Nel 2016 – in occasione del 50° anniversario dell’alluvione dell’Arno del 1966 – è stato pubblicato uno studio dal titolo “Classificazione dei Tipi di Tempo e alluvioni in Toscana, nel contesto dei Cambiamenti Climatici”. L’Autore è Maurizio Iannuccilli, che attualmente risulta svolgere il ruolo di assegnista di ricerca presso il CNR-IBE di Firenze, cioè l’ex IBIMET (per chi fosse interessato, il testo è scaricabile da questo link.)
Nell’intestazione si legge: «Ricerca finanziata dal Distretto Rotary 2071 a.r. 2014-15, svolta sotto la guida del Dott. Gianni Messeri, Ricercatore del CNR – IBIMET e Previsore meteo del Consorzio LaMMa, e sotto la supervisione del Presidente dell’Accademia dei Georgofili Giampiero Maracchi, Professore Emerito di Climatologia dell’Università di Firenze».
Ebbene, siamo in presenza dell’ennesimo esempio di come – quando il discorso si sposta sulla questione degli eventi estremi – la corretta procedura scientifica sia sostituita da un approccio dogmatico, volto a evidenziare presunti cambiamenti che i dati non dimostrano affatto.
Nell’ambito della ricerca in oggetto, sono state studiate le serie pluviometriche di 35 stazioni toscane (non indicate nello scritto) nel periodo 1955-2013. A pagina 52 è scritto: «Nonostante la tendenza delle ultime decadi in Toscana vada verso una diminuzione delle piogge e del numero dei giorni piovosi, nell’ultimo periodo ci sono segnali che indicano una tendenza verso un aumento dei fenomeni precipitativi molto intensi».
In effetti, se le serie mediate dei totali annui e del numero di giorni piovosi hanno un trend lineare di segno negativo, alle pagine 38 e 44 è però chiarito che tali trend non sono significativi. Allora perché fare l’affermazione di cui sopra? Forse solo perché la frase ben si adatta al quadro della mitica tropicalizzazione del Mediterraneo?
Volendo poi dimostrare un “aumento dei fenomeni precipitativi molto intensi”, sarebbe ovvio presentare delle serie storiche 1955-2013 di qualche parametro che negli ultimi 20~30 anni mostri dei valori chiaramente diversi da quelli dei decenni precedenti; viene invece proposta soltanto la seguente figura (un istogramma del numero medio annuo di giorni con pioggia giornaliera superiore al novantesimo percentile).
Mi paiono evidenti queste puntualizzazioni:
- Perché si parte dal 1990 invece che dal 1955? Nessuna spiegazione in proposito.
- Studiare delle serie di caratteri pluviometrici di così breve lunghezza è cosa priva di senso, in quanto le tendenze generali possono sempre essere influenzate da ciclicità, più o meno irregolari, di notevole durata. Ne deriva pertanto che un trend 1990-2013, positivo o negativo che sia, non ha comunque un significato dal punto di vista climatologico.
- Nella figura è riportata la retta di trend, senza però alcuna precisazione; ho calcolato allora la sua equazione: y = 0,054x – 99 (R2 = 0,03). Relativamente ad un campione di 24 dati, è pertanto una tendenza senza alcuna significatività.
- Per essere più chiari anche verso chi non ha un minimo di dimestichezza con la statistica, si tenga conto che, se il valore del 2010 – invece che essere un massimo di 14,5 circa – fosse risultato pari alla media degli altri, la retta della figura sarebbe perfettamente orizzontale.
I “segnali” di cambiamento sono in sostanza inesistenti, a meno di voler cadere davvero nel ridicolo, assegnando a singoli valori dei significati che non possono ovviamente avere.
