Il NIFC (National Interagency Fire Center) gestisce il dataset degli incendi negli Stati Uniti dal 1926, sia per il numero che per l’estensione areale degli stessi. Dopo aver reso disponibili i dati completi per molti decenni, improvvisamente, ma non saprei dire quando esattamente, ha deciso che il suo dataset inizia dal 1983, eliminando dalla disponibilità i dati dal 1926 al 1982 (57 anni). La motivazione è che, negli anni in questione, l’agenzia ha registrato gli incendi in modo non consono alla procedura attuale. Noi abbiamo tutti i giorni a che fare con dati modificati, omogeneizzati, aggiornati, ecc. e, pur essendo pronti a discutere le scelte fatte, mai ci siamo trovati di fronte all’“eliminazione fisica “ dei dati che sono la principale dote di ogni ricerca; si può certo decidere di non usare alcuni (anche molti) dati, motivando la scelta, ma non si possono cancellare “tout court”.
In particolare, se, come sembra, la scelta è stata dettata dal fatto che fino al 1982 (anno di una legge più rigida) gli incendi cosiddetti “controllati” erano pratica comune nell’agricoltura per pulire e concimare il terreno, bisogna notare che:
- Questi incendi “agricoli” sono stati senza dubbio registrati come tali e quindi è possibile tenerne conto nel compilare il dataset e,
- anche gli incendi dopo il 1982 sono in buona (e forse preponderante) parte causati dall’uomo e, come tali, andrebbero eliminati allo stesso modo, in pratica cancellando quasi del tutto il dataset.
In tempi di revisionismo galoppante, lo abbiamo visto nei vari tentativi di cancellare (o dimenticare)
- la pausa delle temperature
- l’optimum olocenico
- la presenza del forte El Nino 2015-2016, attribuendo il riscaldamento osservato alla cattiva CO2 e al suo profeta, l’altrettanto cattivo uomo.
E’ difficile non pensare ad un ulteriore tentativo di presentare all’opinione pubblica quello che si potrebbe definire il “lato catastrofico” dei dati sperimentali. E’ pratica comune di chi trama accusare di complottismo chi si fa venire dei dubbi, per cui diamo per certa l’istituzione di questo “tribunale” e ci limitiamo a notare la differenza tra il dataset originale, usato in molte pubblicazioni tra cui un report del Servizio Forestale USA (2015) e in tutti gli articoli di giornale che si sono occupati dell’argomento, e quello rivisto, mostrati nelle figure 1, 2 e 3.
La figura 1 è interessante per vari aspetti: nel caso dell’area interessata agli incendi, la grande estensione (225 mila km2) si riduce a me di 10 mila km2 nel 1956-57, circa 25 anni prima dell’entrata in funzione della legge più restrittiva e questo dato è in netto contrasto con la scelta del 1983 come anno iniziale della nuova serie; poi, la crescita post-1982 può certamente essere attribuita al cambiamento climatico (in qualunque modo lo si voglia chiamare) ma anche al fatto che, forse, la nuova legge ha dato inizio ad un periodo di incendi dolosi prima che i meccanismi di controllo fossero del tutto rodati e che, a rodaggio completato attorno al 2005, ha portato ad una stabilità (circa 30 mila Km2 l’anno di media) delle aree incendiate.
Nel caso del numero di incendi, un’importante diminuzione, da circa 2 mila a circa 80 mila l’anno, si è verificata tra il 1938 e il 1956-57; qui però, a differenza di quanto accaduto per l’area, si è registrato un forte aumento (fino a 250 mila) nel numero degli incendi, culminato nel 1980 e seguito da una fortissima diminuzione che nel giro di 2-3 anni ha portato il numero a meno di 10 mila (nel 1983). Da lì al 2005 una sostanziale stabilità attorno a 75 mila incendi l’anno fino al 2005, quando è iniziata una leggera diminuzione che ha ridotto il numero a circa 50 mila. Anche in questo caso è difficile essere d’accordo con la scelta del NIFC di far iniziare la serie nuova nel 1983.
