Che gli uragani, per definizione gli eventi atmosferici più intensi, siano vivaci è un eufemismo. Che lo siano i revisori di una rivista come Nature è, invece, molto grave.
Andiamo con ordine. Qualche giorno fa, compare appunto su Nature un articolo, l’ennesimo, in cui si cerca di trovare qualche segnale di climate change nelle dinamiche degli uragani. Una ricerca che sin qui ha visto fiorire innumerevoli tentativi, da cui però non sono nati frutti. Per esempio, non ci è riuscito l’IPCC, che mettendoli tutti assieme continua a prevedere che prima o poi arriveranno ma è costretto ad ammettere che sin qui non ce ne sono. Però, siamo verso la fine di una stagione degli uragani decisamente attiva, per cui non si può perdere l’occasione di far uscire un paper che qualche segnale dice di averlo trovato. E non è cosa da poco:
Slower decay of landfalling hurricanes in a warming world, di Lin Li & Pinaki Chakraborty.
In pratica, il riscaldamento degli oceani metterebbe a disposizione più energia, quindi gli uragani, che normalmente sono soggetti a rapida attenuazione non appena toccano la terraferma, avrebbero invece la tendenza a conservare quell’energia più a lungo e quindi a restare intensi più a lungo.
Come sono giunti a questa conclusione gli autori del paper? Hanno studiato evento per evento la fonte di energia, il mare, trovando che questa era sempre superiore alle attese? Hanno misurato quell’energia dopo e durante l’ingresso sulla terraferma degli uragani? Niente di tutto questo a quanto pare. Sono andati semplicemente a vedere per quante ore, dopo il landfall, gli uragani restavano tali, prima cioè di tornare ai gradini più bassi della scala di riferimento di questi eventi.
Ora, gli uragani sono macchine termiche quasi perfette che si rompono proprio quando arrivano sulla terraferma. Esattamente come l’intensificazione, la fase di attenuazione è dovuta essenzialmente alle condizioni al contorno. Viene meno il contributo di calore fornito dall’acqua e c’è invece l’attrito, che impedisce che possa essere mantenuta una certa intensità. Questo significa però che perché ci sia l’attenuazione devono restare sulla terraferma, non sfiorarla appena o tornare sul mare dopo un fugace landfall, come accaduto per molte (quasi tutte) le tempeste che nel database di eventi raccolto dagli autori hanno fatto registrare un numero molto alto di ore di persistenza delle condizioni da uragano.
Togliendo dal DB tutti gli eventi che, di fatto, non sono rimasti sulla terraferma subito dopo averla toccata e sono quindi tornati sul mare ricevendo nuova energia, magicamente scompare il trend preoccupante che gli autori hanno messo in evidenza e su cui si sono buttati a pesce i soliti noti media, WP, CNN e NYT prima di tutti.
Questa operazione l’ha fatta Ryan Maue, uno dei massimi esperti di uragani e in questo TD su Twitter ci sono tutte le immagini dei percorsi degli eventi che gli autori si sono “dimenticati” di escludere e che i loro revisori, pigramente, hanno fatto finta di non vedere.
Qualche giorno fa, sempre qui su CM si è sviluppato un dibattito in cui si è parlato anche della rapidità con cui a volte i lavori passano il processo di referaggio. Non è questo il caso, perché gli autori hanno presentato il paper a gennaio ed è stato accettato a settembre. Nove mesi sono un bel po’, deve essere stato un lavoro pesante e articolato, per cui, come suggerisce giustamente Roger Pielke Sr, sarebbe proprio il caso di vederle quelle revisioni, per capire come mai, con tanto tempo e tanto lavoro, non si siano accorti dell’errore madornale compiuto in questo paper: andare a misurare i tempi di decadimento sulla terraferma di eventi che non erano sulla terraferma e che, a tutti gli effetti, sono gli unici a sostenere le loro conclusioni.
Come finirà? Come sempre. Il paper resterà lì, altri lo citeranno e, nel tempo, le loro conclusioni false diverranno vere.
Enjoy.
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Peer review information Nature thanks Daniel Chavas and the other, anonymous, reviewer(s) for their contribution to the peer review of this work.
”
Sarebbe un bel passo in avanti se venissero rifiutate la peer review anonime…
“Lo stato della scienza nel mondo 2018 – Una scienza da riparare” da Le Scienze Dic. 2018, in cui John P. A. Ioannidis descrive 10 punti critici, in breve:
1) si finanziano pochi scienziati;
2) non si premia la trasparenza;
3) non si incoraggia la riproduzione dei risultati;
4) non si finanziano ricercatori giovani;
5) alcune fonti dei finanziamenti non sono imparziali;
6) si finanziano i campi sbagliati (l’ambientalismo e la sciocchezza della lotta ai cambiamenti climatici aggiungo io);
7) non si spende abbastanza;
8) si premia chi spende molto;
9) non si finanziano idee ad alto rischio;
10) mancano dati affidabili.
Roberto Defez traccia la situazione italiana (ancora più imbarazzante):
1) i finanziamenti vanno sempre a pochi scienziati tra loro ben connessi;
2) la trasparenza e la riproducibilità dei risultati non viene premiata;
3) non si aiuta chi deve verificare esperimenti già pubblicati;
4) non finanziamo abbastanza i giovani;
5) troppi finanziamenti privati che distorcono l’oggettività della scienza;
6) finanziamo sempre le stesse tematiche (l’ambientalismo e la sciocchezza della lotta ai cambiamenti climatici aggiungo io);
7) non investiamo abbastanza;
8) premiamo chi spende troppo e male;
9) non finanziamo idee ambiziose od innovative;
10) mancano metanalisi che provino la validità delle scelte strategiche.
La revisione tra pari non è certificazione di correttezza al 100%.
la scienza odierna è malata di pubblicazionite.
Ciao
È ormai da tanti anni che frequento questo sito ma mi sono sempre astenuto dal commentare; da un lato perché normalmente apro il sito una volta al mese e mi faccio una scorpacciata di tutti gli articoli in un colpo solo (come ho fatto in questa mattinata), dall’altro perché non si tratta del mio campo di studi e contando il fatto che ho iniziato a leggere i vostri articoli quando andavo al liceo, mi sarei sentito come un bambino che prova a discutere “coi grandi”.
Ci tengo a farvi i complimenti perché a differenza di quello che spesso, purtroppo, è il “non mainstream”, questo sito mi è sempre sembrato un luogo con persone serie, competenti e soprattutto intellettualmente oneste.
Parlando adesso dell’articolo, mi sono chiesto cosa uscirebbe se si correggesse il grafico , al posto che togliendo quei casi in cui l’uragano è tornato sull’oceano, aggiungendo i casi simili (se ce ne sono stati) del periodo 1965-1998. Si avrebbe comunque una tau neutra? Non sono sicuro di cosa potrebbe dimostrare un grafico fatto in questo modo, però (ricordo che sono un profano in questa materia!) ho l’impressione che si potrebbero tirare comunque fuori conclusioni interessanti, come minimo si baserebbe su una serie di dati coerenti.
Saluti!
A.
Ciao,
grazie per le parole di apprezzamento. Circa i grafici e i dati, sul TD di Maue è chiarito che i dati del paper di Nature sono liberamente accessibili. Ho letto un suggerimento simile al tuo bei commenti al TD.
Ma il tema non è questo credo. Il problema è buttare a mare quanto si sa già bene (calore, attrito) per suggerire effetti aggravati dal climate change, cercando trend dove non ce ne sono.
gg