Il bacino di Cariaco è una zona anossica lungo la costa sud-est del Venezuela, a circa 100 km da Caracas e a latitudine ~10 ° Nord, che si configura come un grande e sensibile “registratore” naturale di eventi climatici anche per la sua posizione che gli permette di accumulare sedimenti sia di origine marina che terrestre.
Infatti, come scrivono Haug et al., 2001, alla sua latitudine, in estate si trova al limite settentrionale della fascia di variabilità della ITCZ (Zona di Convergenza Inter-Tropicale) che interessa direttamente zone per cui il deflusso delle piogge avviene nel bacino o che contribuiscono al deflusso del fiume Orinoco; in inverno-primavera la ITCZ è localizzata all’Equatore o anche più a sud e gli alisei di nord-est si spostano a sud e si intensificano sopra il bacino di Cariaco. Questi venti sono forti e alimentano la risalita delle acque oceaniche profonde (upwelling) lungo la costa del Venezuela, con il loro carico di materiale organico e di microfossili calcarei e silicei. Nel bacino avviene quindi una successione di depositi diversi, estate-inverno, che favorisce la laminazione in strati alternati (scuri e chiari, rispettivamente) di depositi terrestri e marini. La mancanza di ossigeno nelle acque profonde del bacino impedisce la bioturbazione (l’attività di organismi viventi che porta all’uniformità dei sedimenti), permettendo una stratificazione che copre gli ultimi 14-15 mila anni (14-15 Ka).
Haug e collaboratori, nell’ambito del programma ODP (Ocean Drilling Program), hanno derivato le serie temporali del Titanio (Ti) e del Ferro (Fe) su quasi tutto l’intervallo temporale possibile: le due serie appaiono notevolmente simili e qui verrà considerata solo la concentrazione (%) di Titanio (che, rispetto al Ferro, è insensibile alle variazioni delle reazioni di ossido-riduzione o redox) mostrata, con il suo spettro, nella successiva figura 1. La serie è a bassa concentrazione durante i periodi freddi (ad es. Younger Dryas, YD) e a più alta concentrazione durante i periodi caldi (ad es. massimo termico olocenico).
Possiamo quindi immaginare la concentrazione di Titanio come un dato di prossimità della temperatura (ma lo è anche della piovosità, con l’aiuto degli spostamenti della ITCZ, tanto che le forti oscillazioni tra 2.8 e 3.8 Ka sono attribuite a variazioni nella precipitazione, paragonabili alla differenza tra Younger Dryas e massimo olocenico, Haug et al., 2001).
La figura 2 mostra, con ingrandimenti crescenti, la sequenza di eventi della figura precedente:
Nel quadro centrale della figura è indicato l’inizio del perido caldo romano, che coincide con la fondazione di Roma, nell’ottavo secolo BCE (~2.9 nella figura) e prosegue fino al quinto-sesto secolo BCE (1.5-1.6 nella figura) mentre nel quadro inferiore sono messe in evidenza le fluttuazioni nella concentrazione di Titanio (~temperatura/precipitazione), sia durante il perido caldo medievale che, soprattutto, durante la PEG (LIA).
Nel 2003 Lea e collaboratori hanno prodotto la serie, sempre dal bacino di Cariaco, del rapporto Mg/Ca da cui hanno derivato la temperatura superficiale marina (SST). La serie di temperature marine degli ultimi 25 mila anni (25 Ka) è mostrata in figura 3 (i valori di Mg/Ca in forma numerica sono disponibili nel sito di supporto), dove sono sottolineati alcuni degli eventi identificati nelle figure precedenti e, per la maggiore estensione temporale, anche l’ultimo massimo glaciale (LGM) attorno a 22-24 Ka.
Il confronto tra lo spettro del Titanio e quello delle SST offre spunti interessanti: pur con alcune specifiche diversità, entrambi mostrano una notevole coincidenza dei massimi spettrali, ad esempio (in Kyr):
il che sottolinea una storia ampiamente comune nei (e quindi una mutua conferma dei) processi evolutivi dei sedimenti e quindi della storia climatica settentrionale in una zona che, essendo al confine tra gli emisferi, si avvale del contributo meridionale e fa pensare a periodi caldi e freddi di natura globale.
A questo proposito, il confronto con la serie di δ18O della carota GISP2 groenlandese (scalata sulla SST) evidenzia molte somiglianze (estetiche e temporali), ad esempio:
- il periodo caldo B-A;
- l’evento freddo a 14 Ka;
- la forte oscillazione a 13 Ka
- l’intero Younger Dryas (più di 1500 anni);
tra le situazioni agli estremi dell’emisfero nord, come evidenziato, fin dal titolo, da Lea et al., 2003.
