Verso la fine della prima settimana delle COP cominciano ad essere resi noti i documenti che via via prendono forma nell’ambito delle trattative che si sviluppano nei gruppi di lavoro ( organismi tecnici detti anche corpi sussidiari). Anche a Sharm el-Sheikh la tradizione è stata confermata e, con la pubblicazione dei documenti, inizia quello che io definisco il “ conteggio delle parentesi”. E’ consuetudine durante le lunghe tornate negoziali, racchiudere gli argomenti su cui non si riesce a trovare un’intesa in parentesi quadre. Le parentesi racchiudono una parola, una frase, un periodo, interi paragrafi, tutto il testo. Alle parentesi si affiancano anche le “opzioni” che rappresentano le possibili formulazioni di una parte del documento. La trattativa finisce quando le parentesi quadre e le opzioni non ci sono più.
Una parentesi quadra sparisce dal testo del documento quando i delegati raggiungono un’intesa o quando la parte su cui non c’è intesa viene “espunta” dal documento a causa dell’impossibilità di raggiungere un’intesa. Il metodo è utile ai delegati per individuare subito i punti di disaccordo ed agli osservatori per capire come si stanno evolvendo le trattative. Io personalmente non ho mai contato le parentesi: non ne ho né tempo, né voglia e, pertanto, sfrutto il lavoro meritorio e veramente insostituibile del dr. Simon Evans che fa parte del gruppo che anima il sito web Carbonbrief. Sul suo account Twitter egli commenta i documenti resi pubblici dall’Ufficio Stampa della COP e informa circa il grado di condivisione dei testi pubblicati, fornendo il numero di parentesi quadre e di opzioni che li caratterizzano. E’ tramite questa metrica che io riesco a capire come vanno le cose alla COP e non dalle strombazzate dei media che si abbeverano ai resoconti edulcorati dei comunicati stampa ufficiali. Per chi avesse voglia e tempo da dedicare alla questione,consiglio l’esame del foglio di calcolo elaborato dal dr. Simon Evans e liberamente accessibile.
Giusto per fare un esempio, il nove novembre il documento sulla mitigazione (SBI 57 agenda item 7 – SBSTA agenda item 8) era caratterizzato da ben 310 parentesi quadre e 28 opzioni su un totale di 9 pagine. Praticamente tutto il documento è in parentesi quadra e, quindi, su di esso non vi è il minimo accordo. Il portavoce del corpo sussidiario che si occupa delle trattative, ha commentato lo stato penoso del negoziato dicendo, che le trattative sono “complesse”! E’ un modo di dire, ovviamente, ma rende l’idea della differenza che c’è tra il dire ed il fare. E si tratta di un testo importante perché stabilisce come, quando e di quanto bisogna ridurre le emissioni di gas climalteranti. L’undici novembre il numero di parentesi quadre é sceso a 212 ed il numero delle opzioni è passato a 18, ma il giorno successivo tanto il numero di parentesi quadre che quello delle opzioni è risalito (243 e 21, rispettivamente). In parole povere l’organo tecnico che ha discusso il documento, non è riuscito a raggiungere il consenso sul testo. Esso passa, a questo punto, all’organo politico che se ne occuperà nel corso della prossima settimana.
I gruppi di lavoro che si occupano degli altri temi importanti della Conferenza (finanza, art. 6 dell’Accordo di Parigi, ecc.) non se la passano meglio. Le discussioni sui temi dell’art. 6 dell’Accordo di Parigi che riguarda, lo ricordo a me stesso, i meccanismi di mitigazione e, quindi, i famigerati impegni nazionali volontari (NDCs) e, in particolare, le modalità del loro aggiornamento e del loro controllo, non hanno fatto registrare alcun consenso e tutto è demandato alle decisioni dei politici. Stanti le esperienze pregresse, diciamo che non se ne farà nulla e tutto sarà demandato alla…. prossima COP. Salvo miracoli che possono sempre accadere, ovviamente.
Per quel che riguarda gli impegni economici da assumere a favore dei Paesi in via di sviluppo, è meglio stendere un velo pietoso: non è stato raggiunto nessun accordo e tutto è demandato all’organo politico. Vedremo cosa succederà nei prossimi giorni.
Qualche progresso, ad onor del vero, c’è stato e riguarda il fondo destinato all’adattamento. Già prima dell’apertura dei lavori della Conferenza qualche avvisaglia si intuiva. Una rondine non fa, però, primavera.
Chi ricorda ciò che scrissi nell’articolo dedicato all’apertura dei lavori della COP 27, si può rendere conto da questa breve disamina che la COP 27 si sta avviando verso un epilogo poco lusinghiero: si registreranno solo modestissimi progressi che saranno spacciati, però, per fatti epocali. Come è sempre successo in passato, del resto.
Un esempio illuminante riguardo questo assurdo atteggiamento che circonda le COP, è costituito dall’intervento effettuato dal presidente Biden alla Conferenza di Sharm el-Sheikh. Quello che ha visto protagonista il presidente Biden è stato un puro e semplice evento teatrale. Egli ha preannunciato il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni entro il 2030. Ha dimenticato di dire, però, che gli obiettivi fissati dagli USA e dagli altri Paesi sviluppati sono giudicati del tutto insufficienti dagli esperti dello stesso IPCC e non ha tenuto in alcun conto il fatto che le trattative in corso alla Conferenza, come appena dimostrato, hanno dato risultati a dir pocofallimentari. Egli ha anche dichiarato che gli USA aumenteranno di circa cento milioni di dollari il loro impegno nelle politiche di adattamento, dimenticando che il contributo USA dovrebbe più che quadruplicarsi (passare da 8 a 32 miliardi di dollari, considerando la quota imputabile agli Stati Uniti delle emissioni globali) per poter mettere insieme i fondi per la mitigazione e l’adattamento,da versare ai Paesi emergenti. quale parziale risarcimento dei danni e delle perdite causate dallo sfruttamento delle loro risorse naturali e dalle emissioni di diossido di carbonio. In altri termini, pur riconoscendo che gli USA sono responsabili di perdite e danni, si guarda bene dal mettere mano al portafogli. Nonostante ciò i media internazionali sostengono che le sue parole sono il segno della ripresa del ruolo di guida nella lotta al cambiamento climatico del Paese che lo ha eletto presidente. Anche in questo caso tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare.
L’unico effetto tangibile del suo intervento è stato l’allontanamento dalla Conferenza di Sharm di un gruppetto di attivisti (tra cui alcuni indigeni) rei di aver “disturbato” con urla di guerra e grida il suo discorso: l’organizzazione egiziana su questo è stata inflessibile e la revoca dell’accreditamento per i malcapitati contestatori è stata immediata. Nessuno ha contestato questo attentato alla libertà di dimostrazione. Non oso immaginare cosa sarebbe successo se fossero stati vittime di simili provvedimenti, attivisti impegnati a contestare il rappresentante cinese o saudita, tanto per fare due nomi.
Verso la metà della prossima settimana vedremo cosa riusciranno ad inventarsi i politici per risolvere la difficile situazione che si è venuta a creare alla COP 27
Il problema è falso ma lo spreco di soldi, risorse e tempo è molto reale. O meglio: lo spostamento di soldi e risorse da A a B.
falso problema, false soluzioni.