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Confronto tra AMO, NAO e dati di prossimità

Le grandi oscillazioni che coinvolgono l’area dell’Oceano Atlantico, come AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation, da temperature marine) e NAO (North Atlantic Oscillation, da differenze di pressione atmosferica) tra le altre, sono legate ai cambiamenti meteo-climatici almeno emisferici, tramite le loro fasi fredde e calde; dai venti occidentali (westerlies) che trasportano le perturbazioni da ovest verso est all’intensità delle piogge nel Sahel e in Brasile.
In Mann et al., 2016 sono elencati diversi lavori che propongono varie spiegazioni per la pausa delle temperature globali (Mann la chiama slowdown, rallentamento) che in questi casi si attribuisce sia alle oscillazioni atlantiche che a quelle del Pacifico: PDO (Pacific Decadal Oscillation) ed ENSO (El Nino Southern Oscillation), tutte declinate anche in varianti come NMO (Northern Multidecadal Oscillation) e PMO (Pacific Multidecadal Oscillation).
Un esempio delle tre oscillazioni atlantiche e pacifiche viene mostrato in figura 1.

Fig.1: Serie osservate, fino al 2018, di PDO, AMO, NAO. Qui i loro spettri.

Moore et al, 2017 ricordano che AMO è guidata da AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation), il “nastro trasportatore” di acqua calda e salata, negli strati superiori, verso nord il cui flusso è compensato da acqua fredda che si muove in profondità; ma ricordano anche che modelli di AMOC non mostrano oscillazioni multidecennali tipiche di AMO, facendo pensare alla mancanza di relazioni tra AMO e AMOC. Insomma, per AMO la situazione è complicata, e lo è di più pensando che le osservazioni coprono poco più di un paio di cicli, con il conseguente aumento di incertezza.
Diventa quindi importante poter disporre di dati di prossimità (proxy) che coprano un più esteso arco temporale e che, ovviamente, contengano i segnali di AMO (Moore et al. scrivono “contengono un’espressione di AMO”); in particolare, sarebbe meglio disporre di proxy che provengano dal nord Atlantico, per completare la disponibilità di serie tropicali già esistenti, sia terrestri che marine. Questi autori propongono una serie tratta da alghe coralline (coralline algal series) del Mare del Labrador, la cui anomalia normalizzata [cioè (anomalia-media)/deviazione standard] è mostrata in figura 2, digitalizzazione della loro figura 1, insieme al suo spettro MEM.

Fig.2: alto Digitalizzazione dell’anomalia normalizzata della serie derivata da alghe coralline nel mare del Labrador. Sono anche mostrati i fit lineari pre- e post-1825, essendo fissato al 1825 un break point indicato dagli autori. basso Spettro MEM della serie nel quale compaiono alcuni massimi di periodo multidecennale.

La serie originale è la combinazione di due campioni di crescita annuale dell’alga corallina, dei quali il primo copre l’intervallo 1851-2011 e il secondo 1350-2011. Il luogo di prelievo si colloca nel ramo interno (verso la costa) della corrente del Labrador. Le misure di base riguardano il rapporto Mg/Ca.
Si osserva un netto cambiamento di pendenza che gli autori collocano temporalmente nel 1825 e che, vedremo in figura 3, è analogo a quello presente nella ricostruzione di AMO dal 500 al 2000 CE (Mann et al., 2009).

Fig.3: Come figura 2, con aggiunta una ricostruzione di AMO e il relativo spettro LOMB.

La stretta analogia tra le due serie, visibile anche nel confronto con l’indice AMO osservato tra il 1850 e il 2006, autorizza a considerare quella “delle alghe”, estesa su circa sette secoli, come contenente le caratteristiche di AMO, anche dal punto di vista spettrale, in particolare per i periodi più lunghi, fino a circa 30 anni. Il confronto tra i massimi di alta frequenza è più incerto e quasi sicuramente condizionato dalle condizioni locali.

