Tutti sappiamo che il freddo uccide più del caldo. Anche storicamente, le civiltà sono nate durante periodi caldi e dopo la loro evoluzione, sempre nello stesso periodo caldo, sono andate in crisi e spesso sono scomparse quando la temperatura ha iniziato ad abbassarsi e le condizioni di vita sono diventate meno favorevoli all’organizzazione della società e all’esistenza giornaliera.
La narrativa corrente (mainstream) nei nostri tempi, in cui si prospetta un disastro e si instilla paura per questo, mai dimostrato (se non nei modelli che essenzialmente stimano con valori estremi le situazioni fisiche di cui non si conosce bene la struttura, l’evoluzione e i rapporti con le altre grandezze in gioco) e non visibile nei dati sperimentali, disastro futuro ci porta a pensare che un clima caldo -dovuto esclusivamente allo stile di vita dell’uomo occidentale, naturalmente- sia una delle principali cause di morte nel mondo, legate al clima.
Il lavoro di Zhao e colleghi (2021) ci fornisce invece un risultato impressionante, mettendo in evidenza che le morti in eccesso -nel globo, nei continenti e nelle aree regionali- sono soprattutto dovute alle condizioni di freddo. Possiamo senza dubbio leggere i dati nella loro tabella 1, ma la forma grafica dell’istogramma ci fornisce un impatto a mio parere più incisivo e ci porta a non credere più alla narrativa mainstream.
Gli autori, dal 2014, hanno raccolto i loro dati nel Multi-Country MultiCity (MCC) Collaborative Research Network
…per valutare in maniera sistematica il rischio di mortalità legata alla temperatura, attraverso nazioni e regioni, usando una metodologia unificata. MCC usa un’analisi a tre stadi per calcolare il peso della mortalità attribuibile a temperature non ottimali e ha stimato che il 7.71% delle morti totali in 13 nazioni o territori siano attribuibili a temperature non ottimali tra il 1985 e il 2012. La rete MCC si è espansa in anni recenti con dati sulle serie temporali di mortalità e condizioni meteorologiche aggiornate a 750 luoghi in 43 nazioni o territori. Queste aree danno conto del 46.3% della popolazione mondiale.
La tabella 1 originale contiene anche i limiti di confidenza (CI) dei valori riportati e la percentuale dei decessi continentali e regionali rispetto a quelli totali (ad esempio, rispetto ai 489075 decessi globali legati al caldo, nell’intero continente americano si sono osservati 56759 morti o l’11.61% [56759/489075]). Non ho usato queste informazioni (CI e %) nella figura 1 e nel file dati (morti.txt) anche se sono disponibili nel file causa-morte.txt nel sito di supporto.
Malgrado il fatto che abbia subito diversi attacchi alla sua serietà durante la pandemia del COVID, The Lancet (che ha pubblicato il lavoro di Zhao) rimane un autorevole giornale peer-review per cui è difficile dubitare dei risultati del lavoro mostrati nella figura 1. Tuttavia un lavoro più recente, di Clarke et al., 2022, fornisce risultati che, almeno a prima vista, sono quasi esattamente opposti a quelli di Zhao: ad esempio, la tabella 1 di Clarke riporta:
I dati EMDAT usati da Clarke sono gestiti dall’Università Cattolica di Lovanio (Belgio) che è una istituzione molto valida e che non dovrebbe pubblicare dati falsi o distorti. La stessa considerazione, fino a prova contraria, vale per i dati MCC di Zhao.
Nel sito EM-DAT si trova un lavoro (Jones et al., 2022) nel quale si legge, tra l’altro,: “Degli iniziali 2127 risultati della ricerca (di articoli con mortalità che hanno usato EM-DAT ndr) 421 hanno superato i criteri di inclusione. Di questi, sono stati selezioni i 20 più citati e per ognuno sono stati estratti dati sull’uso di EM-DAT, l’attenzione data ai dati mancanti e il modo utilizzato per gestirli”. Questo a confermare la serietà nella gestione del database.
Rimane quindi il dubbio su quale sia la causa principale di mortalità legata alla temperatura, a meno che nei due databese non ci siano differenti modi di raccogliere e attribuire la causa dei decessi e che ognuno -nel suo ambito di definizioni- sia corretto. E dubito che la differenza di estensione temporale (1985-2020 contro 2000-2020) possa aver provocato il ribaltamento osservato nei dati.
Se consideriamo, nella tabella di Clarke, la colonna “Total affected” abbiamo risultati più in linea con quanto espresso da Zhao, ma ovviamente, non è questo il modo di confrontare le due situazioni in cui la variabile è “decessi”.
