Distorcendo i dati si terrorizza la popolazione mondiale, proprio come profetizzato nel romanzo di Michael Crichton “Stato di paura”
di Gianluca Alimonti e Luigi Mariani
Premessa
Il 13 ottobre, in occasione della Giornata internazionale per la riduzione del rischio di catastrofi, è uscito il report ONU “Human cost of disasters – An overview of the last 20 years 2000-2019”, fondato su dati che provengono dal dataset EM-DAT del CRED (Center for Research on the Epidemiology of Disasters) dell’Università cattolica di Lovanio in Belgio. Per far comprendere al lettore il tono del messaggio che l’ONU ricava dall’analisi condotta, riportiamo qui di seguito la traduzione in lingua italiana dell’introduzione, firmata dagli autori Mami Mizutori (Special Representative of the Secretary-General for Disaster Risk Reduction and Head of the UN Office for Disaster Risk Reduction) e Debarati Guha-Sapir – Professor, Centre for Research on the Epidemiology of Disasters, Institute of Health and Society, UCLouvain, Belgium).
“Nei primi vent’anni da questo nuovo secolo il rischio di disastri ha assunto nuove modalità e dimensioni a ogni anno che passa. I disastri non hanno atteso il proprio turno e un rischio crescente è ad essi interconnesso. I fattori di rischio e le conseguenze si stanno moltiplicando con un effetto a cascata che li interconnette in modi imprevedibili. Dobbiamo disporre di strategie nazionali e locali per la riduzione del rischio di catastrofi che siano adeguate allo scopo. L’impegno politico, le strategie e la pianificazione degli scenari non sono mai stati così importanti come oggi per la gestione del rischio di catastrofi.
Anche se questo rapporto si concentra principalmente sull’incredibile aumento dei disastri legati al clima negli ultimi vent’anni, si propone altresì di stimolare il rafforzamento della governance del rischio di catastrofi per l’intera gamma di disastri naturali e antropici, inclusi quelli ambientali e tecnologici e biologici.
Nel breve termine, le agenzie di gestione dei disastri sono riuscite a salvare molte vite attraverso una sempre più elevata preparazione e dedizione del personale e dei volontari. Tuttavia la probabilità di disastri continua a crescere e ciò in particolare per effetto delle nazioni industriali che stanno fallendo miseramente nella riduzione della serra emissioni di gas a livelli commisurati all’obiettivo desiderato di mantenere il riscaldamento globale a 1,5 ° C come stabilito nell’accordo di Parigi.
Allo stesso tempo, quasi tutte le nazioni non sono riuscite a prepararsi adeguatamente per prevenire l’ondata di morte e malattia scatenata in tutto il mondo dalla pandemia COVID-19 nonostante i molti stimoli a farlo da un pletora di esperti tra cui OMS, UNDRR e altri.
È sconcertante che continuiamo volontariamente e consapevolmente a gettare i semi della nostra stessa distruzione, nonostante la scienza ci stia provando che stiamo trasformando la nostra unica casa in un inferno inabitabile milioni di persone.Occorre una vera governance se vogliamo liberare questo pianeta dal flagello della povertà, dall’ulteriore perdita di specie e di biodiversità, dall’esplosione del rischio urbano e dalle peggiori conseguenze del riscaldamento globale.
La Giornata internazionale per la riduzione del rischio di catastrofi di quest’anno, il 13 ottobre, è interamente incentrata sulla governance del rischio ed occorre dare un particolare risalto alle parole del Segretario generale delle Nazioni Unite: “Se non cambiamo rotta entro il 2020, rischiamo di superare il limite oltre il quale non potremo più evitare il cambiamento climatico incontrollato, con conseguenze disastrose per le persone e tutti i sistemi naturali che ci sostengono”. Deve arrivare un cambiamento. Ci auguriamo che questo rapporto aggiunga peso all’argomento a favore dell’azione sul clima e il rafforzamento generale della governance del rischio di catastrofi.”
Tale introduzione è stata abbondantemente ripresa dalla stampa e dai media che hanno sottolineato il fatto che i disastri naturali sono praticamente raddoppiati nel 2000-2019 rispetto al 1980-1999, fatto evidenziato nella figura 1 del report. Ma se questo è vero sul piano meramente numerico proviamo a ragionare un poco più a fondo sulle serie storiche per vedere se l’allarme lanciato dall’ONU abbia o meno fondamento.