Dopo il 1825, la salita della temperatura marina (AMO) fa (e ha fatto) pensare agli effetti dell’industrializzazione e della produzione aggiuntiva di CO2 ma, se si guarda con più attenzione,

  1. il salto improvviso della serie delle alghe è troppo precoce per la rivoluzione industriale che probabilmente ha prodotto effetti visibili o misurabili non prima del 1900-1910 e inoltre
  2. se è vero che la salita media delle “alghe” e della ricostruzione di AMO dipende dalla CO2, come si spiegano le ampie diminuzioni tra il 1870 e il 1920 e tra il 1945 e il 1970, a fronte di una CO2 in continua crescita? E le oscillazioni tra il 1827 e il 1850?
  3. Potrebbe l’uscita dalla Piccola Era Glaciale (PEG) aver provocato quanto si osserva dopo il 1825? Dalla figura 3 questo aspetto non appare così evidente (ad esempio, dopo le fluttuazioni di temperatura della PEG ci si aspetta una situazione più stabile che però non sembra quella osservata in questo caso) ma l’ipotesi resta in campo e appare più sensata di quella di fluttuazioni generate da una CO2 che non fluttua ma cresce costantemente..

In definitiva, e mettendo da parte ogni altra considerazione, questa serie proxy, derivata dalla crescita delle alghe ad una latitudine elevata, sembra essere un buon sostituto (con notevole estensione temporale) di AMO, in grado di rappresentare questo indice in molte situazioni pratiche.

Quattro località di fecondazione in Norvegia e NAO
Sundby e Nakken (2008) mostrano spostamenti in latitudine di alcune località norvegesi nelle quali avviene la deposizione/fecondazione delle uova del merluzzo detto Arcto-Norvegese, spostamenti legati, secondo gli autori, ad oscillazioni climatiche multidecennali e al cambiamento climatico. Questa specie di merluzzo (genericamente detto merluzzo atlantico o Atlantic cod stock, da cui deriva il nostro nome “stoccafisso”) ha la sua area di accrescimento nel Mare di Barents e l’area di fecondazione lungo la costa norvegese. Gli autori identificano lungo questa costa quattro distretti (di fecondazione, ognuno composto da più località), dal sud all’estremo nord, e derivano una grandezza che si potrebbe chiamare “efficienza di produzione” o “produzione di uova”, tra il 1900 e il 1976, tramite un indice detto ROE e definito da

ROE Index FN=R/Nc
con R litri totali di uova durante la stagione riproduttiva e Nc numero totale di merluzzi (x 1000) corrispondente (durante il periodo 1935-1952 si è usato un indice basato sul peso del pescato e non sul numero ma gli autori forniscono dati convertiti a FN). Le quattro località, da sud a nord, sono Møre, Lofoten, Troms e Finmark. La serie del ROE di ognuna, digitalizzata dai grafici pubblicati dagli autori, si vede nel grafico successivo.

Fig.4: L’indice ROE per le quattro località norvegesi di riproduzione e i loro spettri MEM.

Il confronto tra gli indici ROE mostra che Møre, la località più meridionale, si è trovata in opposizione di fase dal 1927 al 1952 circa rispetto alle altre e che Finmark, la più settentrionale, ha avuto nel tempo un livello di efficienza inferiore rispetto alle altre stazioni di deposizione, tranne in un breve periodo dal 1940 al 1950 quando è stato simile a Møre.
Se si tenta di confrontare gli spettri delle quattro località con lo spettro di NAO si vede che gli unici periodi comuni sono quelli negli intervalli 12-18; 7-9 ; 3-5 anni, come da tabella 1, e questi periodi non sono certo quelli multidecennali caratteristici di NAO.

Table 1: Comparison among NAO winter and Districts spectral maxima (period in years)
NAO 76 38 22.4 13.6 7.8 4.5 3.7
AO 24 14.3 8.7 4.4 3.6 2.75 1.3
Møre 45.8 38.5 13.1 8.6 6.3 (5.5) 4 South
Lofoten 25 12.5 8.3 6.3 (5.5) 3.75 1.8 Central
Tromso 20 13.9 8.7 4.8 North
Finmark 55 17 8.3 (6.3) 2.9 North