Devo dire che nel 2021 ho scaricato il dataset EM-DAT (del 2020) per i disastri naturali (il sito ourworldindata.org usa i dati EM-DAT in questo caso), dal quale ho ricavato che tutti gli eventi registrati sono in diminuzione o costanti con qualche picco, anche quelli legati agli estremi del tempo meteorologico e agli estremi di temperatura (entrambi relativi ai due estremi possibili) e, anche se gli argomenti sono disgiunti, non sono portato a credere che i dati usati da Clarke possano essere in contrasto con il senso comune (il freddo è peggiore del caldo).
Bibliografia
- Ben Clarke, Friederike Otto, Rupert Stuart-Smith and Luke Harrington Extreme weather impacts of climate change: an attribution perspective, Environ. Res.: Climate, 1, 012001, 2022. .
- Zhao Qi, Guo Y., Tingting Y. et al.: Global, regional, and national burden of mortality associated with non-optimal ambient temperatures from 2000 to 2019: a three-stage modelling study, Lancet Planet Health,5, e415–25, 2021. https://doi.org/10.1016/S2542-5196(21)00081-4.
Tutti i dati e i grafici sono disponibili nel sito di supporto
Ho letto solo oggi l’articolo di F. Zavatti e sono restato allibito.
Due articoli scientifici, soggetti entrambi a revisione tra pari, entrambi pubblicati da riviste di primo piano, danno risultati opposti!
Non metto assolutamente in dubbio le metodologie statistiche utilizzate dagli autori, ma mi viene qualche dubbio circa gli archivi dei dati su cui le elaborazioni statistiche sono state effettuate. Delle due l’una: o sono sbagliati i dati cui ha attinto Zhao Qi o quelli su cui si basa il lavoro di Clarke.
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F. Zavatti ci dice che entrambi gli archivi sono gestiti da strutture prestigiose, per cui reputa affidabili entrambi gli archivi. A questo punto non mi viene in mente che una sola spiegazione: sono diversi i criteri utilizzati per creare gli archivi. Non mi sembra che possano esistere altre spiegazioni e, se così fosse, i risultati dei due articoli non potrebbero essere messi a confronto.
Mah, misteri della comunicazione scientifica. 🙂
Ciao, Donato.
Ormai da un po’ di tempo raccolgo dati su eventi estremi (o considerati tali) e di alcune di queste serie ho pubblicato i risultati su CM; come ho ricordato altre volte, ho raccolto in forma concisa i risultati in una specie di sito di supporto a compendio, dal quale si estrae l’informazione che l’andamento nel tempo di questi eventi è variegato e discutibile sotto molti aspetti (raccolta dati, loro interpretazione, significatività dei risultati) ma che mai indica senza incertezze una
direzione univoca e meno che mai una “strada maestra” verso un non meglio precisato disastro. Anche il citato post, relativo ai disastri naturali con dati da ourworldindata.org mostra che essenzialmente è
cambiato ben poco nel corso del tempo.
Per questo, quando ho visto i dati di Zhao, mi sono chiesto come fosse possibile mantenere una narrativa palesemente contraddetta dai fatti e parlare ancora di “decessi da troppo caldo”. E ho voluto condividere con i lettori questo risultato dirompente ma in linea con la convinzione comune che il freddo sia più temibile del caldo.
Il lavoro di Clarke ha rovesciato completamente la prospettiva ma porta anche a pensare a situazioni completamente diverse descritte tramite la stessa definizione per cui, come sottolinea Donato Barone, i risultati non sono confrontabili (e non voglio neanche pensare a una qualsiasi forma di malafede, da una parte o dall’altra).
Un altro aspetto di quanto si è osservato qui è la vicenda del recente lavoro di Alimonti, Mariani, Ricci e Prodi (2022), sottoposto ad un linciaggio mediatico a seguito di un articolo del Guardian, che non trova nessun aumento parossistico degli eventi estremi (di varia natura) ma che alcuni auto nominati “guardiani della rivoluzione” tentano di cancellare, credo per evitare che qualcuno possa sviluppare un pensiero critico sulla
“verità vera” che ci viene insistentemente propinata. Per fortuna, mi dice Luigi Mariani, il lavoro è già stato scaricato più di 60 mila volte … e, aggiungo io, ha ricevuto una quasi totalità di commenti positivi in giro per il mondo. Franco
“il lavoro è già stato scaricato più di 60 mila volte”
62k ..+ 1 😉
Sinceramente non riesco a capire come si faccia a determinare la causa della morte per caldo o freddo Tolti alcuni casi in cui effettivamente le condizioni termiche causano la morte come ipotermia ,ipertermia e disidratazione la maggior parte delle situazioni non possono essere contemplate da una statistica. Ci sono migliaia di casi di polmonite infantile nell’Africa sub sahariana legate all’ escursione termica fra notte e giorno tipica degli ambienti desertici. Sono provocate dal troppo caldo di giorno o dal troppo freddo di notte?
Gentile Luca,
non lavoro in quel settore ma posso dirle che si ragiona in termini di “eccesso di mortalità”. Per approfondimenti circa il metodo può vedere il testo di Zhao Qi et al.
