Alcune settimane orsono NBC news ha dato un annuncio sensazionale e cioè che “Lo squilibrio energetico della Terra elimina quasi tutti i dubbi circa la causa antropica dei cambiamenti climatici: i ricercatori che studiano l’assorbimento dell’energia solare da parte della Terra hanno trovato una probabilità inferiore all’1% che i recenti cambiamenti si siano verificati per cause naturali”.
L’affermazione di NBC news, posta alla mia attenzione dall’amico agronomo Alberto Guidorzi che ringrazio, si fonda sui risultati di un lavoro scientifico di Raghuraman et al., uscito pochi giorni prima su Nature Communications e che ha per titolo “Anthropogenic forcing and response yield observed positive trend in Earth’s energy imbalance”. In tale articolo gli autori:
- utilizzano dati da satellite CERES per mostrare che l’Earth Energy Imbalance (EEI) del periodo 2001-2020 manifesta un trend positivo lineare mostrando anomalie positive sempre più spiccate rispetto alla media pluriennale
- fanno ricorso all’output di modelli GCM utilizzati nell’esperimento CMIP6 per escludere il fatto che tali anomalie siano frutto della variabilità interna al sistema climatico terrestre e cioè della variabilità naturale non forzata, per la cui descrizione si rimandano il lettori a Curry (2013).
Aspetti computazionali
I diversi termini del bilancio energetico globale del nostro pianeta sono illustrati da Stephens et al. in un articolo apparso su Nature Geoscience nel 2012 (figura 1). Più nello specifico lo squilibrio energetico della Terra (EEI) è dato dalla differenza tra la radiazione solare in entrata (S0) e la somma di radiazione a onda corta riflessa (RSW) e di radiazione a onda lunga uscente (OLR), il tutto valutato al limite superiore dell’atmosfera (TOA) ed espresso pertanto dall’equazione:
(1) EEI=S0-(RSW+OLR)
EEI può essere oggi ottenuto dalle osservazioni satellitari di CERES che forniscono una serie temporale ininterrotta di due decenni (gennaio 2001-dicembre 2020) dei termini S0, RSW e OLR. Secondo Raghuraman et al. (2021) i dati CERES presentano un’elevata affidabilità che si evidenzia sia dal confronto con misure al suolo sia dal confronto fra i dati forniti dai tre sensori satellitari succedutisi nel tempo nell’eseguire le misure. In particolare dalla serie dei dati CERES gli autori ricavano l’anomalia mensile di EEI (ΔEEI) e cioè lo scostamento del valore medio mensile del singolo mese dalla media mensile 2001-2020.
Raghuraman et al. (2021) evidenziano inoltre che ΔEEI può essere anche ricavata dall’equazione:
(2) ΔEEI =ΔERF + λΔTs + ϵ
ove ΔERF è l’anomalia mensile nel forcing radiativo frutto di:
- forzanti esterne che includono forzanti naturali (ad es. solare e vulcanica) e antropiche (ad es. gas serra ben rimescolati e aerosol)
- la variabilità interna del sistema climatico ϵ, che comprende fenomeni come ENSO, NAO, AMO, PDO, ecc.
- la risposta radiativa λΔTs, ove ΔTs è l’anomalia delle temperature e λ sono i diversi feedback climatici, i principali dei quali sono (Bastiaansen et al., 2021): (a) feedback di Planck e feedback da gradiente termico verticale, due feed-back negativi in quanto vedono la radiazione a onda lunga uscente OLR aumentare al crescere della temperatura, (b) il feedback positivo legato al ghiaccio (se la temperatura aumenta le superfici glaciali calano, l’albedo cala e le temperature aumentano ulteriormente), (c) il feedback da vapore acqueo (se la temperatura cresce, aumenta il contenuto in vapore acqueo dell’atmosfera per cessione di vapore dagli oceani e dalla vegetazione ed essendo il vapore acqueo un potente gas serra le temperature aumentano ulteriormente) e (d) il feedback dovuto alle nubi, che può essere negativo in quanto le nubi aumentano la radiazione solare riflessa, oppure positivo in quanto le nubi si lasciano attraversare più facilmente dalla radiazione solare che non dalla radiazione ad onda lunga di origine terrestre.
