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Un problema di metodo

Che la volontà di raggiungere un accordo post Kyoto che vada oltre le semplici dichiarazioni d’intenti scarseggi lo abbiamo ripetuto fino alla noia. Oggi leggo però questo interessante articolo di Carlo Stagnaro che riprende quanto detto dalle pagine del Financial Times da Nancy Birdsall e Arvind Subramanian, rispettivamente presidente e fellow del Center for Global Development.

Continuare a cercare una soluzione a tutti gli effetti introvabile, attraverso il sistema negoziale sulle emissioni è probabilmente un vicolo cieco. Questo genere di eventi, in cui si fanno grandi proposte e si assicura grande collaborazione ma dove non si firma mai nulla, non darà mai alcun risultato. Piuttosto che sulla necessità di ridurre le emissioni (ammesso che serva a qualcosa) assegnando i compiti a casa a studenti recalcitranti, l’attenzione si dovrebbe concentrare sull’obbiettivo di rendere disponibile la giusta quantità di energia, prodotta secondo le tecnologia più avanzate, a tutti quelli che ne hanno bisogno, garantendo così, magari obliquamente, anche un alleggerimento dell’impronta ambientale delle economie in crescita o a basso livello di sviluppo.

Una proposta semplice e molto ambiziosa allo stesso tempo. Con un difetto di fondo. Un impegno del genere renderebbe del tutto inutile tutto il castello costruito attorno allo scambio di quote di emissione, spazzerebbe via in un solo colpo le prospettive (in molti casi già realtà) di guadagno di molti operatori del settore. In una parola, cancellerebbe il pilastro fondante del Protocollo di Kyoto andando in tutt’altra direzione. In quanti sarebbero disposti a rinunciare al giocattolo? Probabilmente molto pochi.

Qui trovate il documento redatto da Nancy Birdsall e Arvind Subramanian

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