Salta al contenuto

Mille anni di temperatura estiva nell’arco alpino

Grazie al nostro padrone di casa sono venuto a conoscenza di un lavoro di 12 anni fa, Corona et al., 2010, nel quale si produce una serie di temperature estive (JJA) derivate da misure dendrologiche da 38 siti lungo tutto l’arco alpino (mappa). Gli alberi considerati sono larici (cerchi rossi nella mappa) e pini (triangoli gialli).
A valle di tutte le considerazioni dendrologiche e della curva di calibrazione su cui non mi pronuncio, gli autori producono una serie di temperatura (anomalia, quadro a) estiva delle Alpi per la quale non sono stato in grado di ottenere i valori numerici; pur rendendomi conto delle difficoltà di trattare una curva così densa e oscillante, non ho potuto fare altro che discretizzare e digitalizzare la figura con un valore ogni 3 pixel (circa un valore ogni 5 anni). Dai 1000 anni coperti dalla serie derivano allora i circa 200 punti (198 per la precisione) che mostro in figura 1, insieme ad un filtro di finestra 50 anni (10 punti) e con lo spettro Lomb dominato da una periodicità principale di circa 700 anni.

Fig.1: Serie digitalizzata della temperatura estiva (JJA) derivata, per l’intero arco alpino, dagli anelli di accrescimento degli alberi (Larice e Pino). Anche senza sottolineature particolari si nota la presenza del periodo caldo medievale (950-1250) e della piccola era glaciale (1350-1850). Nei quadri in basso, lo spettro Lomb della serie.

Vorrei fosse chiaro che ogni considerazione successiva si basa su questa digitalizzazione, una delle numerose possibilità che il grafico prodotto dagli autori permette (anche allo stesso digitalizzatore, in tempi successivi).
Ciò detto, da figura 1 si osservano oscillazioni successive, sopra e sotto la linea rossa del fit lineare, che saranno dettagliate nella successiva figura 2.
Lo spettro è dominato da un’ampia oscillazione con massimo attorno a 700 anni; si osserva poi un netto massimo a 84 anni, preceduto da periodi di 200-250 anni per la parte di bassa frequenza dello spettro. Le alte frequenze (periodi più brevi) mostrano una serie di “sussulti” fra 70 e 50 anni, tipici delle grandi oscillazioni oceaniche e atmosferiche (diciamo, relativamente alle Alpi, AMO e NAO ma con attenzione anche alla lontana PDO). Dopo un periodo di oscillazioni di bassa potenza, si osserva un massimo, un po’ isolato dagli altri e non molto forte ma ben visibile, a 18.4 anni, seguito da tutta una serie di picchi spettrali “Enso-like” tra 2 e 10-12 anni.
Il picco “lunare” a 18.4 anni ci ricorda che questa serie di temperatura deriva dalla dendrologia per la quale sono stati osservati diversi casi sempre legati alle precipitazioni e, in generale, “all’acqua”. Come al solito, sono molto prudente nell’attribuire alla Luna i massimi tra 18 e 20 anni e mi limito ad aggiungere questo nuovo esempio all’elenco esistente.
Per la serie di picchi simil-Nino che troviamo quasi identica nella grande maggioranza dei dati che coprono gli intervalli temporali opportuni, non mi sento di escludere una reale influenza delle teleconnessioni legate all’oscillazione del Pacifico equatoriale (ENSO), anche sostenuto dalla presenza importante di questi massimi, alla quale ho appena accennato.

La figura 2 è una versione più complessa del quadro superiore di figura 1 a cui ho associato una serie di bande colorate a sottolineare periodi climatici caldi (rosa) e freddi (celeste) e, in giallo, i minimi solari per i quali noto che ben 3 su 5 cadono all’interno della LIA (Spöorer, Maunder, Dalton), uno (Wolf) è appena precedente e adiacente alla LIA e solo il minimo di Oort si trova all’interno del periodo caldo medievale (MWP). Proprio ieri (7.4.22) ho sentito, in un gioco televisivo, che la LIA è caratterizzata da “bassa attività solare”: è vero ma in dettaglio, da tre tre episodi di bassa attività solare che complessivamente hanno causato le temperature inferiori ma anche le forti oscillazioni, caratteristiche di questo periodo.

Fig.2: La serie di figura 1 inserita in un contesto di bande climatiche. Si notano le diminuzioni di temperatura durante i minimi solari di Oort, Maunder e Dalton mentre durante i minimi di Wolf e Sporer le temperature mostrano un andamento crescente in media, attorno allo zero nel primo caso e attorno a valori inferiori nel secondo. M.M. indica il massimo solare moderno (1914-2008 CE).