I risultati di Raghuraman et al. (2021) e gli elementi critici ad essi relativi
Gli autori riportano i valori medi annui di ΔEEI nel diagramma riprodotto di figura 2 in cui i valori mostrano il prevalere di anomalie negative nel decennio 2001-2010 e di anomalie positive nel decennio 2011-2020. Da ciò si ricava un trend positivo altamente significativo.
Alla luce dell’equazione gli autori passano poi a domandarsi quali siano i fattori che spingono ΔEEI verso valori sempre più positivi e per darsi una risposta ricavano le variabili indipendenti dell’equazione 2 (ΔERF, λΔTs e ϵ) dagli output dei modelli GCM utilizzati nell’esperimento CMIP6. Il risultato è che la variabilità interna al sistema climatico (ϵ) risulta pesare pochissimo mentre il trend osservato dipende quasi per intero dai termini di forcing e feedback (ΔERF, λΔTs).
L’operazione compiuta dagli autori mi lascia perplesso perché i GCM non sono tutt’oggi in grado di descrivere alcune grandi forme della variabilità interna al sistema climatico terrestre e in particolare l’Atlantic Multidecadal Oscillation (AMO), la North Atlantic Oscillation (NAO), la Pacific Decadal Oscillation (PDO) e la El Nino Southern Oscilaltion (ENSO), che sono indici che esprimono ciclicità proprie del sistema circolatorio atmosferico e oceanico e che hanno periodo che vanno da 3-5 anni (ENSO) ad alcune decine d’anni.
Sull’attuale incapacità dei GCM a descrivere AMO, NAO e PDO si veda ad esempio quanto scrivono Volodin e Gritsun (2018) con riferimento a una serie di run del loro modello GCM INM-CM5 applicato alla serie storica 1850–2014.
Alla luce di ciò colgo nel ragionamento degli autori una evidente circolarità, nel senso che usano modelli non in grado di descrivere dei fenomeni per affermare che tali fenomeni non hanno peso nel determinare lo squilibrio energetico. In altri termini mi pare quanto meno azzardato utilizzare strumenti modellistici di tipo GCM per valutare il peso della variabilità interna al sistema climatico e per concludere che “the satellite record provides clear evidence of a human-influenced climate system”.
D’altronde leggendo l’articolo ci si rende conto che gli elementi critici dei GCM sono ampiamente analizzati in sede di discussione, il che induce a sospettare che i referi abbiano in realtà richiesto agli autori di porre in risalto le incertezze presenti nei GCM e che gli autori abbiano fatto “orecchio da mercante”, limitandosi a riportare i dubbi in sede di discussione senza però trarne alcuna conseguenza a livello di titolo, abstract e corpo del lavoro.
Come ulteriore elemento critico osservo che Stephen et al., nel loro articolo del 2012 “An update on Earth’s energy balance in light of the latest global observations” e nel quale in base a dati CERES stimavano un imbalance al TOA di 0.6+/-0.4 (figura 1 e figura 3) e scrivevano significativamente che “Thus the sum of current satellite-derived fluxes cannot determine the net TOA radiation imbalance with the accuracy needed to track such small imbalances associated with forced climate change”. Come mai lo stesso atteggiamento prudenziale non viene adottato da Raghuraman et al.? E’ forse cambiato qualcosa in meglio nella tecnologia CERES? A me non pare ma sarei felice se qualcuno me lo segnalasse.
Per inciso invito i lettori di osservare, sempre da figura 1, la banda di incertezza che Stephen set al segnalano per l’imbalance in superficie: siamo anche qui a 0.6 ma con una incertezza di +/-17 W m-2 che è un valore enorme e che è il frutto delle incertezze nelle stime dei singoli termini del bilancio energetico di superficie, come si può vedere dai dati in figura 3.