Nota – Si deve poi rilevare che non è stato considerato un articolo, uscito nel 2009 sull’International Journal of Climatology: Fatichi S. e Caporali E., “A comprehensive analysis of changes in precipitation regime in Tuscany”. In esso viene condotta un’analisi completa di tutti gli aspetti pluviometrici di 200 stazioni che, a partire dal 1916, presentano almeno 40 anni di registrazione dei dati. Da tale analisi non è emerso alcun tipo di cambiamento, tanto che nelle conclusioni gli Autori scrivono: «The use of a great number of indexes, especially the PCI and the monthly subdivision of the total precipitation and of the number of wet days, clearly confirms that changes in the seasonal distribution of precipitation are not statistically significant. The signs of climate change as illustrated by several authors and reports are not detected in Tuscany for the analysed dataset …».
Nella successiva pagina 53, il lettore trova il paragrafo intitolato “Gli effetti del cambiamento in atto sul territorio toscano: le alluvioni”. Nonostante la mancanza – come spero di aver ben spiegato nelle righe precedenti – di qualsiasi dimostrazione quantitativa su cambiamenti negli eventi estremi, si inizia con una frase perentoria: «L’aumento di frequenza e dell’intensità degli eventi intensi di precipitazione (sia in aree localizzate che più estese), conseguenza del cambiamento climatico in atto, hanno portato ad un aumento della frequenza degli episodi di dissesto idrogeologico». Un’asserzione che dovrebbe essere giustificata dalla successiva figura, in riferimento alla quale l’Autore infatti commenta: «È possibile osservare un netto aumento degli eventi negli ultimi anni».
Come sono definiti i “Principali eventi alluvionali/forti allagamenti”? In NESSUN modo, per cui la serie di dati non può avere alcun significato scientifico. I valori dell’istogramma derivano da una tabella (pp. 55-60) ricavata con le indicazioni di una relazione del Servizio Geologico Nazionale per gli anni dal 1948 al 1990 e con dati elaborati dal consorzio LaMMa e CFR, per il periodo 1991-2015. Due ulteriori mie considerazioni in merito:
- Gli eventi indicati nella suddetta relazione derivano solo da un esame di citazioni legislative legate agli episodi di dissesto, per cui sono spaventosamente incomplete. Ho fatto una rapida verifica sugli Annali Idrologici appurando – a puro titolo d’esempio – che solo tra il 1951 e il 1966 ben 5 eventi, ritenuti dal Servizio Idrografico così rilevanti da dedicarvi una trattazione specifica, sono ignorati nella relazione.
- Nulla suggerisce che i criteri seguiti dal LaMMa per registrare i fatti recenti possano essere ritenuti simili a quelli utilizzati nei periodi precedenti.
In definitiva, a chi pensasse che la serie degli eventi 1948-2015 dimostri qualcosa in termini di cambiamenti del clima, consiglierei di studiare un po’, perché sarebbero evidenti delle preoccupanti lacune in campo scientifico.
Insomma, siamo ancora una volta davanti a uno sconfortante esempio di lavoro nel quale, assieme ad alcune pagine contenenti argomenti di un qualche interesse, ne trovano spazio altre scientificamente inutili e mirate solo a presentare risultati già dogmaticamente stabiliti ex ante.
NB: l’articolo è uscito in origine sul blog dell’autore
È preoccupante come non cercano più neanche di camuffare le loro menzogne, tanto sono sicuri che oramai siamo tutti inquadrati.
Riscaldamento globale, ovvero , emisfericamente parlando, ciò di cui abbiamo prova ogni anno, primavera ed estate, sono in contro prova agli eventi estremi.
Col riscaldamento emisferico o globale se è di clima si voglia parlare, il gradiente latitudinale diminuisce, equatore/poli.
Se la genesi di ogni evento atmosferico è sempre e solo il gradiente, beh, non serve l’aiutino per capire che l’abbinata global warming/eventi estremi è l’ennesima fake news ad opera del mainstream.
Certo, ma nella nostra palla di cristallo vediamo chiaramente il disastro prossimo venturo 🙂