Dopo aver notato le similitudini, è corretto sottolineare le differenze tra le due serie:
- prima di 24.6 Ka GISP2 mostra una forte diminuzione che non si osserva in SST;
- tra 18 e 20.5 Ka un massimo secondario in GISP2 corrisponde ad una discesa continua in SST;
- a circa 10.5 Ka le serie sono uguali ma leggermente sfasate (di circa 100-150 anni);
- durante l’Olocene, sono presenti oscillazioni, a volte in opposizione di fase.
Bisogna anche ricordare, con Lea et al.(2003), che alcune delle forti variazioni osservate nelle serie presentate qui non trovano riscontro nei dati ottenuti a latitudini più elevate, ad esempio nei Caraibi e che le fluttuazioni nel Mg/Ca, attribuite alla risalita delle acque profonde e derivate dalla Globigerina ruber (G.ruber) sono intepretate tramite l’abbondanza di Globigerina bulloide (da molti ricercatori indicata come il vero indicatore delle acque di risalita) che sembra avere poco a che fare con la distribuzione annuale quasi uniforme che oggi mostra G. ruber.
In conclusione, i grandi eventi climatici di riscaldamento e raffreddamento olocenici e pre-olocenici sono avvenuti allo stesso modo, e sono stati quasi completamente sincroni, ai due estremi dell’emisfero settentrionale, indipendentemente dalle condizioni ambientali (terraferma all’interno di una grande isola del profondo nord e bacino oceanico equatoriale poco profondo) e dalla latitudine.
Una serie di tre interessanti articoli del 2019, di Lüning e collaboratori (Lüning et al., 2019, 2019b, 2019c) pone l’accento sul Periodo Caldo Medievale (MWP, nei lavori chiamato MCA o Medieval Climate Anomaly) in tre regioni del mondo: Antartide, Mediterraneo e Oceania. In ognuno dei casi vengono utilizzate ricostruzioni di temperatura con vari metodi e il sommario dei lavori è che l’MCA è legata alle grandi oscillazioni atmosferiche e oceaniche come NAO+, AMO+ nel Mediterraneo dove, ad esempio, la LIA sembra connessa con NAO- e AMO- e NAO sembra condizionare la variabilità Est-Ovest; in Oceania e in Antartide le oscillazioni importanti sono SAM (South Anular Mode) ed ENSO, connesse in modi variabili all’attività solare.
L’ampiezza delle aree interessate conferma, anche se non dimostra, a causa di alcune incongruenze qui appena accennate, l’idea di cambiamenti climatici -questi sì- globali e, seguendo i lavori di Lüning, connessi ad eventi naturali.
Bibliografia
- Gerald H. Haug, Konrad A. Hughen, Daniel M. Sigman, Larry C. Peterson, Ursula Röhl: Southward Migration of the Intertropical Convergence Zone Through the Holocene, Science, 293, 1304-1308, 2001. https://doi.org/10.1126/science.1059725
- David W. Lea, Dorothy K. Pak, Larry C. Peterson, Konrad A. Hughen: Synchroneity of Tropical and High-Latitude Atlantic Temperatures over the Last Glacial Termination , Science, 301, 1361-1364, 2003. https://doi.org/10.1126/science.1088470
- Lüning S., Gałka M., Vahrenholt F.: The Medieval Climate Anomaly in Antarctica , Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology, 532, 109251, 2019.http://dx.doi.org/10.1016/j.palaeo.2019.109251
- Lüning S., Schulte, L., Garcés‐Pastor, S., Danladi, I. B., & Gałka, M.: The Medieval Climate Anomaly in the Mediterranean Region , Palaeogeography and Palaeoclimatology, 34, 1625-1649, 2019b. https://doi.org/10.1029/2019PA003734,
- Lüning S., Mariusz Gałka, Felipe García-Rodríguez, Fritz Vahrenholt: The Medieval Climate Anomaly in Oceania , Environmental Reviews, 28, 1, 2019c. https://doi.org/10.1139/er-2019-0012
Tutti i dati e i grafici sono disponibi nel sito di supporto
Pare che la futura COP 27 si svolgerà nella ridente cittadina di Minsk!
Congratulazioni a franco Zavatti con questo articolo che conferma nuovamente la variabilità climatica durante l’Olocene, in particolare l’esistenza del PCM che non è un fenomeno localle, come sostenuto dall’IPCC, ma presente in tutto il mondo.