Una analisi dei dati presentati nel report ONU
La tabella 1 riporta in azzurro i dati riportati nella figura 1 del rapporto ONU e in nero le nostre elaborazioni.
Anzitutto è chiaro a tutti che le perdite economiche debbono essere normalizzate: se infatti vi è più ricchezza le perdite sono maggiori. In tal senso si è utilizzato il prodotto lordo dell’economia mondiale espresso in trilioni di US$ (fonte: World GDP over the last two millennia ). La media del periodo 2000-2019 è praticamente raddoppiata rispetto a quella del 1981-1999, passando da 46.9 a 93.3 trilioni (+99%), per cui le perdite economiche normalizzate al periodo 1981-1999 si sono ridotte del 9%.
Analogamente si può procedere con la popolazione mondiale, che nel ventennio 2000-2019 risulta mediamente di 6,9 miliardi contro i 5,5 miliardi del ventennio 1981-1999. Le perdite di vite umane normalizzate al periodo 1981-1999 si sono ridotte del 25% e le persone colpite si sono ridotte dell’1%.
A questo punto passiamo ad analizzare il numero di disastri naturali. Al riguardo la figura 1 è più che mai eloquente, in quanto ci indica che i disastri naturali salgono fino a metà anni 90 e poi diventano stazionari o appaiono in lieve calo. La crescita registrata fino agli anni ’90 dipende a nostro avviso da:
- maggiori capacità di monitoraggio (una volta molti fenomeni accadevano senza che ce ne accorgessimo mentre oggi con satelliti, cellulari, ecc. si documenta assai meglio il tutto). Tale problematica è peraltro da tempo nota agli esperti, come chiaramente evidenziato dal giornalista scientifico Andrew C. Revkin in un post del 2009 (https://dotearth.blogs.nytimes.com/2009/02/23/gore-pulls-slide-of-disaster-trends/)
- aumento della popolazione e dei beni esposti, non solo perché determina la necessità di rinormalizzare i danni umani ed economici, come dianzi fatto, ma perché spinge ad incrementare ulteriormente il numero di disastri segnalati (se un’alluvione ha luogo in una landa totalmente disabitata è altamente improbabile che la stessa venga segnalata).
L’attuale fase di decrescita nel numero di eventi estremi
Veniamo infine ad analizzare la decrescita in atto da fine anni 90 ad oggi. Per fare ciò sono stati considerati i dati sui disastri totali presentati nel diagramma in figura 5 del report ONU e li si è analizzati applicando il test di Mann Kendall del software Makesens. Il risultato è che, nonostante le maggiori capacità di monitoraggio e la maggior quantità di beni esposti, il trend è negativo con un confidenza del 99%.
Conclusioni
In sintesi dunque il periodo 2000-2020 mostra il calo dei disastri naturali, delle perdite di vite umane e dei danni economici mentre il messaggio che è stato diramato coram populo dal’ONU è stato di segno totalmente opposto. Possibile che si stia manifestando quanto descritto nel romanzo di fantascienza “Stato di paura” di Michael Crichton? Concludiamo rilevando che il significativo calo nel numero dei disastri naturali attesta a nostro avviso il fatto che il clima non sia affatto impazzito e che al contempo le attività di prevenzione stanno dando frutti importanti.
[…] Vedi articolo […]
Ancora una volta devo ringraziare il team di Climatemonitor – siete veramente straordinari nell’offrire un’altra pagina di buon senso, ancorata all’analisi dei dati disponibili.
Sul perché avvenga tutta questa distorsione, il libro “Stato di paura” offre una visione complottistica che, almeno, presuppone dell’intelligenza sottostante.
Magari fosse così… io temo il peggio, che si tratti purtroppo di un coro di benintenzionate persone promosse al disopra del loro livello, dove i pochi capaci hanno imparato a nascondersi, per non incorrere nell’ostracismo dei mediocri.