Un confronto diretto tra NAO e ROE dei distretti è mostrato in figura 5, dove non si vede nessun segno di relazione tra le serie. Alcune deboli coincidenze si possono osservare nei dati smussati a 5 anni (es. ~1924, 1945 e 1972) e in quelli a 10 anni (es. 1907-08 o 1923-24) ma nulla che permetta di stabilire che la produzione di uova di merluzzo è in qualche modo legata a NAO, cioè alle variazioni di pressione superficiale attraverso l’Atlantico.
Gli autori, entrambi dell’istituto di ricerche marine di Bergen, Norvegia, sono in grado di dedurre aspetti della vita del merluzzo e della sua cattura che vanno al di là delle mie competenze. Per quanto posso osservare, NAO non agisce sulla produzione di uova e quindi sul numero di merluzzi Arcto-Norvegesi o Skrei, “il nomade”, “il girovago” nella antica lingua vikinga che voleva sottolineare il loro comportamento migratorio.

Fig.5: Confronto tra l’indice ROE per le quattro località norvegesi e NAO. I grafici mostrano i dati originali e quelli filtrati con una finestra di 5 e di 10 anni. La scala di destra del grafico in alto è la stessa anche per i due quadri in basso.

Commenti conclusivi
Ho raccolto insieme due aspetti della vita attraverso l’Atlantico perché il Labrador, di cui nella prima parte del post si è studiata la produzione di alga corallina come proxy per AMO è anche zona di produzione del merluzzo nordico (northern cod), zona che con le coste meridionali della Groenlandia e la Norvegia costituisce l’ambiente di vita situato all’estremo inferiore dell’intervallo delle temperature adatte al sostentamento del merluzzo.
Nella seconda parte del post non ho trattato anche eventuali connessioni con AMO perché i principali massimi spettrali di questa oscillazione di SST, osservati (periodi 67, 35, 26 anni) e ricostruiti da Mann et al, 2009 (71, 57, 51, 34 anni) appaiono poco legati ai periodi degli indici ROE dei quattro distretti norvegesi visibili in tabella 1.
Allo stesso modo non ho considerato una eventuale influenza dell’ Oscillazione Artica (AO) perché, essendo un indice atmosferica basato su differenze di pressione tra artico e medie latitudini, è legato a NAO anche se nello specifico descrive la forza del Vortice Polare.

Bibliografia

  • Michael E. Mann, Zhihua Zhang, Scott Rutherford, Raymond. Bradley, Malcolm K. Hughes, Drew Shindell, Caspar Ammann, Greg Faluvegi, Fenbiao Ni: Global Signatures and Dynamical Origins of the Little Ice Age and Medieval Climate Anomaly Science326, 1256-1260, 2009. doi:10.1126/science.1177303Supporting material.
  • Michael E. Mann, Byron A. Steinman, Sonya K. Miller, Leela M. Frankcombe, Matthew H. England and Anson H. Cheung: Predictability of the recent slowdown and subsequent recovery of large-scale surface warming using statistical methods GRL43, 3459-3467, 2016. doi:10.1002/2016GL068159.
  • G.W.K. Moore, J. Halfar, H. Majeed, W.Adey & A. Kron Amplification of the Atlantic Multidecadal Oscillation associated with the onset of the industrial-era warmingScientific Reports7, 40861, 2017.
  • Sundby, Nikken, 2008. Svein Sundby and Odd Nakken: Spatial shifts in spawning habitats of Arcto-Norwegian cod related to multidecadal climate oscillations and climate change ICES Journal of Marine Science65 n6, 953-962, 2008. https://doi.org/10.1093/icesjms/fsn085
    Tutti i dati e i grafici sono disponibili al sito di supporto
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Published inAttualitàClimatologia

9 Comments

  1. donato b.

    Caro Franco,
    leggendo il tuo articolo, non ho potuto fare a meno di andare con la memoria ad un mio scritto pubblicato qualche mese fa su CM. Si trattava del commento di un articolo di T. Tesi e colleghi che aveva ad oggetto lo studio del fenomeno di atlantificazione dell’Artico.
    Anche nell’articolo di Tesi e colleghi si prendevano in esame una serie di dati di prossimità e, sorprendentemente, si giungeva alle stesse conclusioni che tu hai sintetizzato nel grafico del pannello 1 della figura 2 tratto da Moore et al, 2017.
    L’innalzamento delle temperature delle acque artiche cominciò a manifestarsi intorno alla metà del 19° secolo e, quindi, ben prima che cominciassero a farsi sentire gli effetti dell’innalzamento dei livelli di concentrazione della CO2 atmosferica. Tutto risale, in ultima analisi, alla fine della Piccola Era Glaciale. I dati di Moore, 2017 e di Tesi, 2021, vengono da fonti e studi diversi, ma tendono a raccontare la stessa storia.
    .
    Impressionante, infine, la somiglianza tra gli andamenti dell’indice AMO ricostruito da Mann, 2009 e la ricostruzione dei dati termici di Moore, 2017.
    E con questo finiscono gli entusiasmi, perché gli altri dati di prossimità (uova dei merluzzi) hanno poca attinenza con l’indice NAO. E’ una maledizione: quando qualcosa sembra quadrare, ecco che spunta un’altra cosa che racconta storie diverse. 🙂
    Comunque, anche questo è il bello della ricerca scientifica: non si è mai certi di niente! 🙂
    Ciao, Donato.

    • Caro Donato,
      concordo con te su tutto, in particolare sulla tua ultima frase.
      Per la produzione di uova di merluzzo, il confronto con gli indici oceanici (in questo caso NAO) andava fatto perché molte ricerche legano la produzione, ma anche il pescato, alle grandi oscillazioni oceaniche: in questo caso mi sembra di poter dire che la relazione è molto debole (se esiste).
      Ho riguardato il tuo articolo su Tesi et al., 2021, che ovviamente avevo in gran parte dimenticato (io la chiamo giovinezza, anche se mia moglie continua a dire che preferiva l’altra di giovinezza :-)) e l’ho trovato molto interessante. Dopo qualche tempo, confermo che il lavoro di questi autori è serio e attendibile. Ciao. Franco

  2. ivan

    La ringrazio Professor Zavatti per l’esaustiva risposta in merito alle mie interrogazioni.

  3. Luca Rocca

    Buongiorno

    Forse per deformazione professionale, mi occupo di analisi spettrale anche io ma in ambito audio, ho cercato di capire qualcosa dai suoi lavori ma più leggo più dubbi mi vengono sul sistema termodinamico terrestre. In ogni argomento che lei ha trattato dall’effetto mareale della luna alle oscillazione delle correnti oceaniche ho sempre l’impressione che manchi qualcosa. Mi sembra di stare guardando una serie di fenomeni che sono solo gli echi di qualcosa di più grande. Se mi permette il paragone è come se stessi analizzando lo spettro di una somma di segnali sinusoidali di cui vedo solo le ultime armoniche.

    • Penso che lei stia ragionando in frequenza (mentre io abitualmente ragiono in periodo), per cui le “ultime armoniche” corrispondono ai periodi più brevi: se ho capito bene, ha ragione. Ci mancano sempre i periodi più lunghi che però hanno il difetto di richiedere serie di lunghezza paragonabile (meglio se più lunghe) per evitare gli effetti al bordo. E la
      climatologia osservativa, come ogni altra disciplina, fa fatica ad andare indietro nel tempo e a conservare la precisione delle misure.
      In più io mi comporto in maniera conservativa e taglio gli spettri ben prima di quanto potrei (ad es. sto facendo gli spettri di serie con estensione 800 mila anni e li tronco -nei grafici- al periodo di 600 mila anni).

      Ho spesso dubbi e quando posso confronto i miei spettri con quelli ottenibili con altre tecniche spettrali: finora ho sempre trovato risultati paragonabili ai miei (e spesso uguali) per cui mi sento tranquillo.
      L’unico aspetto in cui non mi adeguo è quello del livello di confidenza (per gli spettri Lomb lo calcolo ma non lo uso se non molto di rado) a cui tagliare i picchi che, ho verificato, si presentano allo stesso periodo ma con potenze diverse, variabili nel tempo.

      Spero di aver capito i suoi dubbi e di aver risposto a tono. Franco

  4. rocco

    alcune curiosità:
    i dati di prossimità riferiti ad organismi biologici, tengono conto dell’evoluzione darwiniana e dell’adattamento degli organismi alle variate condizioni ambientali?
    Ad esempio, è stato rilevato che la temperatura corporea umana è calata da 150 anni a questa parte (cfr “Rapidly declining body temperature in a tropical human population” https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.abc6599 )
    oppure si fa di tutt’un erba un fascio e si crede che gli organismi di oggi siano gli stessi di , diciamo, 1000 anni fa?
    Se anche i dati rilevati con strumenti odierni sono “taroccati”, perchè mai non potrebbero esserlo anche i dati proxy?
    Siamo proprio sicuri che basandosi su dati proxy si possano ottenere rilevanze degne di nota?

    • La serie di crescita annuale dell’alga dipende dal rapporto Mg/Ca le cui quantità sono legate al modo in cui gli organismi si sono evoluti e adattati e credo che non possa essere altrimenti.
      Il termine “taroccato” fa riferimento a qualcuno che “tarocca” i dati, cioè li modifica in maniera più o meno (s)corretta. I dati del passato sono quello che sono, puliti, e vengono modificati in fase di elaborazione successiva.
      Il problema è comune a ogni tipo di dato e quindi cosa possiamo fare? Evitiamo di fare ipotesi e confronti con questi dati e ci togliamo la possibilità di ottenere qualche risultato utile? Io credo sia meglio avere qualcosa, piuttosto che niente, su cui discutere ed eventualmente far avanzare le nostre conoscenze. Se sono conoscenze dubbiose va bene così: solo fede e burocrazia hanno necessità di “verità vere” mentre il resto del mondo
      sbaglia e ha dubbi e incertezze. Franco

  5. Ivan

    Buongiorno.

    È corretto valutare le oscillazioni di temperatura delle sst definendole ciclicamente calde o fredde ?
    O è migliore nel caso specifico, valutarle nella tendenza da loro assunta ?
    In base alla media cui si calcola un anomalia ogni tendenza è viziata, se la media è recente il trend può assumere meno marcati segni di crescita o di calo , viceversa se la media è ancorata a tempi addietro.
    Privandosi della media e del calcolo del trend basandosi sulle sole anomalie potremmo aver una visione più nitida dei trend delle sst ?
    Questo vale per qualsiasi altro dato oltre alle sst.

    • Per quelle figure con le bande “calde” e “fredde” mi sono basato su un’immagine che Luigi Mariani mi aveva inviato un paio di anni fa (non c’è un riferimento bibliografico), basata su HadCrut3 e UAH. Mi è sembrato un espediente in grado di rendere più facile la comprensione delle oscillazioni e l’ho usato anche per i dati di AMO, NAO, PDO. Le bande fanno riferimento a PDO perché è questa oscillazione la prima a “partire” delle tre.

      La questione dell’uso delle anomalie o dei dati originali per valutare i trend è annosa e non voglio impelagarmi in aspetti che la climatologia ha deciso da tempo di affrontare in un certo modo e non in un altro.
      Da parte mia, uso i dati che mi vengono forniti da fonti “autorizzate” e li analizzo senza pormi il problema di cercare la climatologia trentennale di riferimento che, oltretutto, periodicamente cambia. Devo comunque dire che in alcuni casi l’uso dei dati originali non permette di estrarre informazioni in modo così diretto come l’anomalia.

      Quando ho avuto a disposizione i dati originali li ho usati senza problemi, come per le piogge delle Marche (http://www.climatemonitor.it/?p=55354).

      “Privandosi della media e del calcolo del trend basandosi sulle sole anomalie potremmo aver una visione più nitida dei trend delle sst?”

      A mio parere no, o almeno non sempre: le anomalie aiutano ad eliminare le fluttuazioni stagionali e rendono i dati meno “sporchi”.

      Per finire, un’informazione di servizio: in questi giorni sto transitando verso https (non lo faccio io ma un tecnico) e ci sono alcuni problemi: l’accesso al sito di supporto potrebbe avere qualche difficoltà con alcuni browser (sembra che quelli sotto Windows non ne abbiano). Franco

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