Lo spettro mostra un’evoluzione temporale simile per entrambi i dataset, con periodi vicini. Tre periodi (18.8 anni per l’area, 2 e 10 anni per il numero di incendi) non si osservano nell’altro dataset, mentre presenze costanti -e potenti- sono i periodi di 6 mesi e 1 anno, tipici degli incendi provocati ad arte in periodi di preparazione del terreno o in quelli, ad es. estivi ed invernali in certe aree geografiche, molto siccitosi.
Da questa figura non possiamo fare a meno di notare che, dal 2005, l’estensione si è stabilizzata o cresce a ritmo inferiore rispetto agli anni precedenti e che il numero di incendi è in diminuzione costante.
Anche in questi spettri si nota una certa somiglianza tra la superficie e il numero degli incendi; ma soprattutto “grida” la presenza dei massimi principali ancora a 1 anno e a 6 mesi, cioè la presenza di eventi annuali e semi-annuali. Se non si tratta degli incendi controllati, utilizzati in agricoltura, visto che il dataset è stato “emendato” proprio per eliminare questi eventi spuri, allora lo spettro evidenzia la presenza di incendi dolosi, appiccati sempre nei periodi più asciutti dell’anno -e quindi con un ritmo regolare- che andrebbero ugualmente eliminati dal dataset.
Dalla figura è chiaro che la scelta fatta di utilizzare solo una parte del dataset è una scusa per supportare un’idea preconcetta oppure un importante errore di valutazione riguardo le caratteristiche degli incendi “naturali” e “provocati” (dall’uomo).
Non mi è chiaro quale possa essere il senso di tale differenza, anche perché le due serie hanno in comune più di un terzo del tempo (37 su 95 anni) e non credo che natura e frequenza degli incendi possa essere cambiata molto nei circa 60 anni che li separano.
Lo spettro dell’area incendiata mostra notevoli differenze tra i due dataset: nasce un massimo attorno a 18 mesi (1.5 anni) e massimi attorno a 2.5-3 anni assumono la massima potenza, paragonabile a quella dei fuochi controllati; i massimi a 5 e 6 anni diventano importanti, a fronte degli stessi picchi, quasi impercettibili, nel vecchio dataset; un massimo a circa 13 anni, in opposizione di fase rispetto a due massimi adiacenti, nel dataset originale, di periodo 12 e 15 anni; la scomparsa dei massimi a circa 18 e 24 anni, sostituiti da una oscillazione di bassa potenza a circa 21 anni.
Lo spettro del numero degli incendi nel nuovo dataset ha un comportamento simile: la scomparsa dei periodi di 13 e 23-24 anni è sostituita da un periodo di circa 17 anni e due periodi di circa 5 e 7 anni assumono notevole importanza nella nuova serie. I periodi degli incendi controllati (6-12-18 mesi) rimangono, anche qui di potenza ridotta rispetto alla vecchia serie.
Insomma, il nuovo dataset appare diverso dal vecchio, con un’estensione temporale di meno di un terzo rispetto a quello, ma mantenendo la presenza -chiaramente inferiore ma che si voleva evitare- degli incendi che l’uomo ha provocato e provoca a vario titolo.
A mio parere, il risultato complessivo dell’operazione “taglio” è di bassa qualità rispetto al dataset completo 1926-2020.
Per concludere, ribadisco che i dati sperimentali non si eliminano; si possono selezionare per categorie, giustificando la scelta (ad esempio: voglio studiare solo gli incendi naturali, per cui in questa occasione uso solo i dati posteriori al 1983 perché, in base ai documenti, la gran parte degli incendi degli anni precedenti non è naturale), ma è necessario lasciare ad altri la possibilità di controllare e contestare la scelta fatta, fornendo tutti i dati di cui si dispone.
A me sembra che la scelta del NIFC sia molto più grave del “semplice” taglio di due terzi dei dataset: riflette l’idea oscurantista (direi medievale, ma credo che il Medioevo sia stato meno oscuro di quanto si immagina, anche rispetto al periodo in cui viviamo) di eliminare quanto può dare fastidio alle idee dominanti, nella speranza -vana- che idee diverse possano essere sopite da operazioni burocratiche come questa.
Tutti i dati e i grafici sono disponibili al sito di supporto |
Lascio un Link che potrebbe essere utile alle sue ricerche. cito solo un breve passaggio.