Conclusioni
Se i modelli GCM sono scarsamente sensibili alla variabilità interna al sistema climatico terrestre non dovrebbero ad avviso di chi scrive essere utilizzati a cuor leggero per affermare che la variabilità interna al sistema climatico non ha un peso significativo e che dunque tutto dipende dall’effetto antropico. Ciò anche in virtù del fatto che l’analisi visuale delle serie di CERES 2001-2020 mostra con evidenza che durante il decennio 2001-2010 prevalgono le anomalie negative mentre nel decennio 2011-2020 quelle positive, il che dovrebbe portare a domandarsi cosa determini il cambio di fase, un aspetto su cui gli autori si guardano bene dall’interrogarsi, accontentandosi dell’analisi del trend lineare. Un’altra domanda che bisognerebbe porsi è a mio avviso se 20 anni di dati, peraltro affetti da grande variabilità interannuale, siano sufficienti a descrivere i trend dell’EEI. Ad un atteggiamento prudenziale dovrebbe anche spingere l’incertezza insita nei dati da satellite CERES.
L’impressione complessiva è che l’approccio di Raghuraman et al. (2021) risponda a un atteggiamento culturale che mira ad attribuire all’effetto antropico qualunque cosa accada in ambito meteo-climatico. Al riguardo mi pare utile proporre ai lettori una riflessione sulla variabilità interna basata sui due esempi seguenti:
- la glaciazione di Wurm si caratterizzò per un’enorme variabilità delle temperature globali e in particolare ebbero luogo circa 24 eventi di riscaldamento abrupto noti come eventi di Daansgard-Oeschger (o e preferite eventi D-O). Nel corso di tali eventi il regime delle temperature e delle precipitazioni a livello globale fu sconvolto e gli effetti si manifestarono in tempi molto rapidi, compatibili con la vita di un essere umano.
- 4200 anni fa ebbe luogo una “mega-siccità” che interessò l’intero areale circum-mediterraneo provocando ripercussioni enormi sulla civiltà (ad esempio in Mesopotamia cadde l’impero accadico). Di tale siccità vi sono tracce anche in altre parti del mondo, ad esempio in Australia.
La causa di tali eventi critici globali di enorme portata per la nostra specie (es: Homo sapiens arrivò in Europa durante un interstadiale della glaciazione di Wurm) è a tutt’oggi ignota e fa probabilmente parte di quella variabilità interna a cui Raghuraman et al. (2021), grazie ai GCM, attribuiscono un peso del tutto marginale.
BIbliografia
- Bastiaansen et al., 2021. Projections of the Transient State-Dependency of Climate Feedbacks, arXiv:2106.01692v1 [physics.ao-ph] 3 Jun 2021
- Curry J., 2013. What is internal variability, https://judithcurry.com/2013/08/29/what-is-internal-variability/
- Stephens et al., 2012. An update on Earth’s energy balance in light of the latest global observations, Nature Geoscience · September 2012, DOI: 10.1038/ngeo1580
- Volodin E. and Gritsun A., 2018. Simulation of observed climate changes in 1850–2014 with climate model INM-CM5, Earth Syst. Dynam., 9, 1235–1242, 2018, https://doi.org/10.5194/esd-9-1235-2018.
Buongiorno
Avrei bisogno di una precisazione , lei parla di valori di incertezza di +/-17 W m^-2. Se ho capito bene si parla di irradianza e sempre che abbia capito bene solo sullo spettro infrarosso. Se non ho sbagliato i conti si tratta di un margine di errore di più di+/- il 30 % dell’ energia complessiva in quello spettro, O c’è un errore o il dato non è solo enorme ma sproporzionato
Non è solo irradianza, altrimenti si tratterebbe di un bilancio radiativo. Trattandosi invece di un bilancio energetico entrano in gioco i flussi turbolenti di calore sensibile e di calore latente, per i quali i livelli di incertezza sono molto alti trattandosi per l’appunto di flussi che coinvolgono la turbolenza termica (spinta dal soleggiamento) e meccanica (interazione del vento con superfici che sono più o meno scabre).
