Facendo ancora riferimento all’articolo di Westerhold et al. (2020), discuto qui le loro serie dei rapporti isotopici di ossigeno e carbonio (δ18O e δ13C) e i loro spettri. Per una descrizione accurata del contenuto dell’articolo rimando all’ottimo resoconto dell’amico Donato Barone del quale condivido in toto anche i commenti finali.
Ma prima voglio portare all’attenzione dei lettori un commento di Willis Eschenbach all’articolo, su WUWT (Watts Up With That?) nel quale, ricavate dalla digitalizzazione delle figure, si confrontano la variazione di temperatura e la concentrazione di CO2 su tutti i 67 milioni di anni della serie dell’ossigeno. Lo scopo è quello di verificare se la relazione ΔT=λΔF (dove i Δ sono le variazioni di temperatura T e forzante F e λ è la sensibilità climatica all’equilibrio (ECS) può essere confermata dai dati di Westerhold et al., 2020.
Come si vede, se la relazione (alla base del concetto di riscaldamento globale di origine antropica) è vera, si deve ottenere una retta, di pendenza λ, in un grafico che lega temperatura e logaritmo della concentrazione di CO2.
Dalla sua figura è molto difficile dimostrare una relazione lineare tra le due grandezze; anzi, per lunghi periodi (milioni e decine di milioni di anni) variazioni di CO2 avvengono a temperatura costante o poco variabile, mentre in altri periodi variazioni di temperatura si hanno a ln(CO2) quasi costante.
La serie δ18O (dato di prossimità della temperatura) e quella dellla concentrazione di CO2 dimostrano, ancora una volta, che tra queste due grandezze non esiste una relazione stabile nel tempo e che, a mio parere, una eventuale relazione su periodi brevissimi (come i circa 160 anni che vengono normalmente considerati dall’AGW) non ha alcun significato.
Chiusa questa parentesi, ritorno all’analisi delle serie di Westerhold et al., 2020, che qui ho usato nella forma compatta mostrata in figura 2.
Lo spettro Lomb di queste serie mostra, nel caso dell’ossigeno, un potente massimo di periodo circa 31 milioni di anni e picchi minori a ~10 e ~6 Myr; nel caso del carbonio due picchi, a ~40 e ~22 Myr, accompagnati da tre massimi più deboli, e una struttura più articolata rispetto all’ossigeno.
Di questi massimi non avevo mai sentito parlare, ma la loro potenza è tale da avermi costretto a fare ricerche. Ho trovato bibliografia un po’ datata (anni ’80, e precedenti, del secolo scorso) ma ben strutturata e in grado di fornire spiegazioni geologiche di questo picco spettrale e di molti altri che in queste serie non si vedono: la tettonica, la formazione di rift sul fondo degli oceani (in particolare quello artico che è l’argomento di uno degli articoli) e la conseguente modifica della circolazione oceanica mostrano oscillazioni di periodo molto vicino a 30 Myr (e, come ho detto, sono presenti anche altri periodi) alle quali, ad esempio, Fischer (1982) associa lo sviluppo negli oceani (lui lo chiama “bloom”, fioritura), in fasi successive, di grandi predatori (più lunghi di 10 metri) che elenca per nome nel suo lavoro: dall’Ittiosauro del Medio Triassico; alla balena del Miocene, il Basilosauro; allo squalo del Mio-Pliocene, il Carcarodonte megalodonte.
Al massimo spettrale a ~30 Myr hanno fatto riferimento, anche Johnson & Rich (1986) che citano Fischer:
If medial times are assigned to those in Table I then the volcanic activity peaks for the Cenozoic-Mesozoic is 27 my, which is remarkably consistent with the approximate 30 my cycle predicted by Fischer (1982).
Lo stesso Fischer (1982) scrive:
Fischer and Arthur (1977) suggested that the Mesozoic-Cenozoic part of Earth history is logically subdivided not into four periods as currently practiced but into seven, with a mean duration of 32 m.y., corresponding essentially to Grabau’s (1940) seven pulses: the Triassic, Liassic, “Jurassic”, Comanchean, Gulfian or “Cretaceous,” Paleogene, and Neogene. Each of these corresponds to an expansion of organic diversity in the pelagic marine realm (development of polytaxy) followed by a decline to an “oligotaxic” state.