“Years of fire suppression and other management practices have resulted in increased undergrowth and tree density (both live and dead) creating high fuel levels that have in turn contributed to high-intensity fires that have threatened property, natural resources, and the public. About 12 percent of coterminous U.S. forest land is currently at a high or very high risk for wildfire.”
https://www.fia.fs.fed.us/library/brochures/docs/2012/ForestFacts_1952-2012_English.pdf
Un altra nota , I finanziamenti statali per il servizio delle foreste degli Stati Uniti non sono aumentati negli ultimi 20 anni e ammontano a poco più di 7 milioni di dollari annui. Per fare un paragone la regione Calabria ne spende circa 181
Grazie per il link al report: è fatto davvero bene ed è chiaro e, credo, esaustivo pur nella sua forma rivolta ad un pubblico più vasto. L’ho aggiunto alla bibliografia nel sito di supporto.
Il confronto fra USA e Calabria è disarmante: se facciamo il paragone tra estensione territoriale e numero di incendi vediamo che i finanziamenti non definiscono la capacità di proteggere una regione e fanno seriamente pensare agli sprechi abissali che abbiamo di fronte. Spero che questa diversità sia almeno in parte mitigata da finanziamenti dei singoli stati o comunità locali e, per la parte atlantica degli USA, dal fatto che la maggioranza delle foreste è privata. Franco
Lascio anche il Link alla sezione ricerca e sviluppo dell’ USDA , decisamente più scientifico e dotato anche dei propri dataset e una ricca biblioteca
https://www.fs.fed.us/research/products/
Qui c’è il link del centro di Missoula Fire center
https://www.firelab.org
Sono un appassionato di grandi alberi , ho perso parecchio tempo a chiaccherare coi ranger nel Redwood Park. Oggi sono in maggior parte volontari , pensionati o studenti che raccolgono crediti
Grazie ancora. Ho aggiunto entrambi al sito di supporto. Franco
Lo dicono in continuazione dalla Protezione Civile e dai Vigili del Fuoco, nonchè dai Carabinierri Forestali:
gli incendi forestali sono dolosi (non mi sbilancio nella percentuale, ma forse sono l’80%).
Il clima come causa, quindi, non è imputabile.
Semmai facendo caldo, i piromani, sono facilitati.
Non dimentichiamo che il settore antincendio è pur sempre un settore economico, con ditte che hanno fatto l’investimento per l’acquisto di costosi Canadair e l’investimento si ammortizza solo con l’uso!
Non vorrei criminalizzare nessuno, ma è anche nelle cronache di sedicenti volontari che appiccavano incendi per poi essere impegnati nello spegnimento.
Magari le correlazioni per gli incendi vanno fatte con i bilanci economici più che con le temperature estreme!
ma, ripeto sempre, la scienza con il clima è come il prezzemolo in tutte le minestre.
E’ chiaro che si sta facendo una operazione ideologica utilizzando procedure (dubbie) statistiche e chiamando ciò “Scienza”, quando invece dovrebbe chiamarsi “Propaganda”.
Già il fatto che l’ambientalismo mira alla stabilità (climatica, ecologica, biochimica etc)facendo credere che un mondo disinquinato esiste ma uomo permettendo, ciò è antiscientifico ai massimi livelli: la scienza, per sua natura, studia proprio i cambiamenti e come avvengono.
Però, rimane sempre la causa antropica per gli incendi. Altro argomento antiscientifico: pensare di poter vivere in un ambiente ideale ed idilliaco (disinquinato, climaticamente stabile, in armonia con gli animali e le piante… ) con una popolazione in continuo aumento e che ha come miti il Progresso, la Crescita e l’Innovazione.
L’IPCC e tutto il carrozzone ambientalista ci sta raccontando una fiaba, non scienza.
L’IPCC e tutto il carrozzone ambientalista ci sta raccontando una fiaba, non scienza.
Sono d’accordo su tutto. Possiamo dire “balla” invece di “fiaba”? Franco
PS: mi scuso, ma c’è un evidente errore, “…un’importante diminuzione, da circa 2 mila a circa 80 mila l’anno,”. I 2 mila sono in realtà 200 mila, come si può leggere dal grafico.