Circa le dimensioni dei flussi medi in gioco, li può vedere nell’immagine tratta da Stephens et al. (2012). Da parte mai posso dirle che in una giornata estiva, la spinta dovuta alla radiazione netta che giunge in superficie coperta da vegetazione ben rifornita d’acqua (supponiamo 500 W/m-2) spinge tre flussi e cioè il flusso di calore latente (potremmo fare 350 W m-2), il flusso di calore sensibile (100 W m-2) e il flusso di calore nel terreno (50 W m-2). Quest’ultimo se mediato su periodi lunghi si annulla (tanto entra e tanto esce) ed infatti Stephens et al non lo indicano.
Ho interpretato male l’articolo pensavo fosse solo relativo all’ irraggiamento . L’ ho riletto con calma , guardando le illustrazioni con gli occhiali . Se si considerano anche convezione e conduzione, e poche variabili ( mare, terra, copertura vegetale , latitudine e nuvole) diventa un modello enorme . Qui non solo l’elefante prende il volo ma introdurre due modelli per definire più di una variabile fa si che sia anche a pallini rosa. Perdoni lo sfogo ma questo articolo è stato spacciato come la dimostrazione inequivocabile dell’ AGW e poi mi ritrovo a leggere una speculazione bizantina su quanti angeli possono stare su una capocchia di uno spillo.
Grazie, Prof. Mariani, un articolo da conservare, per me di grande interesse perché alla fine il tema centrale resta lo studio delle variazioni del bilancio energetico e delle loro cause – e a maggior ragione per le ragioni da Lei indicate “…siamo davvero in tanti sul pianeta per cui non è eludibile…”.
La mia sensazione è che ne sappiamo ancora troppo poco rispetto a quanto sarebbe prudente conoscere, ma comincio a disperare che la risorsa principale mancante non sia il finanziamento della ricerca sul clima quanto la misura affidabile dell’integrità di chi la pratica.
In effetti su molti aspetti sappiamo ancora troppo poco…
Penso ad esempio a quanto accade all’interno degli strati limite in cui la turbolenza la fa da padrona e i trasporti orizzontali di energia in forma di calore sensibile e latente sono molto rilevanti. Alcuni limiti conoscitivi sono poi strutturali e legati alla natura intrinsecamente caotica del sistema climatico.
Penso anche alla qualità spesso scadente di dati essenziali come ad esempio quelli di precipitazione, per i quali la copertura globale non è a tutt’oggi garantita e i dati da reti operative aggregati a livello internazionale attraverso il GTS (penso al dataset GSOD) “fanno acqua da tutte le parti”. E qui siamo nell’ambito dell’operatività e della tecnologia. Guardi ad esempio la figura che le allego (fonte: Dunn et al., 2020. Development of an Updated Global Land In Situ ‐ Based Data Set of Temperature and Precipitation Extremes: HadEX3e) che riporta su un planisfero le stazioni che si è riusciti a raccogliere per realizzare il dataset internazionale Hadex3, che serva ad esempio per stime sui trend degli eventi pluviometrici estremi. Come vede vi sono aree del pianeta che sono del tutto scoperte (eclatante è il caso africano; una volta si sarebbe scritto “hic sunt leones”…) e anche quelle coperte, mi creda, non brillano per qualità….. Ecco, se si fosse davvero preoccupati per le sorti del pianeta si correrebbe rapidamente ai ripari allestendo a livello globale una rete davvero efficace ed omogenea per strumentazione, criteri di installazione e di gestione, come si è fatto ad esempio per la rete internazionale di boe Argo. Si tratta tuttavia di un tema che non è mai all’ordine del giorno…
A questo punto potremmo domandarci quanto incida sulla mancata soluzione dei problemi risolvibili la hubris di chi ritiene di aver già capito tutto, e io credo che pesi tanto.