A differenza di quanto si può osservare in altre aree, l’MWP sulle Alpi sembra definito da temperature mediamente in salita che però partono da valori bassi (anomalie anche inferiori a -1°C). La banda in verde chiaro indica il periodo del massimo solare moderno (M.M., dal 1914 al 2008) con anomalie attorno allo zero e con oscillazioni non troppo diverse da quelle dei periodi precedenti.

Gli autori, per un paio di anni specifici: il freddo 1632 (tarda vendemmia in Borgogna) e il 1639 (piuttosto dolce nella stessa regione) fanno riferimento alla serie GHD (Grape Harvest Date), cioè alle date di vendemmia in Borgogna (per il pinot nero) pubblicate da Chuine et al. (2004) e riferite all’arco temporale 1360-2000. Invece di seguire la stessa linea, ho preferito confrontare JJA con l’intera serie di temperature derivate da GHD e con ETA, l’anomalia di temperatura media europea (Mariani e Zavatti, 2017) dal 1655 al 2020, disponibile anche su CM. Il confronto, in figura 3, viene fatto tra le serie filtrate e tra gli spettri delle serie originali per evitare le difficoltà di lettura di un grafico equivalente alla figura 2 che contenga i dati originali.

Fig.3: Confronto tra la serie detta JJA (figura 1) e le due serie: GHD (derivata dalla serie delle date di vendemmia nella regione del Bordeaux, Chuine et al. 2004) e ETA (European Temperature Anomaly, media di 29 stazioni europee descritta in Mariani e Zavatti, 2017 e disponibile nella barra laterale di CM).

Dalla figura 3 risalta il fatto che in Borgogna non si nota un periodo equivalente alla LIA ma un periodo, tra il 1360 e il 1730, di anomalie più elevate di quelle alpine e, al suo interno dal 1450 al 1625, un intervallo di anomalie inferiori (la LIA in Borgogna?). Dopo il 1730 le tre serie diventano molto simili.
Gli spettri sono semplicemente diversi: a volte si assomigliano, altre volte no e credo si debba prendere atto che le serie derivano da situazioni fisiche diverse che reagiscono all’influenza climatica in modo differente.

In conclusione, a me sembra che il lavoro di Corona e collaboratori sia buono e che la loro serie di anomalie estive sulle Alpi sia attendibile (anche nella versione deformata della mia digitalizzazione). L’unico rammarico è il fatto che i dati originali non siano direttamente disponibili.

Bibliografia

  • Chuine I., Yiou P., Viovy, N., Seguin, B., Daux, V., Le Roy Ladurie, E.: Grape ripening as a past climate indicatorNature432, 289-290, 2004. https://doi.org/10.5194/cp-6-379-2010.
  • C. Corona, J. Guiot, J. L. Edouard, F. Chalie, U. Buntgen, P. Nola and C. Urbinati: Millennium-long summer temperature variations in the European Alps as reconstructed from tree rings Clim. Past6, 379-400, 2010. https://doi.org/10.5194/cp-6-379-2010
  • Mariani L., Zavatti F.: Multi-scale approach to Euro-Atlantic climatic cycles based on phenological time series, air temperatures and circulation indexes Science of the Total Environment593-594, 253-262, 2017. doi:10.1016/j.scitotenv.2017.03.182
    Tutti i dati e i grafici sono disponibili nel sito di supporto

    Foto di FelixMittermeier da Pixabay

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualitàClimatologia

4 Comments

  1. Interessante studio quello della dendrocronologia per il quale mi stuzzica una curiosità. Immagino che le stagioni estive fredde influenzino negativamente la crescita degli alberi di alta quota e producano anelli di accrescimento di spessore inferiore rispetto alle stagioni più calde (a bassa quota la stagione di accrescimento comprende la primavera, l’estate e la prima parte dell’autunno). Al tempo stesso immagino che le stagioni secche, sempre ad alta quota, influenzino anch’esse negativamente l’accrescimento degli anelli degli alberi, mentre le stagioni umide li favoriscano. Come fanno i ricercatori a distinguere se il motivo del basso accrescimento sia dovuto agli effetti delle basse temperature oppure a problemi di carenza idrica/siccità ? Nella fig. 1 vedo che la curva verde chiaro ha delle oscillazioni notevoli, come da Lei sottolineato, e per questo motivo viene generata la curva verde scuro che smorza gli effetti ed è più leggibile, se non mi sbaglio. Mi sembra però che questa curva verde scuro abbia due problemi, uno alla partenza e uno alla fine. Mi spiego meglio, la partenza (anno 1000) è molto alta, probabilmente perché non ci sono dati precedenti a smorzarla; così pure è alto il finale (anno 2000) ipotizzo per lo stesso motivo. Tale impennata non si vede ad esempio nel 1825 a fronte di un notevole picco della curva verde chiaro. Nel 2000, in presenza di un picco minore della curva verde chiaro, la curva verde scuro si alza a dismisura facendo impressione. E’ possibile che questa discrepanza generi confusione nel lettore o è solo una mia sensazione causata dalla mia incapacità di lettura del grafico?

