Week end di fine estate, non solo per convenzione, perché siamo alla fine del mese di agosto, ma anche perché sta venendo giù la classica perturbazione che rompe gli equilibri della stagione. Inizia, di fatto, lo scambio termico meridiano tipico delle stagioni di transizione, con buona pace del più insulso dei luoghi comuni.
E’ sabato e parliamo di febbre, non quella della sera, di questi tempi meglio evitare, quanto piuttosto di quella del pianeta, come ebbe modo di definire l’aumento delle temperature medie superficiali globali un quanto meno superficiale libro di scuola delle elementari in cui ebbi la sventura di imbattermi diversi anni fa. Tralasciando il fatto non banale che parlare di febbre implica di per se un’accezione negativa – cosa tutta da dimostrare perché è notorio che fa molti più danni il freddo del caldo – va dato atto che la capacità di osservare cosa succede intorno a noi sia migliorata incredibilmente negli ultimi decenni, per cui è assodato che, pur con un certo margine di incertezza che comunque molti preferiscono ignorare, il sistema nel suo complesso sia più caldo oggi di quanto non lo fosse nel recente passato.
La domanda che tutti si pongono da quando è insorta l’isteria climatica è dunque quanto sarà in effetti più caldo in futuro e cosa questo possa comportare in termini climatici. La risposta è, ancora oggi, non lo sappiamo. Sorpresi? Bé, se invece di nutrirci della ingiustificata sicumera di una divulgazione mainstream fossimo più abituati a seguire effettivamente l’evoluzione della conoscenza, non dovremmo essere affatto stupiti. Capita infatti che siano appena stati dati alla stampa due paper decisamente interessanti che affrontano non tanto il tema del riscaldamento per se, quanto della capacità dei modelli di circolazione generale di riprodurlo e, quindi, di simularne il percorso nel futuro.
In entrambi i lavori, concentrati il primo sul profilo verticale delle temperature nell’area dei tropici e il secondo sulle temperature di tutti gli strati troposferici a livello globale, si mette in evidenza un bias (condizionamento, errore…) positivo, quindi caldo, sia nel pacchetto di modelli utilizzati per l’ultimo report IPCC, il 5°, sia per quello con cui si sta scrivendo il prossimo report, i cosiddetti progetti di comparazione CMIP5 e CMIP6. COn una non banale aggravante, anzi due: il problema, noto da tempo e comune a tutti i modelli ed alla loro media, alla faccia della scienza “settled”, non è né affrontato né risolto nell’ultima generazione di modelli, piuttosto si è aggravato; l’errore non è riconducibile ad una inevitabile incertezza, non ci sono bias freddi e bias caldi, c’è solo una generale e accentuata tendenza a simulare un pianeta parecchio più caldo di quel che è. Il paragone, che tecnicamente si definisce hindcast, cioè far lavorare il modello su un set di dati noti, nella fattispecie andare a vedere se riproduce correttamente quanto accaduto sin qui, è abbastanza impietoso. Sia la superficie, che la media che l’alta troposfera mostrano nelle simulazioni un trend delle temperature consistentemente superiore a quello osservato.
Il clima, si dirà, non è solo temperatura. Il clima è distribuzione della massa atmosferica, circolazione dell’aria, trasporto di energia latitudinale e longitudinale e mille, diecimila altre cose. Ma se certamente riferirsi alla sola temperatura superficiale è un grosso errore, trovare un bias positivo generalizzato è un problema enorme, perché dalle temperature lungo la colonna d’aria dipendono tutte quelle mille, diecimila cose.
“Intendiamoci, la simulazione delle dinamiche del pianeta, perché di questo stiamo parlando, è materia di enorme complessità ed è giusto, anzi, necessario, che si provi a farlo con tutte le risorse disponibili e con lo stato dell’arte della conoscenza scientifica”. Così l’autore di uno dei paper di cui stiamo parlando in un’articolo in cui spiega i termini del problema sul blog di Judith Curry. “Ma stiamo tutti vivendo le conseguenze di un’ostinato utilizzo di generazioni e generazioni di modelli che mettono in evidenza un eccessivo riscaldamento sia degli strati superficiali che di quelli superiori, oltre ad essere utilizzati per far funzionare scenari predittivi largamente esagerati”.
A me questa non sembra né una scienza “settled”, né una situazione su cui ha senso poggiare le policy per il futuro, eppure questo è esattamente quello che sta accadendo.
I paper sono qui:
McKitrick and Christy (2020) “Pervasive warming bias in CMIP6 tropospheric layers” Earth and Space Science.
Mitchell et al. (2020) “The vertical profile of recent tropical temperature trends: Persistent model biases in the context of internal variability” Environmental Research Letters.
Enjoy.
Anni or sono, in occasione di un viaggio fato negli Stati Uniti visitai una zona della California, nei pressi dì Mammoth lake, dove a seguito di un terremoto verificatosi alcuni anni prima, si è sprigionato un quantitativo tale di CO2 che gli alberi di quel bosco dopo poco sono morti. La cosa continua tutt’oggi al punto che le autorità del posto sconsiglia vivamente di non campeggiare nonché di fare pic nick .
E’ già deprecabile che la scienza climatica diventi sospettabile di produrre risultati inquinati da direttive politiche – per giustificare cosi misure coercitive altrimenti improponibili.
Ma questo sospetto crea un danno molto più elevato, perché erosiona la credibilità della scienza “ufficiale”, quale fonte di conoscenze vitali per il tasso di innovazione del nostro sistema economico.
Speriamo che gli “anticorpi etici” del nostro sistema di ricerca pubblica reagiscano a tempo: se io non sono sicuro circa l’onestà dei risultati, rischio troppo e quindi non investirò per applicarli in nuovi prodotti o servizi.
E quello che è ancor peggio, la stagnazione economica conseguente sarà frutto di mille “rinuncie silenziose” a investire, un fenomeno che la scienza economica non sa come studiare e controbattere.
Buongiorno. Post molto bello, semplificativo e che centra in modo esauriente i concetti ( da verificare con scrupolo ) per i quali si tende a esprimere una realtà climatica in modo ostinato ( niente di più sbagliato ). Volevo altresì aggiungere un link con la speranza che qualcuno qui in climatemonitor mi sappia spiegare meglio l’articolo, perchè, davvero, faccio molta fatica a credere alla veridicità sel contenuto. Buona Domenica. https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2020/08/26/scoperto-nesso-tra-terremoti-appennino-e-co2-nelle-falde-_738b911e-16b2-4117-b6a2-e80b7c6faeb2.html
È la prima volta che ne sento parlare. Il rilascio di gas in occasione dei terremoti è noto, che ci sia anche produzione di CO2 non sorprende, ma come dice anche l’ANSA, si parla per ora di correlazione, quindi abbastanza prematuro come concetto.
gg
Con questo post penso si sia centrato in pieno il problema, ovvero Il fatto che si voglia drammatizzare il concetto di riscaldamento globale sopratutto attaccandosi ad un unico fattore, ovvero la CO2. Continuo ad essere scettico sull’ approccio che una parte degli addetti ai lavori conduce sulle dinamiche del clima e mi è sempre parso riduttivo e poco rispettoso nei confronti d coloro che studiano l’argomento clima in modo scientifico, risolvere tutto a tarallucci e vino, “tanto è tutta colpa della CO2” Le variabili che regolano il modello clima si intuisce che siano infinite, forse ancora tanta strada sarà da fare, ma questo rappresenta il bello, la sfida che noi appassionati di climaa ci aspettiamo.