In allegato la figura che non av evo inserito nel commento precedente
Immagine allegata
Grazie per l’interessante post. Concordo sulle perplessità dell’autore rispetto alla metodologia dello studio publicato su Nature. Le variabili climatiche prodotte dai GCM non sono a mio modesto avviso omogenee dal punto di vista statistico con quelle generate da osservazione strumentale diretta perchè a differenza di queste ultime vengono costruite ponendo a priori come valida la stessa ipotesi teorica che si intende sottoporre a test con l’analisi proposta. Il ragionamento è evidentemente circolare. I GCM, per quanto complessi e sofisticati, sono modelli di simulazione e non di previsione (forscast): rappresentano stati del mondo generati assumendo come valida una certa ipotesi di catena causale, non una previsione (anche backward) dei essi ottenuta da un modello statistico che ha superato determinati test di affidabilità.
Visto lo studio siamo certi che CERES sia il satellite e non la birra?
Il clima in miliardi di anni quante volte e’ cambiato ?
milioni di volte con condizioni climatiche molto piu calde di adesso , basterebbe citare le ‘ Big 5 ‘
con eventi apocallitici , catastrofici ,
che a confronto gli eventi estremi attuali sono ‘ ingranditi ‘ anche dall esponenziale crescita demografica e mediatica. Anche gli scienziati ‘ illustrano ‘ che si e’ edificato , costruito , anche in zone ad alto rischio alluvioni , calmita’ naturali .
Il clima si studia solo da alcuni decenni ,
il sistema climatico e’ molto piu complesso ,
le attivita Antropiche certamente hanno anche contribuito ad alterare il trend , in particolare nel inquinamento ambientale ,
ma le ‘ risorse ‘ Naturali sono molteplici , sistemi dinamici dell atmosfera , ciclicita Oceanica ultra secolare , fattori geologici , vulcanismo , astronomici , che potrebbero modificare e stravolgere il clima anche in pochi anni .
mi riferisco al diagramma in fig.1 dove si mostrano i bilanci energetici.
I valori mostrati, sono delle medie, vero?
Ma ogni giorno i bilanci variano a causa dell’inclinazione dell’asse terrestre e del moto di rotazione, a causa della sfericità (quasi) del pianeta e varia in base a altezza e latitudine.
E sono proprio queste variazioni (anche di 100° C tra un polo ed un deserto tropicale) che determinano il tempo meteorologico comprensivo di fenomeni estremi.
Cioè, nella realtà i bilanci sono molto più complicati di quelli modellizzati ed i modelli non sono la realtà, ma una sua esemplificazione della realtà.
Diciamo che questi studi vorrebbero rafforzare un bias cognitivo relativo alla stabilità del clima variato dalle immissioni in atmosfera di gas serra.
Ma abbiamo cambiato anche l’albedo, per esempio generando il fenomeno delle isole urbane di calore.
Ed allora chiedo: non è che è proprio l’albedo modificato dall’ubanizzazione che determina la quantità maggiore di calore in atmosfera che si sta rilevando?
Certo, non so se stiamo cambiando il clima del pianeta, di sicuro cambiamo il clima di dove viviamo, le nostre città, che sono passate nel giro di un secolo da decine di migliaia a milioni di abitanti, incatramate e cementate per benino. 🙂
I valori riportati figura 1 sono valori medi attorno ai quali c’è una variabilità spaziale e temporale accentuata, che in figura non è riportata.
E’ chiaro che il sistema è molto complesso e proprio per questo l’uso di modelli alle diverse scale (da una foglia all’intero pianeta) è essenziale per interpretare i fenomeni, come già aveva posto in evidenza Galileo, che è il padre della meteorologia moderna perché è con la sua scuola che nascono i primi strumenti di misura moderni e i primi modelli interpretativi.