With such friends, who needs enemies…
Penso che coesistano due aspetti: il complottista, che ha una spiccata connotazione di esperimento sociale in cui si sfruttano le crisi (sanitaria, climatica, economica…) per ottenere un diverso equilibrio e un controllo delle risorse fornendo alla base elettorale le spinte emotive giuste. E quello della sinergia spontanea che tende a raggruppare persone e poteri col collante del mantenimento/miglioramento del proprio status a scapito degli altri .
In ogni caso i meccanismi evolutivi porteranno alla sopravvivenza dei più adatti, che però non sono necessariamente l migliori.
Leggendo l’ottimo articolo di Alimonti e Mariani e l’intervento di Donato Barone mi è tornata in mente questa dichiarazione che Herman Goring di fece al tribunale di Norimberga circa 75 anni fa. Gli venne chiesto: “Come avete convinto il popolo tedesco ad accettare tutto questo? Lui rispose: ” E’ stato facile, non ha nulla a che fare con il nazismo, ha a che fare con la natura umana. Lo puoi fare in un regime nazista, socialista, comunista in una monarchia e anche in una democrazia. L’unica cosa che si deve fare per rendere schiave le persone è impaurirle. Se riuscite ad immaginare un modo per impaurire le persone, già rese ignoranti in base a politiche passate contro l’istruzione, così potrete fargli fare quello che volete”.
Uberto Crescenti
Conoscevo la citazione di Goring in forma diversa e riferito alla guerra:
“Oh, tutto questo è bellissimo, ma, che abbia o meno diritto a dire la propria, la gente può sempre essere trascinata dai propri leader. È facile. Tutto quello che c’è da fare è dire alla gente che sta per essere attaccata, denunciare i pacifisti per mancanza di patriottismo e perché mettono in pericolo il Paese. Funziona allo stesso modo in ogni Paese”
da “Nuremberg Diary” – G. M. Gilbert
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La sostanza non cambia, però, basta sostituire alcune parole (“scettici”, meglio negazionisti, al posto di pacifisti, “futuro delle nuove generazioni” in luogo di “patriottismo”, “pianeta” al posto di “Paese” e “cambiamento climatico di origine antropica” al posto di nemico, attaccanti et similia) 🙂 ed i giochi sono fatti.
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Con questo non voglio assolutamente parlare di complottismo: lungi da me. Si tratta di meccanismi psicologici collaudati e rodati nel corso di decine di migliaia di anni, per cui sono diventati automatici e ad essi si fa ricorso appena se ne presenta l’occasione, senza nemmeno accorgersene.
Lo faccio anch’io quando qualcuno mi chiede di fare qualcosa che va oltre la legge: io rischio multe e di essere escluso dall’esercizio della professione, oltre ad un processo penale e tu di perdere i soldi ottenuti a seguito della mia azione. Funziona sempre. Non funziona, invece, se dico che andiamo a finire tutti in galera: non ci crede nessuno! 🙂
Lo fanno tutti e da tutte le parti. Senza neanche porsi il problema, in modo automatico ed inconscio, come meccanismo di sopravvivenza innato.
Ciao, Donato.
L’interessantissimo articolo di G. Alimonti e L. Mariani si chiude con una domanda inquietante: “Possibile che si stia manifestando quanto descritto nel romanzo di fantascienza “Stato di paura” di Michael Crichton?”
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E’ su questo quesito che voglio soffermarmi in quanto il resto dell’articolo è di una limpidezza unica, per cui non mi sento di aggiungere nulla se non una considerazione che si collega al quesito con cui si chiude l’articolo: i dati analizzati da Alimonti e Mariani dimostrano che l’unico scopo del report ONU sembrerebbe essere quello di generare il panico, in quanto i dati dimostrano l’esatto contrario.
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Qualche anno fa scrissi un articolo in cui commentavo un articolo pubblicato su “Le Scienze”
http://www.climatemonitor.it/?p=46896
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L’articolo era una lunga intervista ad una ricercatrice che si era riconvertita in attivista climatica. In estrema sintesi, ella proponeva di spostare il dibattito climatico dal livello scientifico al livello psicologico. Secondo lei era inutile continuare a discutere con gli scettici del cambiamento climatico di origine antropica da un punto di vista scientifico, in quanto essi avrebbero sempre trovato il cavillo, per mettere in dubbio la conclusione di un articolo scientifico, di una tesi scientifica, in sostanza di tutto ciò che ha a che fare con la scienza.