E poi aggiunge:
This pattern appears in global counts of coexisting genera and species as well as in the structure of marine communities,…
Non commento queste frasi o le teorie della fioritura: non ho conoscenze dirette e soprattutto non ho seguito la loro evoluzione negli ultimi 40 anni; mi limito a segnalare la già nota presenza di un un ciclo di 30 Myr che nello spettro dei dati di Westerhold et al. (2020) assume una potenza tale da rendere trascurabili i cicli di Milankovic che pure sono legati a cambiamenti climatici poderosi come l’alternanza di periodi glaciali e interglaciali.
Questi cicli però, malgrado siano di potenza minuscola, esistono nello spettro del rapporto isotopico dell’ossigeno e sono ben visibili quando la scala del grafico è opportunamente tarata:
Qui si osserva la presenza di un massimo a 130 Kyr che io non sono in grado di associare a fenomeni fisici, ma per il resto si identificano i massimi spettrali legati ai cicli di Milankovic, anche il potente 20 Kyr che attribuisco alla precessione, dato il suo periodo compreso tra 19 e 24 Kyr (Scafetta et al., 2020). Il debole massimo a 23.8 Kyr (all’altro estremo dell’intervallo di variabilità della precessione) è probabilmente trascurabile in questo contesto.
Dallo spettro del carbonio ho ricavato i suoi grafici a maggiore risoluzione, l’equivalente di figura 4: l’aspetto non è dissimile dallo spettro dell’ossigeno e cambiano solo le potenze. Per questo ho pensato di non appesantire ulteriormente il post e rendere disponibili i grafici del carbonio solo nel sito di supporto.
Lo spettro wavelet
Ho calcolato anche gli spettri wavelet che riporto in figura 5, con una avvertenza: i dati di Westerhold et al. sono disponibili con due passi distinti, cioè 2 Kyr tra 0 e 34 milioni di anni fa e 5 Kyr tra 34 e 67 milini di anni fa. Questo implica il fatto che lo spettro deve essere calcolato per le due parti distinte, ovvero che l’unico spettro deve contenere sull’asse x (epoca in Ma) due scale distinte.
Ho scelto la prima soluzione e quindi in figura 5 mostro lo spettro per le due parti separate, calcolato con il programma PAST.
Si vede bene che i cicli orbitali lasciano un segnale intermittente che cambia nel corso del tempo, come se in qualche modo fossero cambiate le condizioni dell’orbita terrestre durante il cammino che il Sole ha compiuto attraverso la Galassia: ad esempio è stato ipotizzato un cambiamento quando il Sole ha attraversato i bracci a spirale della Galassia cioè zone a densità di materia superiore rispetto alle zone intra bracci. È però necessario sottolineare che questi massimi spettrali sono tutti molto deboli, al di sotto del livello di confidenza del 95%, e perciò esclusi generalmente da ogni analisi spettrale: in tali condizioni anche piccole fluttuazioni di potenza possono trasformare un segnale continuo in uno intermittente.
Le estinzioni di massa
Una serie che richiama la presenza di un massimo spettrale a 30 Myr è quella delle estinzioni di massa, pubblicata da Raup e Sepkoski nel 1984: sono riportate le estinzioni di massa (v. ad esempio Wikipedia), in percentuale di estinzione, rispetto ai milioni di anni fa. Ho digitalizzato questa serie e ho calcolato lo spettro.
Il massimo di periodo oltre 200 milioni di anni, paragonabile all’estensione della serie, credo debba essere considerato con cautela; il massimo a 30 Myr appare netto e confermato dalle considerazioni di Fischer (1982) e dai dati di Westerhold et al. (2020). Raup e Sepkoski puntano decisamente sul vicino picco a 26 Myr e trascurano quello a 30 Myr, giustificando l’esclusione con:
However, though promising, the second peak (a 30 Myr, n.d.a.) in the power spectrum should not be taken as proof of a persistent periodicity. It can be argued that the necessary minimal spacing of 12 x 10^6 years between observed extinction peaks can make random (Poisson) data appear periodic to Fourier analysis.” anche se nelle conclusioni affermano: “The cycle at 30 ma may be real but cannot be confirmed with the present time series.
Commenti conclusivi
- Confermo quanto ho scritto nel post precedente: i dati sono corretti e le necessarie operazioni di raccordo tra i differenti dataset non hanno impedito di osservare caratteristiche note e meno note, derivabili da un insieme omogeneo di dati invece che da molti dataset frammentati. E questo è un aspetto positivo.
