. Una strategia che abbia come unico obiettivo quello di trovare i modi più adatti ed opportuni per ottimizzare le capacità di adattarsi a questi cambiamenti e non quello di cercare di modificare il sistema clima attraverso alchimie di dubbia efficacia che non sono dimostrate funzionali nemmeno in teoria. Sarebbe anche questa , una strategia di difficile applicazione a livello pratico ma sarebbe secondo me , la direzione più sqaggia da intraprendere.
Cordiali saluti a tutto lo staff e agli ospiti di questo interessante forum
il fallimento della COP 27 è una gran bella notizia!
Speriamo che in futuro ci siano sempre più così tante occasioni di giubilo collettivo.
E speriamo che ci siano legislazioni all’avanguardia da sbattere in galera e gettare le chiavi a tutti quegli inutili idioti che imbrattano opere d’arte.
Sicuramente, per quelle popolazioni che vivono per sei, otto mesi all’anno “sotto zero”, il riscaldamento globale non sarà una sciagura, anzi. 🙂
Un articolato e ben dettagliato sigillo alle velleità degli onnipresenti salvamondisti, che guardacaso compaiono sempre insieme al millenarismo catastrofista. Ad ogni modo, già una settimana fa aleggiava lo spettro del fallimento, solo che invece di piangersi addosso, hanno iniziato a detonare sotto forma di bomba a grappolo, accudando senza mezzi termini un pò tutti, e riducendo tutto al solito pianto greco. Un esempio è questo: https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/11/15/clima-laumento-di-15c-e-ormai-unillusione-ora-siamo-nella-fase-della-depressione-caotica/6873577/
Purtroppo per un ipocondriaco non c’è medicina che tenga, e quando si rende conto che l’ennesimo rimedio o l’ultimissima terapia non sono efficaci, se la prende con tutti, medici e farmacisti, terapisti e guaritori, di ieri, oggi e pure domani.
Grazie all’autore per lo sforzo “appassionato”!
andrebbe inserita la frase corretta “dei paesi ancora non avanzati da parte di quelli avanzati”
“I Paesi emergenti hanno imposto a quelli avanzati la loro agenda che non è quella climatica, ma quella economico-finanziaria.” Scusi perchè mai i paesi emergenti, a cui non si può certo imputare non dico la colpa, ma neanche l’interesse di un problema che per loro è secondario, dovrebbero preoccuparsi della questione climatica? A me sembrerebbe vero il contrario: la questione climatica è solo un modo per impossessarsi delle risorse naturali (e quindi dei soldi) dei paesi ancora non avanzati da parte di quelli non avanzati. (principio del kick away the ladder)
“Mi sembra che alla maggior parte del mondo interessi poco del clima e molto dei soldi.” Alla maggior parte del mondo non interessa il clima, ma solo i soldi. Davvero crede che invece agli “europei” interessi il “clima” e non i soldi? Alla maggior parte dei paesi non avanzati forse una variazione climatica non apparirebbe catastrofica, visto che le loro condizioni di vita non sono da benestanti.
“Il clima è solo il grimaldello per entrare nei forzieri dei Paesi avanzati.”
Ma quali forzieri? L’euro è morto ed il dollaro non si sente molto bene, dove si troverebbero i forzieri? Quelli di una finanza che ha solo debiti per ordini di grandezza superiori al pil mondiale?
“La dimostrazione di questo assunto la vediamo rappresentata plasticamente dalle reazioni dei capi di stato e di governo: quelli dei Paesi emergenti sono euforici, quelli dei Paesi sviluppati sono delusi. Ai primi interessano i soldi, agli altri il clima. Lo ha capito anche il segretario generale delle N.U. che si dichiara deluso al pari dei rappresentanti europei.”
é proprio sicuro che i motivi di euforia e di delusione siano quelli? Penso piuttosto che i primi siano euforici perchè sono riusciti a dimostrare che la presunta autorevolezza decisionale degli europei e di questi enti sovranazionali siano trascurabili, mentre i secondi perché non riescono a dissimulare quanto detto prima e non sanno più come convincere i propri sudditi a fare austerità “pro-clima”. Comunque sia, la cosa certa è che il governo del mondo da parte della finanza “occidentale”, attraverso enti sovranazionali, non ha più credibilità ed il mondo si avvia, certo non senza scosse, verso un diverso assetto geopolitico, “clima o non clima”.