Se il discorso si sposta, invece, sul piano psicologico tutto diventa più semplice, in quanto, toccando i tasti giusti, anche lo scettico più inveterato può essere convertito alla causa.
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Negli anni successivi è esploso il fenomeno Greta e I’auspicio della ricercatrice è diventato realtà: il discorso climatico non ha avuto più niente di scientifico e si è spostato tutto sul piano emotivo e, quindi, psicologico. Coloro che non riuscivano a capacitarsi circa la refrattarietà della pubblica opinione alle tematiche “cambioclimatiste di origine antropica”, sono saltati a piè pari sul carro di Greta e hanno cercato di cavalcare l’onda lunga delle proteste giovanili, guidate dall’attivista svedese. Non riuscivano a credere ai loro occhi vedendo milioni di persone in piazza che sostenevano, senza se e senza ma, le loro posizioni. Erano talmente felici e soddisfatti che facevano a gara ad invitare Greta a tutti i loro consessi, incuranti della valanga di insulti di cui li copriva la Thunberg. Anzi, più li insultava e più erano contenti.
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In questo contesto mi colpirono molto le parole di Greta, in una delle innumerevoli interviste rilasciate. Ella si meravigliava del fatto che i decisori politici non avessero paura del cambiamento climatico in corso, perché lei ne era terrorizzata e avrebbe voluto che tutti lo fossero.
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Ecco, in queste poche parole possiamo riassumere tutta la strategia dei comunicatori dell’attivismo climatico odierno: non parlare di aspetti scientifici, di dati e di numeri, ma inculcare il terrore nella gente. Solo in questo modo, sfruttando la parte irrazionale dell’essere umano, essi possono vincere e vincere facile.
La mia risposta alla domanda di G. Alimonti e L. Mariani è, pertanto, sì. Sì, si vuole creare il panico perché solo spostando il discorso sul piano emotivo si riesce a smuovere le masse.
Il grande Bardo lo aveva capito fin dalla fine del 1500:
“Ora fruttifichi questo germe; e tu, sedizione, il secondo, e spiega il tuo volo sanguinoso dove meglio t’aggrada”.
Parole pronunciate da Marco Antonio in fine della seconda scena dell’atto terzo della tragedia “Giulio Cesare” di W. Shakespeare, con riferimento alla plebe inferocita dopo che egli l’aveva arringata nel Foro, per aizzarla contro i congiurati che avevano ucciso Giulio Cesare.
Ciao, Donato.
Caro Donato,
grazie per le tue riflessioni.
In particolare mi ricollego alla tua affermazione “Ecco, in queste poche parole possiamo riassumere tutta la strategia dei comunicatori dell’attivismo climatico odierno: non parlare di aspetti scientifici, di dati e di numeri, ma inculcare il terrore nella gente. Solo in questo modo, sfruttando la parte irrazionale dell’essere umano, essi possono vincere e vincere facile.”
Il professor Zangrillo parlando questa sera al TG5 delle 20 della strategia comunicativa adottata in Italia per CIVID19 ha usato su per giù le tue stesse parole affermando che si sta inculcando il terrore nella gente con conseguente messa in tilt dei pronti soccorsi presi d’assalto da persone che potrebbero benissimo curarsi a casa (cito a memoria).
Peraltro anche per COVID19 da mesi tutte le TV e le radio (es: radio 24) presentano in tono monocorde numeri che non sono dati, nel senso che prescindono totalmente dall’idea di normalizzare i contagi o i decessi in relazione alla popolazione. Ci convinciamo così di essere un paese molto virtuoso (un esempio a livello mondiale…) mentre in realtà la nostra mortalità per milione di abitanti da inizio epidemia è superiore a quella degli USA e di gran lunga superiore a quella dell’India. Ci convinciamo altresì che la Lombardia sia oggi una sorta di lazzaretto a cielo aperto, trascurando il fatto che la regione ha 10,5 milioni di abitanti.
Qualcuno in passato diceva che un menzogna ripetuta centinaia di volte diventa verità: è questa la strategia dei media su cambiamento climatico e COVID19?