- Questa analisi mi ha permesso di mettere nella giusta prospettiva la potenza dei fenomeni geologici rispetto a quelli astronomici, su tempi scala di milioni e migliaia di anni rispettivamente, anche se, ad esempio, il passaggio del Sole attraverso i bracci a spirale della Via Lattea ha periodi stimati di circa 100 milioni di anni e conseguenze dovute all’attraversamento di zone a densità molto diverse.
- Il ciclo di 30 Myr sembra confermato da analisi distinte e indipendenti. La sua attribuzione ad una specifica causa (geologica o astronomica) è più articolata e a mio parere deve ancora essere definita.
- I cicli di Milankovic risultano sorprendentemente (per me) deboli rispetto ad altri cicli, in particolare quello a 30 Myr, pur essendo in grado di condizionare in modo importante il clima terrestre.
- Nell’altro post su questo lavoro avevo attribuito alla sola stampa una visione catastrofista; in realtà gli autori si riferiscono ad un’evoluzione tragica (… will be moved abruptly from the Icehouse into the Warmhouse or even Hothouse climate state.) definita da RCP8.5 e per questo devono essere anch’essi criticati. Considerare questo aspetto come il necessario contributo “alla causa” mi sembra riduttivo e penso che gli autori siano convinti dell’estensione modellistica dei loro risultati descritta nell’articolo.
Bibliografia
- Fisher A.G.: Long-Term Climatic Oscillations Recorded in Stratigraphy, in: Climate in Earth History, National Acad. Press., 97-104, 1982
- Johnson G.L., Rich J.E.: A 30 million year cycle in arctic volcanism?, Journal of Geodynamics, 6, 111-116, 1986. https://doi.org/10.1016/0264-3707(86)90035-9
- D.M. Raup, J.J. Sepkoski Jr: Periodicity of extinctions in the geologic past , PNAS, 81, 801-805, 1984. https://doi.org/10.1073/pnas.81.3.801
- Nicola Scafetta, Franco Milani, Antonio Bianchini: A 60-year cycle in the Meteorite fall frequency suggests a possible interplanetary dust forcing of the Earth’s climate driven by planetary oscillations, Geophis. Res. Lett., 2020. https://doi.org/10.1029/2020GL089954
- Thomas Westerhold, Norbert Marwan, Anna Joy Drury, Diederik Liebrand, Claudia Agnini,Eleni Anagnostou, James S. K. Barnet, Steven M. Bohaty, David De Vleeschouwer, Fabio Florind, Thomas Frederichs, David A. Hodell, Ann E. Holbourn, Dick Kroon, Vittoria Lauretano, Kate Littler, Lucas J. Lourens, Mitchell Lyle, Heiko Pälike, Ursula Röhl, Jun Tian, Roy H. Wilkens, Paul A. Wilson, James C. Zachos: An astronomically dated record of Earth’s climate and its predictability over the last 66 million years , Science, 369, 1383-1387, 2020. https://doi.org/10.1126/science.aba6853. S.M.
- https://wattsupwiththat.com/2020/09/15/cooling-the-hothouse/ (Post di Willis Eschenbach)
Tutti i dati e i grafici sono disponibi nel sito di supporto
grazie per le osservazioni sull’articolo.
Da geologo non mi sorprende invece vedere che la riorganizzazione della posizione dei continenti dovuta allo spostamento delle placche abbia una forza maggiore dei cicli di milankovich.
Questi movimenti hanno il “potere” di determinare pattern di circolazione profondi differenti e sono questi, stando alle ricerche attuali che trasformano piccoli cambiamenti nell’insolazione in grossi mutamenti nei volumi dei ghiacci. Basti pensare che fino a circa 2.5 Ma nord e sud america erano divisi fra di loro e atlantico e pacifico connessi fra di loro per cui la circolazione termoalina, la corrente del golfo e tante altre correnti superficiali e profonde avevano differenze rispetto all’attuale.
L’eccentricità è forse un parametro poco noto, ha vari periodi uno di 100-120 Kyr, poi 400 ma anche 1.2 Myr. È molto utilizzato in geologia per datare i sedimenti perché spesso è facile da individuare.
Infine, bisogna notare che a seconda del pattern di circolazione e dei bacini considerati diversi cicli milankoviani sono presenti nel record sedimentario. Nel Mediterraneo, mare chiuso delle medie latitudini, tipicamente è la precessione che lascia il segnale più forte. Durante il Miocene Superiore e il Pliocene i cicli glaciali/interglaciali sono forzati dall’obliquità e, a volte dalla precessione, durante i massimi di eccentricità. Solo recentemente l’eccentricità è diventata importante per l’alternarsi di glaciale e interglaciale, ma sappiamo che esistono fasi climatiche calde e fredde a più alta frequenza.
