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Copenhagen affonda

L’ultima spiaggia prima dei negoziati danesi di Copenhagen era Singapore. I nostri più affezionati lettori ci hanno seguito negli ultimi mesi attraverso il globo, inseguendo tutti i tavoli negoziali, pre-summit. Era nell’aria da diverso tempo, ora finalmente è stato esplicitato da tutti: a Copenhagen non si raggiungerà alcun accordo stringente sulla riduzione di gas serra.

A leggere la stampa nazionale, oggi sembra che la notizia sia piovuta dal cielo, improvvisa ed inaspettata (ne abbiamo parlato anche qui). Sappiamo invece per certo, che il de profundis per Copenhagen ha cominciato a risuonare sinistro nell’aria già a Barcellona, diverse settimane orsono. Il muro contro muro nato tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, nulla di buono faceva presagire.

Il primo ministro danese, Lars Loekke Rasmussen dice1 :

Even if we may not hammer out the last dots of a legally binding instrument, I do believe a political binding agreement with specific commitment to mitigation and finance provides a strong basis for immediate action in the years to come

In buona sostanza: se non possiamo perfezionare uno strumento che obblighi legalmente (a ridurre le emissioni), possiamo puntare ad un documento, nel quale vi siano chiare indicazioni per la mitigazione, che obblighi politicamente e che costituisca una solida base per azioni da intraprendere nell’anno venturo.

In queste fasi, riassumendo il pensiero del primo ministro danese, è importante che i vari governi si concentrino su quello che è possibile fare e ottenere a Copenhagen, e non farsi distrarre da quello che non è possibile ottenere. Questo approccio estremamente pragmatico ci piace. Avremmo preferito che fosse stato applicato anche in precedenza, invece di trasformare Copenhagen in una sorta di vaso di Pandora. Chiaramente adesso vi è una sorta di tutti contro tutti e, in particolare, il dito viene puntato contro gli Stati Uniti. Lo leggiamo nelle parole del ministro francese per l’ambiente Jean-Louis Borloo2 :

Il problema sono gli Stati Uniti, non vi è dubbio alcuno. E’ la potenza mondiale numero uno, il più grande emettitore di gas serra, il più grande emettitore pro capite e ci sta dicendo “Vorrei, ma non posso”

A Singapore, quindi, è emersa una strategia in due fasi: politica, prima, a Copenhagen, operativa successivamente nel corso del 2010. Agli USA questa proposta è piaciuta al punto da sostenerla apertamente. Meno chiara è, invece, la posizione attuale della Cina. La stampa nazionale oggi dice che anche la Cina, insieme agli USA, sostiene questa strategia ma i fatti non sono così chiari. Piuttosto il presidente cinese Hu Jintao continua ad insistere sulla necessità della creazione di un fondo economico, da parte dei paesi sviluppati, per sostenere la decarbonizzazione nei paesi in via di sviluppo.

Tra le varie posizioni, riportiamo anche quella della Russia che si è detta pronta a sottoscrivere un impegno politico, a Copenhagen. Rimangono ancora sacche di ottimismo (la speranza muore per ultima, si sa), e così il ministro inglese Miliband si è detto fiducioso sulla riuscita di Copenhagen.

Per concludere questo ennesimo capitolo della saga, sarà estremamente interessante capire adesso cosa accadrà: da un lato vi è la necessità di abrogare Kyoto in favore di un nuovo protocollo, quello di Copenhagen. D’altro canto vi è la convizione, decisamente fondata, che il protocollo di Copenhagen non debba assolutamente seguire le sorti del protocollo di Kyoto, ovvero il futuro protocollo non dovrà essere un mero strumento politico, ma un vero e proprio strumento di controllo sulle emissioni globali.

Una notazione a latere che potrà sembrare fuori tema, ma nemmeno così tanto: tra poche ore partirà il vertice FAO a Roma, per combattere la fame nel mondo. Stiamo facendo fatica a trovare delle testate giornalistiche straniere che ne parlino altrettanto estensivamente quanto il tavolo di Singapore o il summit di Copenhagen. E’ vero che il vertice deve iniziare e i giornali hanno tutto il tempo per parlarne, tuttavia personalmente credo che sia davvero sintomatico.

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  1. http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=newsarchive&sid=amRKoyunICVE []
  2. http://www.reuters.com/article/GCA-GreenBusiness/idUSTRE5AE0E420091115 []
Published inIn breve

3 Comments

  1. E a che serve parlare della fame del mondo?
    Li avete sentiti oggi?
    Fame e cambiamento climatico sono la faccia della stessa medaglia, si affrontano insieme.
    I diciassettemila bambini che muoiono ogni giorno di fame saranno salvati anche con il cap and trade e con la ricerca tramite modelli.

    Assassini!

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