Questo post è a firma di Andrea Beretta
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Le Olimpiadi Invernali appena terminate ci invitano a tirare un bilancio… Non solo sulla spedizione italiana ma soprattutto sulle condizioni meteo trovate dagli atleti.
Sul fronte sportivo, l’Italia ha conquistato 17 medaglie, a un soffio dal record di Lillehammer ’94, quando ne vinse 20, a fronte tuttavia di 109 gare disputate in Cina contro le sole 61 di Lillehammer: infatti a Lillehammer arrivammo quarti nel medagliere, mentre a Pechino siamo finiti solo tredicesimi.
Ma che freddo fa!?
Per ciò che riguarda il clima, anche a Pechino come a Tokyo nell’agosto scorso, gli atleti hanno dovuto sottostare sia alle rigidissime misure preventive contro la pandemia, sia soprattutto alle intemperie metereologiche. Ma se in Giappone per l’edizione estiva avevano fatto scalpore le condizioni di umidità e caldo che obbligarono addirittura ad anticipare a tarda notte la partenza della maratona, a Pechino è stato il freddo, il vento, la neve o una combinazione dei tre eventi, a influenzare il programma delle gare.
Ad esempio, le gare di biathlon hanno subito sconvolgimenti, tanto che la “mass start” femminile è stata anticipata di un giorno per evitare le temperature polari previste, e possibilmente scongiurare il ripetersi dell’episodio di collasso di un’atleta, la svizzera Cadurisch, trasportata in barella all’ospedale nel corso alla prima frazione della staffetta sempre di biathlon.
Il salto dal trampolino, che andava in scena nello stesso “ridente” comprensorio del biathlon tra scenari non proprio bucolici, è stato pesantemente condizionato dal forte vento (raffiche vicine a 50 km /h) che ha dilatato la durata delle gare. Non è andata meglio allo sci alpino, per cui era stata scelta la località di Xiaohaituo, a poche centinaia di km dalla capitale.
Nella prima settimana, quando erano in programma le gare veloci maschili, il vento (e le temperature siberiane) hanno costretto a modificare il programma posticipando diverse gare; ma la beffa è arrivata all’inizio della seconda settimana, quando s’è abbattuta una nevicata insolita sulla località in cui mediamente cadono 5 cm di neve all’anno: mezzo metro “fioccato” in poche ore, e gare femminili di gigante e discesa libera rivoluzionate per dare il tempo agli organizzatori di preparare la pista.
L’ultima gara in programma domenica 20 febbraio, la 50 km di sci di fondo maschile, è stata addirittura accorciata di 20 km a causa delle temperature inferiori ai -20°C, e posticipata di un’ora alla ricerca di maggior tepore. Il regolamento della Federazione Internazionale Sci imporrebbe, per tutelare la salute degli sciatori, di non gareggiare sotto i -20°C, ma l’alternativa era non assegnare affatto la medaglia, che è di fatto il simbolo dell’olimpiade invernale stessa, un po’ come la maratona lo è di quella estiva.
Niente male per un’olimpiade in piena era Global Warming: tanto che gli americani si sono lamentati del freddo, quasi osservando che in epoca di riscaldamento, queste cose non dovrebbero essere ammesse. Eppure nelle olimpiadi del passato, anche remoto, quando il Global Warming era ancora da inventare, capitava invece di avere problemi opposti.
Amarcord
Nel 1928 a Sankt Moritz, dove si disputarono le seconde olimpiadi invernali della storia, il problema più grave fu infatti…il caldo: il 14 febbraio, quarto giorno dei Giochi invernali, un’irruzione di favonio fece salire la temperatura dai 3 gradi delle 8 del mattino a 25°C a mezzogiorno. I 10.000 metri di pattinaggio di velocità dovettero essere annullati a causa del ghiaccio sempre più morbido. Fu colpita anche la 50 km di fondo: molti sciatori ebbero seri problemi con la sciolina e quasi un terzo dei partecipanti dovette ritirarsi.
Discorso simile per le olimpiadi di Innsbruck del 1964: a causa delle alte temperature l’esercito austriaco dovette trasportare 20 mila blocchi di ghiaccio sulle piste da bob e slittino e 40 mila metri cubi di neve sulle piste di sci alpino. Come in Engadina 38 anni prima, fu protagonista ancora il favonio, che soffiando sulla valle dell’Inn dal 2 febbraio aveva sciolto le piste dove dovevano corrersi le gare di bob e slittino (disciplina presente per la prima volta in assoluto). Alcune gare erano state anticipate di primissimo mattino nella speranza che le piste risultassero ancora congelate…ma anche così, al traguardo della pista da bob si “navigò” su diversi centimetri d’acqua.