L’importante quando si impiegano modelli è aver piena coscienza dei limiti ontologici dei modelli stessi e saperne cogliere i limiti, e il mio post vuole richiamare a questo tipo di necessità.
Buongiorno
Da perfetto ignorante mi pongo alcune domande.
1)Sbaglio o siamo arrivati ad avere una visone antropocentrica delle cose? Tutto ruota intorno all’uomo!! La natura, che ha governato tutto per miliardi di anni, di fronte a noi esseri umani diventa quasi insignificante. Mi chiedo come abbia fatto ad arrivare fini a qui senza di noi, visto la nostra “potenza/importanza”. Non voglio di certo dire che siamo dei santi, ci mancherebbe, però non credo nemmeno che siamo così potenti da poter controllare tutto. Anzi, spesso non sappiamo controllare nemmeno le nostre tasche, quindi?!
2) Non è forse che l’uomo ha perso il senso dalla sua posizione nella natura? La natura ci sovrasta ed essa non è ne madre ne matrigna, semplicemente natura!! Non ha mai reso conto a nessuno e di certo non lo farà con noi!! Tradotto: noi possiamo studiarla, capirla ma non governarla!!
3) Perché quando si parla di cambiamenti climatici gli unici grafici o dati che vengono mostrati sono l’aumento di temperatura e l’aumento della CO2? Forse gli altri non confermano la teoria dominante?
4) Nell’articolo viene citata la glaciazione Wurm, caratterizzata da una spiccata variabilità climatica. Mi domando, perché allora andava bene e invece la variabilità di oggi no? Cosa è cambiato? Forse pensiamo che in nostra presenza debba restare tutto tranquillo?
Un altro esempio potrebbe essere il passaggio tra il Pleistocene e l’Olocene secondo i dati Alley, in Groenlandia in 140 anni circa, le temperature medie si sono alzate di 10,2 gradi, una cosa pazzesca, molto più grande dell’attuale riscaldamento. Perché allora era giusto, mentre oggi con 1 grado in più è tutto sbagliato? Va bene, li riguardava solo la Groenlandia, mentre oggi è tutto il pianeta, però?!
Avrei mille altre cose da chiedere e da dire ma per il momento mi fermo, ringrazio chiunque voglia darmi una spiegazione . Mi sembra di aver a che fare con un rompicapo di livello massimo!! Non ci capisco nulla!!
Un saluto
Andrea
Gentile Andrea, grazie per le sue interessanti riflessioni.
Commento brevemente le questioni da lei poste:
1) “Sbaglio o siamo arrivati ad avere una visione antropocentrica delle cose?…”. Le rispondo dicendo che le cose stanno così, nel senso c’è moltissimo antropocentrismo nell’idea di “uomo distruttore”. C’è tuttavia da dire che siamo davvero in tanti sul pianeta per cui non è eludibile la necessità di utilizzare strumenti quantitativi (modelli matematici) per stimare il nostro impatto sull’ecosistema. Pensi solo alla rottamazione di milioni di autovetture che ha luogo se si mette al bando una certa tecnologia di motori e agli effetti ecosistemici che un tale fenomeno determina.
2) “Non è forse che l’uomo ha perso il senso dalla sua posizione nella natura? ….” Il tema si collega a quello dell’antropocentrismo ed è vastissimo, richiamando argomenti di riflessione scientifica e filosofica. In ogni caso entro certi limiti la natura possiamo governarla come ad esempio si governa con argini un fiume e comunque possiamo studiarla per adattarci ai suoi comportamenti (es. costruire case in luoghi sufficientemente al sicuri rispetto alle alluvioni).
