Ci vuole un bel coraggio a dire che il global warming è magico, con tutti i disastri che ci sono in giro per il mondo. Pensate, alcuni giorni fa New York si è beccata una nevicata come non se ne vedevano da decenni e subito il Rescue Team si è affrettato a dichiarare che, ovviamente, è colpa del caldo. Lo stesso caldo che sta portando temperature primaverili sul Mediterraneo lasciando invece mezza Europa nel freezer (ma che non si sappia in giro).
Comunque, del freddo che NON viene dal caldo abbiamo già detto abbondantemente, però potrà tornare utile dare un’occhiata ad un altro paper appena uscito che smonta per l’ennesima volta la bizzarra teoria che, stufo di aver caldo, il gelo delle latitudini polari abbia deciso di spostarsi altrove. Ecco qua:
Eurasian cooling in response to Arctic sea-ice loss is not proved by maximum covariance analysis – Zappa et al., Nature Climate Change.
Lo studio (leggibile qui) è uscito in risposta ad un altro che, in effetti, affermava proprio che il freddo viene dal caldo, questo:
A reconciled estimate of the influence of Arctic sea-ice loss on recent Eurasian cooling – Mori et al., Nature Climate Change
Pare che, tanto per cambiare, ci fosse qualche problemino statistico nel paper precedente. Il fatto che su NCC abbiano accettato il commento non lascia molto spazio al dubbio. Sicché, secondo Zappa et al., sarebbe la variabilità atmosferica a incidere sulla variabilità della concentrazione del ghiaccio, e non quest’ultima a condizionare le ondate di freddo sulle latitudini più basse.
Statistica, come quella con cui, senza sosta e senza pietà, sono sottoposte al massacro le serie storiche della temperatura. Per carità, avere dei dataset consolidati è complicatissimo. Riconciliare le osservazioni di luoghi dove cambia l’ambiente circostante, cambiano gli strumenti, cambiano i punti di misura è un lavoraccio che conserva ancora ampi margini di incertezza e che, certamente, non cancella il fatto che questo pianeta si stia scaldando. Però, mi chiedo, possibile che nessuno si ponga un problema vedendo che sono meglio correlate con la concentrazione di CO2 le modifiche fatte ai dataset che il contenuto stesso delle serie?
Vedere per credere. La figura sotto (Fonte WUWT) riporta appunto le modifiche che, un algoritmo via l’altro, sono state apportate alle osservazioni. Il passato remoto è diventato più freddo e quello recente più caldo. Risultato, questa curva fitta con quella della CO2 che è un piacere.
Quest’altra figura invece (Fonte www.climate4you.com) mostra appunto la correlazione tra le temperature medie superficiali globali e la CO2. Certamente tutt’altro che lineare.
Tutto questo lavoro è necessario per riconciliare le osservazioni con le “previsioni” dei modelli climatici o, meglio, con i presagi distopici degli scenari climatici. Perché, se il disastro climatico non si palesa, è ben difficile che possa aver senso mettere in pratica policy draconiane per contrastarlo. Questo non significa che non ci sia un problema o che non ci sia un “tema” clima, perché capire in che direzione va il clima è oggi, con 7mld di persone da nutrire (di cibo e di energia), più importante di quanto non lo sia mai stato. Ma non è pompando un futuro distopico che si troverà la soluzione.
Questo sotto è l’abstract di un paper che chiarisce bene i termini del problema (Pielke at al., 2021). Mi sono divertito a mettere in evidenza qualche passaggio…
Distorting the view of our climate future: The misuse and abuse of climate pathways and scenarios
Climate science research and assessments under the umbrella of the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) have misused scenarios for more than a decade. Symptoms of misuse have included the treatment of an unrealistic, extreme scenario as the world’s most likely future in the absence of climate policy and the illogical comparison of climate projections across inconsistent global development trajectories. Reasons why such misuse arose include (a) competing demands for scenarios from users in diverse academic disciplines that ultimately conflated exploratory and policy relevant pathways, (b) the evolving role of the IPCC – which extended its mandate in a way that creates an inter-relationship between literature assessment and literature coordination, (c) unforeseen consequences of employing a temporary approach to scenario development, (d) maintaining research practices that normalize careless use of scenarios, and (e) the inherent complexity and technicality of scenarios in model-based research and in support of policy. Consequently, much of the climate research community is presently off-track from scientific coherence and policy-relevance. Attempts to address scenario misuse within the community have thus far not worked. The result has been the widespread production of myopic or misleading perspectives on future climate change and climate policy. Until reform is implemented, we can expect the production of such perspectives to continue, threatening the overall credibility of the IPCC and associated climate research. However, because many aspects of climate change discourse are contingent on scenarios, there is considerable momentum that will make such a course correction difficult and contested – even as efforts to improve scenarios have informed research that will be included in the IPCC 6th Assessment.
In sostanza, per più di dieci anni la ricerca ha fatto un uso del tutto errato del concetto di scenario, esprimendo favore per quelli più irrealistici ed estremi, come se rappresentassero davvero il futuro. Tutto questo mentre l’IPCC diventava non solo il catalizzatore della ricerca, ma anche il committente della stessa. Ora, la comunità scientifica è fuori rotta, priva di coerenza e di capacità di indirizzare correttamente le policy e continua a produrre prospettive miopi e ingannevoli sul futuro cambiamento climatico e sulle policy climatiche. La rotta però, potrà difficilmente essere corretta, perché gran parte della ricerca esiste perché esistono quegli scenari, se il disastro non fosse dietro l’angolo, a nessuno verrebbe in mente di cambiare strada, o no?
Quindi meglio, molto meglio, cambiare la realtà, hai visto mai che la si riesca a conciliare col futuro 🙂
Enjoy.
A leggere quanto sopra, mi viene in mente la scena dell’orologio nel saloon del film di Trinità, in cui Bud Spencer costringe l’oste a tirare indietro l’ora per i propri interessi.
E tutti quelli che entrano adeguano il loro orologio (che segna l’ora giusta) a quello del saloon…….
Finchè la differenza è un’ora o due poco cambia (circa…). Ma poi? Sono proprio curioso di vedere quale sarà il punto di rottura, perchè prima o poi, a furia di forzare i dati reali al modello, essi saranno così distopici dalla realtà “vera” che la bolla scoppierà. Per continuare con l’esempio dell’orologio, si arriverà al punto che mentre il sole starà sorgendo l’orologio indicherà che sono le dieci di sera.
A proposito di orologi le cui lancette vengono spostate a piacere, memorabili le scene di Peppone e Don Camillo durante l’esondazione del Po.
Alla fine del film però sia l’orologio della Casa del Popolo (originariamente regolato sull’ora di Mosca) che quello della chiesa, segnano lo stesso orario: vorrei che il finale del film fosse un auspicio anche per le nostre polemiche.
https://www.youtube.com/watch?v=kfwIVsviRmU
Ciao, Donato.
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