Sono d’ accordo con le sue analisi ,anzi mi permetto un avanzamento: non si può parlare di paesi sviluppati ma solo delle loro istituzioni finanziarie che hanno sperato,e continuano a farlo, di fare ancora più soldi con la transizione ecologica,dopo che vi hanno investito miliardi a profusione,e continuano a mandare avanti queste pagliacciate perché altrimenti potrebbero scoprire che il re è nudo: tutto il can can del climate change poggia su basi assolutamente non solide.
Gentile Rosa,
la ringrazio per l’attenzione che ha dedicato al mio scritto e mi permetto alcune puntualizzazioni.
Parto dalla sua ultima considerazione perché da essa può svilupparsi , a mio parere, un discorso più lineare. Che il mondo stia cambiando è una cosa fuori discussione. I tre quarti del mondo non sono più disposti a farsi dettare la linea dal restante quarto e lo stanno facendo capire chiaramente, Non ho nessuna difficoltà ad accettare il suo punto di vista che condivido e già in altre occasioni ho avuto modo di esprimere questa mia posizione. L’equilibrio mondiale, purtroppo, sta cambiando. E dico purtroppo perché con tutti i suoi difetti esso ci ha garantito benessere e libertà da non disprezzare. Seguo su diversi canali quanto accade nel mondo e non le nascondo che preferisco vivere in Italia piuttosto che in Russia, in Cina, in Arabia Saudita o Iran.
L’atteggiamento assunto dai Paesi in via di sviluppo alla COP 27 è, effettivamente, un fatto dirompente da un punto di vista geopolitico perché rappresenta una presa di coscienza di tale potenza, da spiazzare i Paesi sviluppati.
Questi ultimi erano convinti, probabilmente, di riuscire a gestire la situazione come nel passato. Non è andata così, per cui, persa la battaglia finanziaria, hanno cercato di correre ai ripari con la richiesta di aumentare l’ambizione climatica, allo scopo di dimostrare alle loro opinioni pubbliche, di avere ancora una funzione di traino, ma non hanno ottenuto neanche questo, a maggior dimostrazione del cambiamento di equilibri in atto.
Quindi, si, la delusione per il mancato accoglimento della loro richiesta può essere spiegata con una presa di coscienza della perdita del ruolo di guida o, forse più precisamente, del ruolo dominante cui erano abituati. Ed allo stesso tempo la vittoria di bandiera, perché di ciò si tratta e non di un fatto concreto, ha fatto capire ai Paesi in via di sviluppo di trovarsi in un momento storico in cui possono far valere le loro ragioni.
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Non sono del tutto d’accordo sulla pochezza economica del mondo occidentale. So perfettamente che la ricchezza mondiale è oggi concentrata più che nei forzieri statali in quella degli enti economici di diritto privatistico che sono in grado di mobilitare risorse economiche e finanziarie superiori al PIL mondiale. D’altro canto, non credo si possa negare che la potenza economica dell’Occidente è ancora tale da condizionare quanto succede nel resto del mondo. Le decisioni economiche prese dal Tesoro USA, sono in grado di influenzare le scelte degli altri stati, quelli alleati o dipendenti e quelli più o meno ostili.
Quando gli USA decidono, per esempio, di sanzionare un Paese terzo, una società industriale, una personalità, si può esser certi che pochi al mondo oseranno sfidare apertamente la sanzione. Non poter accedere ai mercati (commerciali e finanziari) occidentali è un deterrente che neanche la Cina ha mai osato affrontare. Che poi esistano modi e forme per aggirare la sanzione, è un altro paio di maniche, ma la violazione diretta non mi sembra di averla mai vista.
Questo significa che l’Occidente continua ad essere una potenza economica globale da non sottovalutare perché anche gli enti non statuali che detengono la ricchezza effettiva del pianeta, interagiscono attraverso i mercati occidentali. Nel prossimo futuro non sarà più così, ma ora come ora, secondo me, lo è. Nella fattispecie climatica, su cui si fonda la mia analisi dei risultati della COP, avere più soldi significa per i Paesi in via di sviluppo accedere a quei mercati e, quindi, a quei fondi, che, ora come ora, obbediscono a regole imposte dai Paesi sviluppati.