Luigi
Ho letto con attenzione solo il lavoro di Zhao Qi ed ha confermato alcuni dubbi che avevo. Non studiano le singole cause ma la variazione di mortalità fra periodi caldi e freddi. Questo porta ad alcuni casi parossistici. Dalle mappe si può individuare ad esempio un picco di mortalità nell’ area della foresta pluviale africana causato dal freddo. Ora essendo in zona tropicale e non essendo soggetta a particolari escursioni termiche , l’unica causa di probabile mortalità è legata alla stagione delle piogge, probabilmente a causa di alluvioni o all’ aumento degli insetti e delle malattie da loro portate . Il problema è che l’indice di mortalità è un dato aleatorio e non viene definito in nessuna parte della pubblicazione se include cause come omicidi o malattie a ciclo periodico indipendenti dal clima.. Più che un’analisi statistica si tratta di un modello molto raffinato ma troppo grande, per aree più piccole e più omogenee avrebbe forse più senso. Il limite principale è l’area tropicale dove i fenomeni d mortalità stagionale non sono legati a variazioni di temperature ma a fenomeni come i monsoni o le stagioni delle piogge Non mi meraviglia che nell’ altra pubblicazione si ottenga un risultato opposto basta cambiare la matrice spaziale per avere dati non uniformi
Grazie per l’analisi: anche lei conferma i dubbi che, a partire da Sergio Pinna, anche noi abbiamo avuto. Sono dati essenzialmente inventati (dal punto di vista degli autori, credo sia il massimo che si possa fare) e dipendenti in toto dal modello usato (e quindi dalle definizioni a priori).
Purtroppo vengono usati (gli uni e gli altri) come bandiere per proclamare e sostenere un’idea preconcetta e credo che l’atteggiamento corretto sia proporre le incongruenze presenti e quindi il peso da dare a questi “dati”.
Ad esempio, come ho scritto, in EM-DAT i “morti per freddo” sono incongruenti tra Globale ed Europa. Franco
Dopo aver spedito questo post, cercando di verificare un’idea non mia sulla possibilità che nel testo di Clarke et al., 2022 potessero essere stati trascritti in modo errato i dati del database EM-DAT, ho scaricato il dataset relativo ai disastri meteorologici globali e ho separato quelli classificati come “Heat wave”, “Cold wave” e “Severe winter condition”
ottenendo i seguenti risultati per la voce “decessi totali”:
Heat wave 172325
Cold wave 17906
Severe win. 3876
in cui la sproporzione tra decessi per caldo e decessi per freddo appare del tutto irrealistica, anche considerando che io uso malissimo i fogli di calcolo e che potrebbero esserci errori nei conteggi.
Comunque ho aggiunto il foglio completo e i fogli separati per i tre tipi di eventi nel sito di supporto in modo che sia possibile controllare i miei risultati.
Se, invece del dataset totale, uso solo i dati dal 2000 al 2020 (con intromissioni anche di 2021 e 2022) trovo:
Heat wave 158743
Cold wave 11392
Severe win. 3808
numeri che essenzialmente coincidono con la tabella 1 di Clarke e sono sullo stesso tono dei precedenti (forse un po’ peggiori perché i decessi per caldo sono diminuiti dell’8%; quelli per freddo di oltre il 36% e i “severe” di poco meno del 2%).
Il giorno precedente, per errore, avevo scaricato gli stessi dati ma solo per l’Europa e avevo ottenuto (per tutta l’estensione temporale del database):
Heat wave 91554
Cold wave 60888
Severe win. 1482
in cui i decessi per freddo sono incompatibili con il numero globale.
Aggiungo anche questo database al sito di supporto.
Non so cosa pensare di questi dati e posso solo essere d’accordo con Sergio Pinna che descrive bene questo tipo di dati in alcuni suoi post come
https://sergiopinna-clima.jimdofree.com/articoli/relazioni-temperature-
mortalit%C3%A0/
https://sergiopinna-clima.jimdofree.com/articoli/atlante-wmo-nuova-edizione/
https://sergiopinna-clima.jimdofree.com/articoli/l-atlante-wmo-dei-
disastri-meteorologici/
e sottolinea come sia davvero fuori luogo confrontare dati misurati (ad esempio i decessi dovuti all’alluvione o al terremoto) con questi decessi per caldo o freddo che non sono altro che stime di variazione rispetto a valori presunti di mortalità e che davvero sembrano costruite per sostenere una narrativa predefinita (sicuramente non sarà vero ma è quella l’idea che se ne ricava). Franco.
Attenzione ai dati 2020-2022: sono gli anni del Covid, E’ assodato che è una malattia a ciclo semestrale con picchi estivi ed invernali, analoga ad alcuni Enterovirus (quelli che causano i due o tre giorni di raffreddore estivo). Solo la sua incidenza altererebbe qualsiasi dato statistico comparato con gli anni precedenti