    • Lei pone due problemi distinti:

      Il primo riguarda la curva smussata (verde scuro) e le “stranezze” che si osservano, come si dice, “al bordo”, cioè agli estremi della serie. Sono state sviluppate molte tecniche (ad esempio spline e filtri gaussiani) per correggere gli “effetti al bordo” e per far sì che la rappresentazione filtrata sia quanto più possibile aderente ai dati osservati ma, in ogni caso, tutte le tecniche soffrono quando sono “costrette” a inventarsi dati o a fare a
      meno di una parte dei dati esistenti.
      Proprio per queste difficoltà uso nelle elaborazioni sempre i dati originali (o, come in questo caso, i dati digitalizzati) e mai i dati filtrati che servono solo come loro rappresentazione semplificata, in grado di fornire un’idea più generale e pulita della loro struttura, purché ci si mantenga un po’ lontano dai bordi (“un po’” dipende dalle dimensioni dell’intervallo temporale con cui si vuole smussare la serie). Quindi, per rispondere alla sua domanda, è possibile generare confusione nel lettore ma, credo, il lettore che si avvicina a queste problematiche non è mai del tutto digiuno dei limiti delle tecniche numeriche e delle necessità di osservare con attenzione gli effetti al bordo.

      Il secondo riguarda le tecniche usate dai dendrologi per dedurre le temperature dagli anelli di accrescimento. Quello che posso dirle è che ognuno di noi (a partire dai dendrologi stessi) ha avuto e ha gli stessi suoi dubbi: la vita vegetale dipende da tanti fattori, a volte non legati tra loro, che è difficile associare la crescita degli anelli ad uno o a pochi elementi climatici e quasi nessuno di noi crede ciecamente nella relazione accrescimento-temperatura. Bisogna anche osservare, però, che i dendrologi sono altrettanto consapevoli delle difficoltà insite nel loro lavoro e si impegnano duramente nel superarle; ad esempio analizzano attentamente la climatologia delle regioni che studiano, la natura del terreno e il tipo (i tipi) di albero, la quota e chissà cos’altro.
      Il fatto che i risultati dendrologici siano usati in continuazione per descrivere le condizioni di un passato altrimenti irraggiungibile, significa che non abbiamo niente di meglio o che in effetti quei dati siano accettabilmente sicuri.

      Si può discutere, come ha fatto Luigi Mariani, se e come utilizzare quei dati nei confronti con altre serie, in condizioni climatiche differenti, ma credo che non si possa attribuire ai dendrologi un’ignoranza che in realtà è solo nostra. E questo senza nulla togliere alla necessità, come correttamente ha fatto lei, di avere sempre dei dubbi, di essere scettici a priori. Grazie per l’ottimo commento. Franco

  2. Luigi Mariani

    Caro Franco,
    compimenti per il tuo scritto, molto chiaro ed efficace.
    Osservo che il confronto con la serie delle date di vendemmia della Borgogna è forviante in quanto le cerchie di crescita di larice e pino cembro (conifere che vivono ad alta quota) dipendono dalle temperature estive (direi luglio e agosto) mente le date di vendemmia sono funzione soprattutto delle temperature primaverili (da aprile a giugno).
    Il nostro ETA poi ci parla di temperature annuali che sono una cosa ancora diversa.
    In sintesi per simulare ETA in modo efficace occorrerebbe mettere insieme proxy (biologici e non) in grado di coprire l’intero anno, il che costituirebbe un lavoro molto originale -> fin qui non c’è ancora riuscito nessuno ma in futuro chissà…
    Ciao.
    Luigi

    • Caro Luigi,
      hai ragione sul confront con GHD: non avrei mai pensato di paragonare le temperature nel periodo di vendemmia in Borgogna con quelle derivate dalla dendrologia di alberi che crescono a quote elevate sulle Alpi se non lo avessero fatto gli autori dell’articolo. Lo hanno fatto solo per alcuni anni, ma il concetto non cambia. A questo punto, il confronto anche con una temperatura (annuale) media europea, ETA, è un di più nell’arte di mescolare le pere con le mele e fornisce un’idea della diversità (ma anche uguaglianza) di quanto succede alla temperatura in Europa o in una parte dell’Europa.
      Davvero interessante l’idea di simulare ETA con proxy relativi a periodi diversi dell’anno … magari ci possiamo pensare. Ciao. Franco

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »