Sono le dieci di sera di giovedì undici novembre (ieri, ndr) e mancano circa ventiquattro ore alla prevista fine della COP26. Fine prevista, ma non scontata, anzi, sicuramente rinviata a sabato o, secondo i più pessimisti, addirittura a domenica. Solo il presidente della COP 26 crede di poter chiudere i lavori venerdì pomeriggio. Questo perché, nonostante gli annunci roboanti, a Glasgow non si sta combinando nulla di concreto. Dopo quasi due settimane di trattative, anni di incontri, vertici, bilaterali, trilaterali ecc., ecc., ecc., le decisioni che contano, non arrivano.
All’alba di mercoledì la presidenza della conferenza ha pubblicato tre documenti che rappresentano la bozza della dichiarazione finale della Conferenza delle Parti. A parte i soliti salamelecchi diplomatici consistenti nel riconoscimento della buona volontà delle Parti, dell’impegno profuso dai delegati e via cantando, il documento contiene solo un rinvio al 2022. Si, l’ultima chance è diventata la penultima e l’anno prossimo in Egitto le Parti sono invitate (badate bene, invitate) a presentare gli impegni nazionali volontari (NDC) ambiziosi. Ciò che ha fatto imbestialire le organizzazioni non governative, quelle ambientaliste ed i Paesi in via di sviluppo, è la mancanza di impegni stringenti su quelli che sono considerati i punti irrinunciabili perché, finalmente, la lotta al cambiamento climatico diventi effettiva: impegni stringenti sugli aspetti finanziari degli stati ricchi a favore di quelli poveri. Qualcuno si è divertito ad analizzare il testo della bozza scoprendo che le parole più usate sono “recognise”, “welcome” e “urges”, mentre quelle meno utilizzate sono state “requests” e “decides”. Ciò per evidenziare la scarsa assertività della bozza. Appunto: parole, soltanto parole.
Di trasferire, però, risorse dai Paesi ricchi a quelli poveri non ne vuole sapere quasi nessuno. Al di là delle parole di circostanza e prive di costrutto, un gruppo di negoziatori, guidati dagli Stati Uniti di J. Biden, stanno cercando di annacquare il più possibile gli impegni e spostare tutto a data da destinarsi. Tutto come da copione, ciò che succede oggi non è affatto diverso da ciò che succedeva ai tempi di Trump o di Obama: gli USA non pensano neanche lontanamente a regalare soldi ai Paesi in via di sviluppo senza congrue contropartite. In questo modo mi sono tolto una bella soddisfazione: quando il neoeletto presidente Biden disse che gli USA erano tornati, suscitò l’entusiasmo degli ambientalisti, ma, alla resa dei conti, le sue erano parole, soltanto parole.
Ciò appare strano alla luce del fantasmagorico accordo di ieri. Tutti i principali organi di comunicazione di massa hanno annunciato all’intero orbe terracqueo lo “storico” accordo tra Cina ed USA sul clima. Andando a leggere l’accordo, però, si resta molto delusi. In primis si tratta di un accordo bilaterale, in cui le due potenze si “impegnano” a cooperare per combattere i cambiamenti climatici, a ridurre le emissioni ed a contenere il riscaldamento globale entro i limiti dell’Accordo di Parigi. Si tratta, però, di impegni che non troveremo in nessun documento ufficiale della COP26 e di quelle successive. Se gli impegni verranno mantenuti, Cina ed USA si degneranno di far conoscere il modo in cui intendono combattere il cambiamento climatico entro il 2025 per il 2035. I maligni vedono in questo accordo un pericolo mortale per il multilateralismo: i due principali emettitori di diossido di carbonio (insieme rappresentano il 40% delle emissioni globali), potrebbero decidere in modo autonomo come e quando uscire dall’era dei combustibili fossili e dettare l’agenda al resto del mondo. A questo punto verrebbe meno ogni possibilità dei Paesi in via di sviluppo di tentare di incidere sulle decisioni globali. Le COP successive alla 26 sarebbero ancora più inutili, di quelle svoltesi fino ad oggi.
Cerchiamo, adesso, di capire lo stato dei negoziati tra le Parti. Le discussioni in corso vertono, essenzialmente sui seguenti temi:
- trasparenza: alcune delle Parti chiedono un meccanismo di controllo rigoroso delle emissioni e dell’adempimento degli impegni assunti, in particolare per evitare il doppio conteggio sia delle emissioni che dei fondi trasferiti. Si oppongono soprattutto i Paesi sviluppati, in quanto sarebbero vincolati a ridurre le emissioni ed ad aumentare i fondi da trasferire ai Paesi in via di sviluppo. Ciò ha reso molto complicato elaborare un testo condiviso. La bozza attuale prevede oltre 150 parentesi quadre (parole o frasi da inserire nel testo in modo alternativo e che, quindi, possono modificarne sensibilmente il senso e la portata) ed oltre 50 opzioni (sezioni piuttosto estese del testo tra loro alternative). Rispetto a ieri sono aumentate le opzioni e sono diminuite le parentesi, ma il livello di disaccordo resta elevato.
- flessibilità: i Paesi in via di sviluppo vorrebbero flessibilità nei vincoli alle loro emissioni, mentre desidererebbero vincoli stringenti per i Paesi sviluppati che, ovviamente, non ci stanno, per cui continua il tira e molla che rende fallimentari gli esiti delle COP.
- perdite e danni: è il capitolo più spinoso della trattativa. Da un lato i Paesi in via di sviluppo chiedono a quelli sviluppati di onorare i loro impegni finanziari (100 miliardi di dollari all’anno fino al 2025) e di aumentare tali investimenti dopo il 2025 (tra tremila e cinquemila miliardi di dollari all’anno). Su queste cifre le parti sono enormemente distanti e non credo realistico un accordo. E’ proprio in questa distanza siderale tra le richieste e le disponibilità che, secondo il mio modesto parere, bisogna cercare le ragioni dell’accordo tra Cina e Stati Uniti: in un colpo solo si possono trovare le strategie condivise per ridurre le emissioni, senza dissanguarsi finanziariamente, per far fronte alle fameliche richieste dei Paesi in via di sviluppo che, tra l’altro, chiedono, appoggiati dalle ONG e dai movimenti ambientalisti più radicali, di istituire un fondo separato per far fronte a questi impegni, in modo da escludere dal conteggio gli altri tipi di aiuti ricevuti.
Buona parte di queste complesse architetture tecnico-finanziarie sono contenute nell’art. 6 dell’Accordo di Parigi e le trattative su questo articolo sono ancora in alto mare: le bozze dei documenti sono piene di parentesi quadre e di opzioni. Se consideriamo, per esempio, i documenti che regolano i meccanismi previsti dai commi 2 (scambio dei certificati di emissione), 4 (mercati su cui avvengono tali scambi) e 8 (cooperazione al di fuori dei mercati di cui al comma 4), possiamo vedere che all’inizio della COP 26 contenevano oltre 400 parentesi ed opzioni. Dopo quasi due settimane di trattative il loro numero è diminuito a poco meno di 300, ma tale diminuzione riguarda solo il documento relativo al comma 8, mentre gli altri documenti sono restati quasi allo stesso livello di disaccordo. Nei prossimi giorni si tenteranno ulteriori limature, ma è giocoforza rinviare tutto a tempi migliori o, cosa più probabile, decidere tutto in incontri bilaterali fuori dalla Conferenza delle parti (come sembrerebbero voler fare Cina ed USA).
Mi rendo perfettamente conto che messa la questione in questi termini, la COP perde ogni fascino, ma questa è la materia del contendere e c’è ben poco da fare. I cortei multicolori, le dichiarazioni ad effetto, i proclami, i discorsi, gli eventi sono avvincenti e spettacolari, ma rappresentano solo la parte “mediatica” delle Conferenze delle Parti, le parole d’effetto, ma vuote di significato. La sostanza è racchiusa in questi documenti e, in questo caso, le parole pesano come macigni. Mettere una parola al posto di un’altra, potrebbe rappresentare la differenza tra la vita e la morte di una nazione. Ed i negoziatori stanno ben attenti a quello che fanno.
Per chiudere, un breve cenno a due eventi a latere della Conferenza.
In uno di essi alcune nazioni tra cui Francia, Danimarca e Italia, si sono impegnate a bloccare la ricerca di fonti fossili sui loro territori, quindi nessuna prospezione per individuare nuovi giacimenti di gas e petrolio. Possono, però, continuare ad estrarre dai giacimenti in corso di sfruttamento. In fatto di auto castrazione non ci batte nessuno!
Qualche maligno ha cercato di calcolare il peso delle estrazioni di idrocarburi cumulate di questi Paesi ambiziosi (o sconsiderati, dipende dai punti di vista): meno dell’1% del totale. Ancora parole, soltanto parole.
L’altro evento ha visto protagoniste le principali case di produzione automobilistiche. Alcune di esse si sono impegnate a cessare la vendita di veicoli a motore alimentati da combustibili fossili entro il 2040, ma molte altre hanno risposto picche, per cui fino al 2040 andremo avanti come se nulla fosse, poi si vedrà: in venti anni può succedere di tutto! E non è finita qui: la vendita sarà sospesa solo nei principali mercati. Cosa vorrà dire?
Sembra che il premier britannico B. Johnson ci sia rimasto molto male: sperava che aderissero tutti.
Nel ringraziare tutti coloro che hanno voluto arricchire con il loro contributo i contenuti del mio articolo, mi scuso per non aver risposto ad alcun commento: le fasi finali della COP 26 sono state piuttosto concitate e mi hanno distratto parecchio. Successivamente mi sono dedicato alla stesura dell’articolo di commento finale che ho appena concluso e, quindi, ho trascurato i vostri interventi.
.
Mi limito a sottolineare quanto scrivono la maggior parte degli intervenuti: è difficile capire le scelte del nostro governo in materia di energia, visto il forte incremento dei prezzi e la presenza di risorse energetiche “indigene” (in particolare metano).
Sono d’accordo, ma, purtroppo, dobbiamo sacrificarci sull’altare del presunto salvamento del mondo e non c’è nulla da fare. Anche perché queste scelte, apparentemente nostrane, come suggerisce Maurizio, sono state fatte altrove e, precisamente, in quel di Bruxelles e Strasburgo.
Stupisce solo una cosa: la Germania se ne frega e va avanti per i fatti propri.
Comunque non c’é bisogno di allarmarsi troppo: l’impegno assunto dal nostro Paese, non è vincolante e, quindi, facilmente schivabile. Passata la COP, gabbato l’impegno. 🙂
.
Circa i mille miliardi, sono d’accordo con lo Stilita: sono cifre impossibili da raggiungere e, visto l’andazzo, andrà a farsi benedire anche tutto il resto. Come avremo modo di vedere meglio nel prossimo articolo, sono proprio gli USA ed i Paesi dell’UE i più attivi nell’evitare l’assunzione di impegni in proposito: nell’ultima COP si è parlato di un aumento (probabilmente un raddoppio) della cifra attualmente sul tavolo, ma niente di più. E così sarà anche per il futuro: la lotta al cambiamento climatico si esaurirà sul fronte della finanza.
Ciao, Donato.
A proposito di “mille miliardi di dollari ogni anno di investimenti nei paesi in via di sviluppo per combattere la crisi climatica” (Mark Carney, “finanziere dell’ONU” inviato alla COP26), per capire l’ENORMITA’ di quanto questi signori dell’ONU stanno chiedendo ai cittadini dei paesi occidentali, avete provato a farci due conti?
Con un conto a spanne, a me risulta che i paesi “occidentali” (da cui ovviamente verrebbero quei soldi) siano meno di 50, diciamo 50 (ci ho messo dentro anche tutto il Sudamerica, cosa opinabile).
Lo stesso Carney ha citato “450 aziende finanziarie in 45 paesi” pronte ad investire “climaticamente” nei paesi in via di sviluppo, quindi resto sui 50.
In media ognuno di quei paesi occidentali dovrebbe perciò sborsare, OGNI ANNO e per un numero indefinito di anni, 20 miliardi di dollari (ma possiamo pure parlare di euro, non cambia molto).
I paesi maggiori certamente dovrebbero pagare di più, quindi credo che l’Italia dovrebbe (secondo i desiderata dell’ONU) versare una trentina di miliardi all’anno “per investimenti ambientali nei paesi in via di sviluppo”.
30 miliardi sono l’entità di UNA MANOVRA ECONOMICA ITALIANA!
Quindi ogni anno l’Italia (e immagino, più o meno ogni paese occidentale) dovrebbe investire in una manovra economica a beneficio degli italiani e IN PIU’ fare un UGUALE investimento verso il Terzo Mondo, per farlo “sviluppare”, e ciò sulla base delle bufale dell’IPCC.
Niente soldi per le pensioni, poco o nulla per l’assistenza sociale, poco per la ricerca, poco per snellire la burocrazia … ma 30 MILIARDI OGNI ANNO, sull’unghia, che prendono il volo verso il Terzo Mondo con la SCUSA dei “cambiamenti climatici”.
Pochi giorni dopo la clamorosa, e probabilmente sfuggita ai più distratti, dichiarazione di Carney, i media hanno cominciato a “rassicurare” dicendo che quei “miliardi all’anno per i paesi in via di sviluppo” saranno dati al 70% dai privati e “solo” dal 30% dagli Stati (ovvero dalle nostre tasse).
Un esempio è l’allineatissimo (con il terrorismo climatico) Sky TG24, che ha subito fatto vedere una bella e rassicurante slide dove “solo” il 30% era statale e il 70% veniva dai privati.
Ennesima presa in giro del “popolo bue” (che oggi è una mandria nutritissima …).
Quando la Volkswagen, per esempio, decidesse di investire in una propria fabbrica di batterie in Vietnam, credete che i soldi li prenderà solo dalle proprie riserve o addirittura dai propri profitti o invece non ne spalmerà una gran parte sul costo delle sue automobili?
Perciò, sono basito a leggere che addirittura, iniziando con “soli” 100 miliardi, si parli già di “aumentare tali investimenti dopo il 2025 (tra tremila e cinquemila miliardi di dollari all’anno)”.
Ovvio che a quei livelli è praticamente impossibile che ci si arriverà, ma io credo (e spero) che non si arriverà neppure ai “soli” mille miliardi.
Ma il fatto che la terzomondista ONU lo chieda, in modo addirittura “spudorato”, pur sapendo che qualcosa otterrà anche se molto meno, rende bene l’idea di quanto ENORME sia lo SPOSTAMENTO DI CAPITALI che si vorrebbe attuare (e farci ingoiare) attraverso la scusa dell’AGW.
Non so se ci sia bisogno di altro per comprendere che NON si tratta di “politica ambientale”, è una politica ECONOMICA.
Il “Business Green” partirà comunque, ormai non tornano certo indietro, e per noi europei potrebbe anndare peggio degli altri, visto il “commitment ambientalista” da “prima della classe” della UE della Von der Leyen (una che temo possa far rimpiangerci, fra qualche anno, perfino Junker … :O )
Resta da vedere se i risultati deludenti della COP26 possano aver fatto diminuire tanto la credibilità della narrazione climatica catastrofista da cominciare a suscitare dubbi nella popolazione che oggi, dopo tre anni di propaganda incessante in preparazione di questa conferenza, in molte parti dell’Occidente (Italia compresa) teme più di “morire di cambiamento climatico” piuttosto che di Covid-19.
Perchè la COP26 sta fallendo sotto l’aspetto “ambientalista”, e questo secondo me era prevedibile.
Si vedrà quanto bene riusciranno ad occultare, almeno parzialmente, questo fallimento con i “bla bla bla” ((C) Greta) finali.
Hanno già cominciato con il cosiddetto “accordo tra USA e Cina” le quali hanno dichiarato “l’intenzione di lavorare insieme per raggiungere l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale a non oltre +1,5 °C rispetto al periodo pre-industriale”.
Dichiarato, senza impegni!
E ciò viene fatto non solo per “salvare la faccia” ai grandi paesi partecipanti alla COP26 ma anche, ancor più importante, per poter andare avanti con il “business Green” .
Che se la gente in Occidente pensasse che la COP26 è stata un buco nell’acqua comincerebbe a chiedersi: “perchè fare sacrifici solo noi, se tanto non riusciremmo ad incidere molto sulla temperatura globale”?.
Aspetto a vedere cosa si inventeranno e come i media li copriranno.
Vorrei farti presente che si parla di investimenti e non di denaro, sono due cose molte diverse. Io posso costruire un’ infrastruttura in africa del valore di un miliardo di euro ma se è un investimento gestisco io la cosa, Concedo un prestito alla nazione africana per costruirla, uso imprese del mio paese, materie prime reperite sul mercato internazionale e spesso manodopera importata. Alla fine dell’ operazione lo stato africano si è indebitato sapendo di non poter pagare e deve cedere concessioni importanti su materie prime. E’ un vecchio gioco
@Luca Rocca
Certo che si tratta di investimenti!
Come quelli che la globalizzazione fa da trent’anni nel Terzo Mondo.
Ma nel “se è un investimento gestisco io la cosa” il termine “io” si riferisce agli investitori occidentali, non certo ai cittadini dell’Occidente.
E questi ultimi non avranno benefici dallo spostamento di capitali nei paesi in via di sviluppo, anzi ci saranno meno posti di lavoro qui e parte di quegli investimenti in un modo o nell’altro verranno presi dalle tasche degli occidentali.
O vogliamo credere che la finanza e l’industria faranno/farebbero quegli investimenti enormi tutte da sole?
Non è che gli “investimenti” non abbiano nulla a che vedere con i “soldi”.
E’ che stavolta stanno chiedendo ai cittadini di scucire soldi di tasca loro, vista l’entità degli investimenti che l’intero sistema economico occidentale vorrebbe fare.
Da qualche parte quei soldi devono venire fuori. Dalle tasche dei ricchi? 😀
Poi c’è l’altro aspetto che lei cita, ed è una domanda più che legittima: stiamo di nuovo andando a “rapinare” il Terzo Mondo, con questi investimenti “green”?
Io non credo, non penso che sia l’obiettivo principale.
E non lo pensa certamente neppure la terzomondista ONU, che sta spingendo come una matta sulla cosiddetta “lotta al cambiamento climatico” e chiede lei stessa enormi investimenti nei paesi in via di sviluppo.
La globalizzazione, quella avuta finora, ha oggettivamente arricchito quel Terzo Mondo nel quale sono stati fatti investimenti per impiantare realtà produttive.
La Cina, sarà anche certo per il vigile controllo del Partito, non è stata depauperata ma ci ha guadagnato alla grande (con scorno degli “apprendisti stregoni” occidentali, che si sono accorti di aver creato un “mostro” economico che ora fa loro concorrenza).
E la Cina, quale maggior produttore mondiale di componenti “green”, guadagnerà anche dalla “transizione energetica”.
E io non credo che andrebbe molto diversamente con investimenti in India, Indonesia, Sud-Est asiatico …
Il dubbio ci può essere per l’Africa, il continente più povero, problematico e con la classe politica più corrotta e discutibile.
Ma all’Occidente conviene far aumentare la ricchezza anche in Africa, visto l’enorme e crescente numero di potenziali consumatori futuri .
Nigeria, 200 milioni nel 2020, previsti 750 milioni nel 2100: perchè il capitalismo consumista non dovrebbe essere interessato a tutti quei consumatori, quando l’Occidente è in contrazione demografica?
E se lo vuole fare (e impedire che in Africa ci vada solo la Cina!), deve cominciare adesso, non fra venti o trent’anni.
Quindi, in sostanza, non credo che questo sia un “banale” neo-colonialismo economico da parte dell’Occidente.
E’ uno spostamento di ricchezza, dal quale qualcuno ci perderà (noi) e altri ne guadagneranno (il Terzo Mondo).
Potrei perfino ritenerlo “moralmente giusto”, se fosse detto con onestà.
Ma, così, è un inganno, una menzogna.
La menzogna AGW.
Se questo piano va avanti in modo rapido e deciso, io prevedo un calo netto di ricchezza (e di tenore di vita e di occupazione) dalle parti nostre, solo in parte compensato dal “vantaggio” di avere altri (spesso superflui) “gadget” a basso costo provenienti dall’Oriente.
Che è esattamente quello che è accaduto con la globalizzazione vista finora, quando oltretutto non avevano bisogno di cercare di convincersi che “bisogna fare sacrifici e con urgenza”, anzi ci dicevano che era l’inizio di un bellissimo “nuovo mondo globale”, “senza più barriere”.
Adesso invece ci martellano PREVENTIVAMENTE per convincerci ai “sacrifici per salvare il pianeta”.
O uno pensa davvero che il pianeta stia morendo a breve a causa della CO2 umana (ma qui penso che siamo in pochi a crederlo) e che industriali, finanzieri e politici ci credano pure loro (ma basta guardare la COP26 per capire di no, e mica solo per Cina ed India, gli stessi USA non si sono presi impegni sostanziali, neppure sul carbone!).
Oppure uno si deve chiedere PERCHE’ in questi anni c’è stata questa incredibile accelerazione sull’allarmismo climatico (il più grande bombardamento mediatico che io ricordi nei miei 64 anni di vita, neppure nella Guerra Fredda c’era una simile intensità a senso unico).
La mia risposta, dopo aver scartato altre ipotesi (es. lo fanno per mettere in difficoltà la Cina), è che vogliono creare nuovi mercati profittevoli (e in paesi non politicamente “chiusi” come la Cina) e l’unico modo è mettere un pò di soldi in più nelle tasche dei cittadini del Terzo Mondo, convincendo noi a darglieli.
Sono stato prolisso come al solito … 🙂
Sono abbastanza vecchio da ricordare bene lo stato di intemperanza emotiva in cui maturò il referendum post-Chernobyl nel nostro meraviglioso e sconsiderato Paese.
Come sappiamo farci del male da soli è una storia secolare. Forse deriva dal cinismo disincantato del “Franza o Spagna purché se magna…” o dal più recente desolante degrado delle Istituzioni Scolastiche, non so, ma è un fatto inoppugnabile: ritenendo di essere i più furbi del resto del mondo riusciamo a sbagliare anche i rigori senza il portiere fra i pali. (Ogni riferimento a ieri sera è puramente voluto)
Alla fine della fiera resta poco da fare, se non confidare nello stellone italico.
Buon week end a tutto il meraviglioso Villaggio di Asterix!
Ma tutte queste fesserie di chiacchiere, poi, quale impatto avrebbero? Se pensiamo che l’andamento del clima dipenda primariamente dal Sole e poco, molto poco, dalle attività umane (io ritengo che sia così), qualsiasi e ripeto QUALSIASI decisione avrebbe conseguenze irrisorie sul clima. Ma molto pesanti sull’economia.
Mi ricordo la vecchia barzelletta su come possa fare un elefante a nascondersi in un campo di fragole. Facile: dipingendosi le unghie di rosa. Ma tu hai mai visto un elefante in un campo di fragole? No, ma solo perchè era mimetizzato bene.
Andrà così: qualcosa (di molto costoso e tecnologicamente folle) si farà, le temperature scenderanno un po’ (lo stanno già facendo per i fatti loro, ma non ditelo a Greta chè altrimenti ci rimane male) e gli ambientalisti diranno che il risultato è merito loro.
E noi intanto paghiamo lo smalto per le unghie degli elefanti.
Questa è fantastica.
GG
Descrizione realistica ed efficace del prossimo futuro.
Aggiungo solo che se uno fa i conti di quanto ci costerebbe lo smalto anche “solo” dai mille miliardi di dollari all’anno chiesti dall’ONU (ovviamente da trasferire nei paesi in via di sviluppo, infatti è lì che stanno gli elefanti …) gli viene male.
Figuriamoci con “dai tremila ai cinquemila dopo il 2025”.
”
le temperature scenderanno un po’ (lo stanno già facendo per i fatti loro, ma non ditelo a Greta chè altrimenti ci rimane male)
”
in inverno succede effettivamente, complimenti per lo spirito di osservazione.
x AleD: mai dato un’occhiata ai dati dell’Antartide?
sempre per AleD: Oppure ai dati HadCRUT liberamente disponibili da UK MetOffice?
@claudio giorgi: ottimo, avvisa l’ipcc che si stanno sbagliando e non se ne sono accorti! almeno uno qui sta raccontando falsità… è un peccato che chi è contro le loro conclusioni sia così diciamo timido nel voler esporre le proprie, vero?
E tutte queste chiacchiere mentre stiamo vivendo la più grossa crisi energetica probabilmente di sempre in termini di costi di cui si parla abbastanza poco rispetto alla gravità e agli effetti che potrebbe avere sull’ economia del vecchio continente
Forse hanno trovato il sistema per favorire la decrescita ma non credo sarà tanto felice
Speriamo bene ….
L’adesione dell’Italia al trattato di non-trivellazione è un suicidio economico. Dovevamo prendere esempio da Israele che recentemente sul Mediterraneo ha scoperto un giacimento di metano di dimensioni apocalittiche ottenendo l’indipendenza energetica. Sottoscrivere una simile castroneria in un momento storico in cui i prezzi dell’energia sono balzati alle stelle, in particolare proprio il metano, è da tafazzisti. Dice bene l’articolista :come sappiamo farci male noi non ci riesce nessuno
Probabilmente perchè tale decisione non è stata presa in Italia, nel senso che non si tiene conto degli interessi degli indigeni a cui si lava in continuazione il cervello per evitare spiacevoli inconvenienti.