Appunto: come scrivevo nella risposta a Donato, la mia meraviglia dipende solo da ignoranza; i geologi come lei non sono affatto meravigliati perché sanno come funzionano le cose. Il suo commento, che ho molto apprezzato, accende dei “punti luce” in un mondo (il mio) nero o almeno grigio scuro e rende chiaro il complesso delle forze tettoniche.
Non avevo mai sentito della ciclicità a 1.2 Myr da aggiungere ai 100 e 400 Kyr dell’eccentricità; ho provato a verificare nei miei spettri ma così su due piedi non ho trovato un grafico che lo illustrasse, anche se nei valori numerici ho effettivamente visto un massimo secondario a 1.2 Myr, in una parte dello spettro che non ho plottato. Grazie per questa informazione e per le molte notizie di cui farò tesoro alla prima occasione. Franco
Solo dopo aver postato il commento all’articolo di F. Zavatti, scorrendo la pagina, l’occhio è caduto su uno dei grafici in cui spicca il ciclo astronomico di 405000 anni legato alla variazione di eccentricità dell’orbita terrestre ed indagato qualche anno fa in un articolo:
Empirical evidence for stability of the 405-kiloyear Jupiter–Venus eccentricity cycle over hundreds of millions of years
di D. V. Kent e colleghi – PNAS 2018
di cui mi occupai un paio di anni addietro:
http://www.climatemonitor.it/?p=48399
Ciao, Donato.
Caro Franco,
il tuo articolo conferma in toto il mio giudizio su Westerhold et al., 2020: un ottimo lavoro rovinato dalla smania, di voler confermare con dati storici la “profezia” del futuro disastro climatico CO2 dipendente.
Nonostante tutto è encomiabile lo sforzo di unificazione dei registri di dati disponibili in un unico dataset.
Ciò ha consentito, grazie al tuo lavoro di ricerca e rianalisi dei dati, di individuare le sorprendenti regolarità di cui parli nell’articolo.
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La debolezza della potenza dei cicli astronomici rispetto a quelli geologici è una sorpresa non solo per te, ma anche per me. Tale debolezza dimostra che il sistema climatico, da buon sistema dinamico non lineare caotico, è molto sensibile alle forzanti esogene, ma, d’altro canto, evidenzia in modo ancora più evidente la presenza di attrattori endogeni che tendono a stabilizzarlo nello spazio delle fasi.
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La potenza delle forzanti geologiche è tale, infatti, da “costringere” a piegarsi alla loro influenza, forzanti in grado di innescare processi climatici globali come le glaciazioni e gli interglaciali. Sulla base dei tuoi risultati trovo ancora più convincente quanto scrivevano Tzedakis e colleghi nell’ormai lontano 2012: il sistema climatico terrestre non è governato da un unico parametro, ma da molteplici parametri esogeni ed endogeni che esercitano la loro influenza in modo del tutto casuale. Quando gli effetti congiunti di tali forzanti climatiche sono in fase, otteniamo i cambiamenti climatici globali. Tali cambiamenti possono virare verso il caldo, verso il freddo, verso il secco, verso l’umido o situazioni intermedie, a seconda della maggiore o minore concordanza di fase delle forzanti endogene ed esogene.
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Dopo di che diviene ancora più imbarazzante l’idea che solo la CO2 sia il driver che determina i cambiamenti climatici, eppure, oggi, questo approccio riduzionista alla questione è quello che va per la maggiore: rappresenta la linea di pensiero principale in ambito scientifico, sociale, politico ed economico.
Sembra impossibile, ma è così.
Ciao, Donato.
Caro Donato,
i dati di Westerhold sono buoni: ormai questa affermazione la possiamo incidere nel marmo dell’eternità (o giù di lì …). La potenza dei cicli geologici che mi è capitata addosso “a mia insaputa”, nel senso che non mi aspettavo questa possibilità, dipende solo dalla mia ignoranza in geologia: sono sicuro che i geologi sanno perfettamente (e sapevano anche prima) cosa attendersi dalla Terra fluida e solida. Comunque, fra me e me, sono contento di averlo capito, anche se per strane vie traverse.