3) “Perché quando si parla di cambiamenti climatici gli unici grafici o dati che vengono mostrati sono l’aumento di temperatura e l’aumento della CO2? Forse gli altri non confermano la teoria dominante?” In estrema sintesi si può dire che alcune variabili confermano la teoria dominante mentre altre adombrano la presenza di eccezioni rispetto a questa teoria (basti pensare agli eventi estremi e al fatto che non tutti gli eventi estremi stiano divenendo più frequenti e intensi a seguito dell’AGW). Chi opera nel settore scientifico ha a mio avviso il dovere di indagare le eccezioni per vedere se esse possano trovare ospitalità nell’ambito della teoria dominante oppure se sia necessaria una nuova teoria che consenta di superarle.
4) “Nell’articolo viene citata la glaciazione Wurm…” anche a me ha sempre colpito la rapidità (compatibile con la durata di una vita umana) con cui in passato sono avvenuti certi mutamenti e questo è certamente un ambito su cui indagare più a fondo.
5) “sembra di aver a che fare con un rompicapo di livello massimo!! Non ci capisco nulla!!” Anch’io mi trovo spesso in queste condizioni e a volte mi capita di invidiare coloro che hanno maturato convincimenti granitici e che risolvono tutto con pochi slogan. Al riguardo mi vengono spesso in mente le parole di Zenone nell’Opera al nero della Yourcenar, che ritengo essere un riferimento importante e per molti versi inarrivabile per noi umani: “So che non so quel che non so; invidio coloro che sapranno di più, ma so che anch’essi, come me, avranno da misurare, pesare, dedurre e diffidare delle deduzioni ottenute, stabilire nell’errore qual è la parte del vero e tener conto nel vero dell’eterna presenza di falso. Non mi sono mai ostinato su un’idea per timore dello smarrimento in cui cadrei senza di essa. Né ho mai condito di menzogne un fatto vero per rendermene la digestione più facile. Non ho mai deformato le opinioni dell’avversario per confutarle più facilmente, neppure durante il nostro dibattito sull’antimonio, quelle di Bombast, il quale non me ne fu grato. O piuttosto si: mi sono sorpreso a farlo, e ogni volta mi sono rimproverato come si sgrida un domestico disonesto, e ho ritrovato la fiducia solo dopo essermi ripromesso di far meglio. Ho avuto anch’io i miei sogni, e non gli attribuisco valore d’altro che di sogni. Mi sono guardato bene dal fare della verità un idolo; ho preferito lasciarle il nome più umile di esattezza. I miei trionfi e i miei pericoli non sono quelli che la gente s’immagina; ci sono altre glorie oltre la gloria e altri roghi oltre il rogo. Son quasi riuscito a diffidare delle parole. Morirò un po’ meno sciocco di come son nato”.
Rispondo, pur da profano pure io della materia, al signor Andrea, chiedendo anche un parere al prof. Mariani per quanto concerne il passaggio dal Pleistocene all’Olocene.
Riguardo i punti 1) 2) e 3) si potrebbe dire che esistono due POV (punti di vista) ben distinti da valutare: quello dell’uomo e quello del pianeta sul quale viviamo. Il POV umano è ovvio sia preponderante, ma i media e la scienza, chiamata in causa da Greta e seguaci, lo associano, sbagliando, anche al POV della Terra.
Per il pianeta l’esistenza dell’uomo è insignificante e ogni turbativa all’ambiente la facciamo soltanto a nostro danno. Ci interroghiamo se l’AGW esiste sul serio oppure no, ma non è questo il punto. Sulla Terra siamo miliardi, dunque l’intervento umano sull’ambiente è un dato di fatto, ma sono gli effetti di questa ingerenza la cosa importante da valutare. L’allarmismo climatico strilla che un grado medio di temperatura in più sarebbe catastrofico per la società umana, ma siamo sicuri che sia una cosa di cui ci si debba davvero preoccupare? Le previsioni pessimistiche che ipotizzano coste allagate e calotte glaciali liquefatte sono soltanto teorie, ben sapendo che in passato l’uomo ha già vissuto epoche anche più calde di quella attuale, godendo fra l’altro di un discreto benessere. I problemi gravi del futuro sono ben altri: sovraffollamento, esaurimento delle risorse, inquinamento, pandemie, squilibri sociali, rischio di guerre globali, ma noi siamo qui ad arrovellarci per l’AGW.
