In “Cognizione del dolore”, capolavoro di Carlo Emilio Gadda, compaiono, riferite a un improbabile paese sudamericano, una serie di città del Nord Italia e fra di esse trova spazio Milano, curiosamente chiamata Pastrufazio (qui), il che pone alla nostra attenzione una categoria, quella del pastrufazianesimo, utile ad inquadrare svariati fenomeni che accadono nella città in cui ho la ventura di vivere. Un caso emblematico di pastrufazianesimo è a mio avviso costituito dal modo demagogico con cui vengono gestite le piantumazioni di alberi in città. Le cose ebbero credo inizio con un noto direttore d’orchestra, oggi scomparso, il quale affermò che non avrebbe mai più diretto a Milano se la città non avesse piantato non mi ricordo più quanti milioni di alberi. E tutti in modo acritico a lodare quella drastica presa di posizione, che oggi viene replicata dall’idea promossa da svariati enti¹ di impiantare milioni di alberi con il progetto Forestami, chiedendo anche il contributo economico dei privati cittadini (Figura di copertina).
Peccato che per piantumare tanti alberi a Milano manchi una sola cosa, la terra. Te ne rendi conto scrutando la realtà quotidiana dei poveri alberi di recente impianto che conducono vita grama in città per morire in quantità ogni estate ed essere poi ripiantati l’autunno successivo.
Oggi mi è capitato di passare in via Foppa, in una zona interessata dagli scavi del nuovo metro e nella quale gli “architetti pastrufaziani” stanno realizzando nuove aiuole. Lì sono rimasto attonito nel vedere che le aiuole sono state riempite con calcinacci o terreno oltremodo compatto e ricco di scheletro fino a 40 cm dalla superficie, per poi ricoprire il tutto con terra di coltivo nascondendo così le “vergogne” (figura 2). E’ chiaro che gli alberi che verranno messi a dimora in tali aiuole (immagino nel quadro di Forestami) vivranno vita stentata radicando unicamente nei primi 40 cm di terreno, il che li esporrà alla siccità estiva e agli sradicamenti in occasione degli episodi di vento forte (alcune decine di giorni l’anno) a cui si assiste in occasione dei temporali e degli episodi di foehn. A quest’ultimo riguardo riporto la figura 3 relativa ad un grande platano abbattuto dal foehn del 7 febbraio scorso al Parco Solari. Come vedete il pane di terra è estremamente ridotto, a riprova del fatto che anche in un ambiente non disturbato come un parco pubblico non c’è terra buona in profondità, per cui le piante non radicano a dovere.
In qualche modo esemplare è anche quanto accade nelle piccola via in cui abito, popolata di alberi di susino da fiore e di robinia piantumati in una vasche da 50x50x50 cm riempite di terra (figura 4): ogni estate muoiono 3-4 alberi (su un totale di 30 circa) che vengono solertemente sostituiti l’autunno successivo, senza mai pensare che forse basterebbe dar loro un poco di terra in più.
Certo, Forestami è riferito all’intera città metropolitana, per cui immagino che molti dei 3 milioni di alberi finiranno in campagna, ad occupare con verde improduttivo terreni fertilissimi. D’altronde produrre mais (o se preferite banzavois – qui ) e frumento non interessa i pastrufaziani, conviti come sono che la materia prima per produrre gli alimenti di cui si nutrono in abbondanza abbia origine nelle panetterie e nei supermercati.
In sintesi dunque penso che se si facesse un po’ più di silenzio evitando obiettivi totemici degni di 1984 di Orwell e si curassero meglio gli alberi a partire dalle piantumazioni sarebbe meglio per tutti, gli alberi in primis.
Nota: l’articolo è uscito in origine su Agrarian Sciences.
¹ Comune di Milano, Città metropolitana di Milano, Regione Lombardia-ERSAF, Parco Nord Milano, Parco Agricolo Sud Milano e Fondazione di Comunità Milano Città, Sud Ovest, Sud Est e Adda Martesana Onlus, Fondazione Comunitaria Nord Milano, Fondazione Comunitaria del Ticino Olona, Università degli Studi di Milano e Università degli Studi Milano Bicocca.
Caro Luigi
Al solito condivido i contenuti del suo articolo. E non so se si ricorda, dato che cita la nuova linea metro, le esibizioni di gente incatenata sugli alberi (ormai due legislature fa…ma sti lavori, come diremmo noi milanesi, “finissen pù”) che dovevano essere sradicati per far posto ai cantieri. Mi ricordano quelli che per non produrre CO2 si prendono l’auto elettrica e la caricano nella presa del box per non emettere. Ah già, sono sempre loro…
Ottimo articolo, che solleva un problema, non solo tecnico scientifico e ambientale, ma anche culturale e filosofico su temi di vasta portata per la nostra società.