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Altro punto su cui ho difficoltà a seguirla è l’interesse dei Paesi occidentali alle problematiche climatiche. Io sono dell’avviso che buona parte dell’opinione pubblica occidentale è convinta che il clima stia cambiando per colpa dell’uomo. Non sono così ingenuo da credere che il capo delegazione dell’UE alla COP 27, F. Timmermans , sia spinto nella sua azione esclusivamente dalla convinzione che il mondo sia sull’orlo della crisi climatica senza ritorno, ma dopo anni, anzi decenni, di bombardamento propagandistico, si è creata una forte aspettativa nell’opinione pubblica europea che la politica possa risolvere i problemi climatici. L’U.E. e molti stati nazionali occidentali, hanno alla loro guida politici ed economisti che hanno fatto del “climatismo” il loro principale cavallo di battaglia ed occupano i vertici dei loro governi proprio per questo, sarebbero travolti se non riuscissero a portare a casa un risultato positivo in questo campo.
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A Sharm el-Sheikh tutto questo era palpabile. I delegati dei Paesi occidentali sono stati tenuti sulla graticola dagli attivisti e dagli esponenti delle ONG ambientaliste (pochi rispetto al passato, ma presenti sotto forma lobbistica a tutti i livelli della Conferenza).
La rappresentante della Germania, per esempio, è una delle principali rappresentanti del Partito Verde tedesco, così come anche quella finlandese e per loro non credo che i soldi valgono più delle idee. E’ vero che l’economia è il motore del mondo, ma è anche vero che esistono valori ideologici e, questi, a Sharm erano ben visibili in molte delegazioni occidentali.
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E per finire vengo al primo punto del suo commento. Concordo con lei che interesse dei Paesi sviluppati è quello di appropriarsi a buon mercato delle risorse dei Paesi in via di sviluppo. Ho scritto questo nell’articolo di presentazione della COP 27, poco più di un mese fa. E so perfettamente che nei Paesi in via di sviluppo esistono gruppi politici e di pressione sociale che vorrebbero che le loro risorse naturali fossero maggiormente valorizzate dai loro esponenti politici. E so anche che da questo substrato ideologico traggono nutrimento anche le frange estremiste che cercano di portare avanti attraverso la rivoluzione tali istanze. Non possiamo negare, però, che le classi dirigenti di questi Paesi cercano di trarre il massimo profitto dallo status quo e, quindi, utilizzano il grimaldello climatico per ottenere questo profitto. E con questo il cerchio si chiude.
Ciao, Donato.
Reitero il commento precedente, con la variante che forse me la sfango dal Garbino (ma sono poco fiducioso in realtà che ci si sfugga: con la rettifica attuale del movimento previsto del minimo ***, è davvero un labile confine), ma non sfuggirò prima dalla Sciroccata, né dal successivo Maestrale di fine martedì. Polvere, ma da altre direzioni.
Ma soprattutto reitero l’ancora più precedente mio commento: tempo perso. Ed energie (!)
E ti ringrazio per averne perso di tuo per fare un reportage dettagliato.
A onor del vero, stamattina Skaitiggì ammetteva nel loro servizio che “non è facile” capire chi abbia realmente vinto o perso. Almeno tirano fuori un’ombra di dubbio che forse casomai potrebbe anche essere che, eh, sì, no, ma…un po’ di polvere… del Garbino.
*** Denise (i “maestri peracottari” lo hanno chiamato Poppea)
Che per seguire la COP 27 (e tutte le altre, ovviamente) abbia perso tempo, è fuori discussione: sapevo benissimo e sin da prima che la COP 27 aprisse i battenti che l’epilogo sarebbe stato questo.
Non essendo masochista (almeno credo di non esserlo), molte volte mi chiedo perché lo faccio e la risposta è sempre la stessa: è necessario capire le dinamiche che sottendono gli eventi che ci troviamo a vivere. Se non avessi toccato con mano ciò che accade nelle COP, ad un certo punto avrei dovuto cominciare a credere che non era possibile che tutto il mondo si sbagliasse circa il contrasto al cambiamento climatico e, probabilmente, il mio atteggiamento sarebbe stato diverso.
La curiosità è stata la molla che mi ha indotto ad interessarmi delle COP e, alla fine, questa curiosità si è trasformata in interesse a seguire un evento che presenta aspetti sociologici e geopolitici molto interessanti.
In questi anni trascorsi a seguire le Conferenze delle Parti, ho potuto rendermi conto, infine, che il mondo stava cambiando. Che la “guida” occidentale stava venendo meno e che l’Occidente si avviava verso una crisi che potrebbe rivelarsi esistenziale.
In occasione di questa COP ne abbiamo avuto la conferma.
Ciao, Donato.