Nel corso delle sue lunghissime ere, la Terra ha visto tali e tanti cambiamenti climatici da non farvi neppure più caso. Se avesse un volto espressivo da mostrarci, ci guarderebbe in faccia ridendo in maniera sguaiata. Ed è proprio guardando al passato del pianeta che si può a buon diritto parlare di veri e propri cambiamenti climatici, non certo misurando variazioni periodiche nell’arco di pochi decenni o addirittura soltanto di anni, come sta facendo l’uomo oggi.
Con ciò arrivo al punto 4) del signor Andrea, dove si cita la fine della glaciazione Wurm in concomitanza con il repentino cambiamento climatico che ha condotto all’assetto attuale. Ed è qui che in particolare vorrei richiamare l’attenzione del prof. Mariani.
Premetto di non essere un esperto in materia, ma a buon diritto mi potrei definire un topo da biblioteca con certificata formazione universitaria in materie storiche, che per pura passione ha dedicato più di trent’anni della sua vita a raccogliere dati sulla preistoria, con un particolare riguardo al periodo che parte da circa 30.000 anni dal presente (ybp). Così facendo, mi sono appassionato ai dati della paleoclimatologia, dai quali ho tratto osservazioni in parte contrastanti con quelli che amo definire dati accademici consolidati e accettati dalla scienza cosiddetta ufficiale.
Il Pleistocene finale, come amo definire il periodo geologico che va da circa 30.000 a 12.000 ybp, dal punto di vista climatico è affascinante e zeppo di variazioni sorprendenti, tali da aver mutato più volte i connotati di vaste regioni del pianeta in quelli che gli addetti ai lavori chiamano fasi interstadiali, di solito perduranti vari secoli o anche qualche millennio. Senza volermi dilungare sulle possibili cause di queste variazioni all’apparenza improvvise (in termini geologici, non certo paragonabili ai tempi brevissimi su cui vengono misurate le presunte variazioni climatiche odierne), arrivo al punto dicendo che circa 12.000 anni fa, come citato dal signor Andrea nel suo intervento, vi è stata una totale rottura con il passato, tale da condurre al cambiamento climatico che ha prodotto le condizioni affinché potesse affermarsi l’uomo civile, inteso come creatore di società complesse, città, imperi e tecnologia. Si è trattato di un evento brusco e rivoluzionario, al punto tale da aver modificato tali e tanti fattori da indurre il sospetto che anche l’assetto planetario ne sia stato sconvolto, in termini di inclinazione dell’asse di rotazione e dislocazione geografica dei poli. In qualità di semplice osservatore delle enormi differenze intervenute in un tempo geologico così breve, mi sono sempre chiesto come mai la scienza non sia ancora stata in grado di definirne le cause precise. Mi meraviglio del fatto che venga accettata ormai dall’intero impianto accademico l’ipotesi che 65 milioni di anni fa un asteroide abbia causato la fine dell’era dei grandi rettili, mentre un evento catastrofico così vicino al nostro presente non abbia viceversa ancora ricevuto una spiegazione plausibile. Le cause possono essere di diversa natura: astronomiche o interne alla Terra, ma la stranezza è che l scienza accademica sembra ignorare il fatto, come se neppure fosse accaduto
Buongiorno
Ringrazio il Prof. Mariani e il signor Argo dicendo che sono perfettamente d’accordo sul fatto che i veri problemi per l’uomo sono altri e andrebbero affrontati per primi, secondo me.
Ripeto, sono opinioni di un ignorante in materia. Ignorante che cerca di informarsi e capire e non solo di seguire la massa.
Grazie mille ancora
Un saluto
Andrea