Nella città in cui lavoro è attivo un progetto di riqualificazione urbana denominato “urban jungle”, e come per una giungla, l’introduzione di specie esotiche è alla base della “riforestazione”. Alberi che a stento sopravvivono, altri che invece minacciano di diventare infestanti, come accaduto alla Robinia e all’Ailanto.
Tra alberi e aree urbanizzate la convivenza è difficile e complessa. Gli alberi sono considerati come “arredo urbano” e non esseri viventi. Ultimamente si cerca di salvaguardarli,come si fa con le reliquie archeologiche, e talvolta si lasciano “in piedi” sacrificando il terreno intorno al tronco o attorno alle radici. Si vedono lavori di riparazione e/o installazione di tubi, impianti ecc. dove tagliano le radici senza criterio, sbilanciando l’albero pericolosamente.
Alcuni alberi, come i pini ad ombrello (pino domestico), i cipressi, i pioppi, i faggi o le betulle, hanno radici superficiali; altri come i platani, cedri e alcune querce, hanno un accrescimento che tende al gigantismo, e pertanto diventano pericolosi per i loro rami imponenti; altri ancora, come i tigli, i frassini e i bagolari hanno radici potenti, che scalzano muretti e massicciate, strade e marciapiedi.
Molte specie arboree intrecciano le loro radici in una rete di relazioni trofiche e di supporto, per cui i bochi sono spesso fitti e intricati.
E queste sono alcune delle specie nostrane…
Si fa presto a parlare di riforestazione urbana, se non si progetta bene cosa e dove posizionare.
Ma il pensiero radical-chic anche in questo caso la fa da padrone.
Ho ristrutturato un rustico nel parco delle Cinque Terre. Riconosco la mia follia . Per nove anni ho combattuto la più idiota burocrazia verde, Ho dovuto presentare anche il progetto del giardino. Mi hanno bocciato gli agrumi sulla massicciata di dispersione della fossa settica perché non si piantano alberi da frutto in luogo a rischio di contaminazione . non hanno saputo spiegarmi da quando gli alberi assorbono i batteri. al loro posto mi hanno costretto piantare dell’ alloro ,senza specificare se potevo metterlo nell’ arrosto. Mi hanno impedito di piantare un gelso perché non originario della zona , Su questo però l’ho avuta vinta perché ho trovato un libro che dimostra che nel XVII secolo la zona era coltivata a gelsi per le seterie di Zoagli. Potevo piantare solo varietà specifiche di vite , vietata quella da tavola, neanche per uso personale Vietatissime tutte le varietà di piante non autoctone come le orchidee ed anche sulle rose inglesi ci sono state discussioni finché non ho dimostrato che non esistono rose non ibridate, Perfino per una spalliera di quattro piante di ribes ho avuto problemi e mi hanno fatto piantare delle more. Non ho osato proporre dei lamponi per non rischiare una crisi isterica degli architetti paesisti del parco
La terra? per piantare alberi?? a cosa serve? ma davvero?
Come quelle deliranti norme che impongono (rectius: imporrebbero) di piantare 4 alberi ad ALTO FUSTO in 50 metri quadri di giardino attorno ad una casa singola (aka villetta).
Ma questi geni sanno quanto spazio abbisogna un albero che, da maturo, diventa magari alto 7-8-10 (e passa) metri?
Dalle mie parti (ovest milanese) vedo un sacco di parchi e parchetti con alberi piantati a due metri uno dall’altro: perché FA FIGO piantarne tanti, evidentemente; va che bravi che sono, quante piante mettono giù. Sono green, sono sostenibili (mai lemma mi è più insopportabile di questo….)
Poi, quando crescono, vedi le piante lottare per trovare il loro spazio ed essere tutte sacrificate perché si mangiano letteralmente una con l’altra. Morale: invece di piantare 50 alberi tutti addosso uno sull’altro, forse meglio metterne 20 dando loro lo spazio vitale che necessitano.
Professore, ulteriore nota di merito per aver citato un genio sottovalutato come Carlo Emilio Gadda!
Quanto ci sarebbe bisogno di pensatori come lui o come Flaiano…
Aggiungiamo l’annuale “potatura” castrante al quadro dell’ignoranza.