C’è un’altra cosa , che nel post non ho sottolineato troppo bene, che mi dà soddisfazione: nel contesto dei dati di Westerhold i picchi di Milankovich sono, come ho scritto nella risposta a Luca Rocca, minuscoli, ma quando si usa la scala opportuna, appaiono netti e definiti benissimo. Questo significa che i continui filtraggi applicati ai dati prima di calcolare gli spettri e l’uso, corredato da granitiche certezze, dei livelli di confidenza con lo scopo di mantenere solo i massimi “significativi” ed eliminare il “rumore” (che poi rumore non è, ma segnale), queste pratiche, dicevo, sono da considerare con molta cautela. Io ho sempre usato i dati originali (uso i filtri solo per motivi estetici, sovrapposti ai dati veri, e mai nei conti) e più passa il tempo più sono convinto della bontà della mia scelta.
“… imbarazzante l’idea che solo la CO2 sia il driver…”
Non so perché, ma mi sembra di essere a mezzanotte e di fronte a una persona che dichiara con forza che è mezzogiorno: oltre ad invitarlo a guardarsi intorno, non so proprio cosa dire per convincerlo e questo, certo, mi imbarazza. Ma il problema è che lui, essendo convinto, non è affatto imbarazzato e mi dice che sono cieco, sordo e muto e oltretutto di scarso comprendonio…
Ciao. Franco
PS: avevo dimenticato il tuo post del 2018 sul massimo a 405 mila anni trovato da Kent e colleghi. L’ho riletto insieme ai commenti prima di scrivere. Tutto molto interessante e rileggerò l’articolo di Kent. Grazie per averlo ricordato. F
Sono noti gli avvenimenti vulcanici sufficientemente grandi da influenzare la percentuale di CO2 nell’ atmosfera. Dalla formazione dei grandi trappi vulcanici: Dacca, Islanda Siberia alle eruzioni classificate come super vulcaniche .
con una rapida ricerca in rete ho trovato questa pagina di wikipedia. Penso le possano essere utili perché essendo eventi casuali possono mascherare la presenza di eventi periodici
https://en.wikipedia.org/wiki/Supervolcano
Grazie per il link ma non mi è chiaro in che modo io possa legare l’esplosione dei super vulcani al grafico del rapporto isotopico del Carbonio e in generale agli spettri dei rapporti isotopici. Capisco che eventi casuali possano mascherare eventi periodici, se avvengono a ritmi elevati che simulino qualche periodicità, ma un solo evento casuale ogni tanto non dovrebbe essere in grado di modificare il rapporto isotopico. Osservando la
lista dei super vulcani al suo link, noto un ritmo, all’incirca di 2-4 milioni di anni, con un salto, tra il secondo vulcano della lista (~28 milioni di anni fa=Ma) e il più antico dei successivi (6 Ma), di circa 22 milioni di anni.
Negli spettri, sia dell’Ossigeno che del Carbonio, non vedo massimi a 2-4 Myr e i (microscopici) picchi relativi ai cicli di Milankovic (gli unici che potrebbero legarsi ai ritmi di cui sopra) sono definiti troppo bene per poter essere considerati una coincidenza multipla dovuta a fattori diversi.
Anche le estinzioni di massa (eventualmente innescate da una super-eruzione) hanno lo stesso problema dei rapporti isotopici: i picchi spettrali a 20-30 Myr non possono essere generati da due eventi unici che distano ~20-30 milioni di anni. In questo caso, però, esistono massimi a 2-3 Myr che potrebbero derivare dal ritmo delle super eruzioni che ho elencato sopra.
Una terza possibilità, tutt’altro che remota, è che io non abbia capito a cosa si riferisce il suo commento. Se è così, per favore, mi aiuti a capire.
In ogni caso, e al di fuori da ogni considerazione, ho molto apprezzato il suo intervento che mi ha costretto a rivedere il post alla luce di questo aspetto dei super vulcani che non avevo minimamente preso in esame, e pensare fa sempre bene. Grazie ancora. Franco
Avevo letto in un articolo che il il 13C era usato come indicatore della profondità del magma nei vulcani e che arrivava a percentuali fra lo 0,05% e lo 0,1% del CO2 emesso Mi sembravano percentuali sufficienti per creare un picco di 13C tale da influenzare le sue misure per questo mi ero permesso di suggerire di controllare se creavano un dato spurio che evidentemente non c’era.
Grazie a lei arrivederci