Anche le Olimpiadi del 1952 di Oslo non furono molto fortunate sul fronte “materia prima”: a causa della mancanza di neve, gli organizzatori norvegesi si trovarono costretti a trasportare la neve fin su comprensorio scelto come teatro dello sci alpino, quello di Norefjell. La cosa portò bene all’Italia, dato che trionfò in discesa il mitico Zeno Colò, e portammo a casa anche una medaglia di bronzo con Giuliana Minuzzo.
Al di là delle vittorie azzurre, fa riflettere come il foehn è sempre stato attivissimo nelle vallate alpine, anche in epoche non sospette, o volutamente dimenticate. E che tutto sommato questo deludente inverno europeo che si avvia malinconicamente a finire, non è così insolito per le Alpi.
Le olimpiadi di Lake Placid, nello stato di New York, nel 1980, furono le prime a vedere l’utilizzo della neve artificiale per ovviare alla mancanza di materia prima: in quel caso la “East Coast”, che vede mediamente metri di neve cadere nelle stagione invernale, venne “funestata” da un episodio di siccità e caldo duraturi che costrinse gli organizzatori a correre ai ripari, usando per la prima volta la neve artificiale. Stavolta le condizioni climatiche particolari non aiutarono i nostri colori, dato che l’Italia chiuse 13a nel medagliere, con due sole medaglie d’argento.
Mai una gioia
Le prossime olimpiadi, come si sa, torneranno in Italia, a 20 anni di distanza dalla fortunata edizione di Torino. Ma c’è poco da festeggiare: l’immarcescibile Fatto Quotidiano (nella ormai tristemente nota rubrica “Ambiente e Veleni”) ne ha già decretato il fallimento a priori.
Niente di sorprendente, visto che da quelle parti si sostiene con convinzione che la Valtellina sia più adatta alla coltivazione degli oliveti che alla pratica degli sport invernali. Bontà loro.
[…] in occasione delle ultime olimpiadi disputate, quelle invernali di Pechino, anche per i giochi olimpici di Parigi 2024 vi sono stati […]
Caro Andrea,
tra questo tuo e l’articolo di Massimo (Lupicino) di quasi esattamente un anno fa (14 aprile 2021) possiamo certo dire che un anno è passato invano, di sicuro per l’evoluzione culturale di qualche “bloggaro” del FQ.
Seguo spesso i blog climatici di quel giornale, soprattutto per ammirare la perseveranza di quei pochi commentatori, ancora dotati di raziocinio, che cercano di far valere le proprie convinzioni con dati e/o ragionamenti sensati e per chiedermi come facciano a resistere in mezzo al nulla cosmico che li circonda.
Approfitto del tuo ottimo articolo per un doveroso, piccolo omaggio a queste persone.
Seguo lo sport con l’orecchio destro (quello che sente poco) ma non ho mai ascoltato neanche una briciola di quanto scrivi, a riprova della tua onestà e della … (lasciamo perdere) dei giornalisti che si occupano di sport. Complimenti! Franco
Caro Franco, grazie mille delle tue parole, che venendo da te sono doppiamente apprezzabili e apprezzate.
A me piace molto seguire gli sport di nicchia (del calcio, sempre che possa essere definito sport, so quasi niente)…e mi piace vedere come il tempo giochi spesso un ruolo importante, quanto meno negli sport outdoor. Che poi il mainstream dia spazio solo agli episodi caldi, fa parte della malafede imperante.
Rispondo anche a Giorgio: è vero, all’expo abbiamo presentato forse la metà delle opere dichiarate: e tuttavia è stato un volano per fare partire infrastrutture (le 2 linee metropolitane nuove) che se no sarebbero forse ancora sulla carta. Quello che non mi piace è che invece per le prossime olimpiadi a livello infrastrutturale è previsto ben poco: e allora la preoccupazione del Fatto può anche essere condivisibile: il rischio è che si facciano solo le cattedrali nel deserto che verranno utilizzate solo per quelle 2 settimane, e poi abbandonate, come gli impianti di Pragelato
Senza riprendere il fattoNE quotidiano (anche un orologio fermo segna l’ora esatta due volte al giorno), dire perché le Olimpiadi non sono necessariamente una buona cosa significherebbe andare pesantemente OT. Mi limito a far notare che opere che erano state progettate per l’Expo del 2015 con ogni probabilità non saranno disponibili nemmeno per i Giochi. C’entra il clima, ma non quello atmosferico.