Dai dati di temperatura e polvere ricavati dalle carote glaciali scavate a Colle Gnifetti emerge un optimum climatico medioevale caldo e siccitoso cui si associa il carattere assai altalenante della Piccola era glaciale, che non può essere vista come un periodo di freddo continuo. Il tentativo di Willis Eschenbach di ricavare una serie globale dai dati di Colle Gnifetti.
Premessa
Nel 2018 Bohleber et al (2018) hanno pubblicato un lavoro scientifico in cui presentano le serie storiche di temperatura e polverosità atmosferica ricavate dall’analisi dei proxy data contenuti in due carote glaciali prelevate dal ghiacciaio a Nord della punta Gniffetti, una delle cime principali del Monte Rosa, su cui ha peraltro sede la capanna Margherita, inaugurata il 4 settembre 1893 e che con i suoi 4554 m è oggi il più alto rifugio d’Europa (figura 1). Le serie di Colle Gniffetti sono poi state commentate su climatemonitor nel maggio 2019 a opera dell’amico Franco Zavatti. Molto più di recente mi sono imbattuto nell’articolo di Willis Eschenbach “Modern ancient temperatures” che ha ridestato la mia curiosità per tali serie storiche, che qui di seguito inquadro cercando poi di trarne alcune conseguenze che spero siano di qualche interesse per i lettori.
Le serie paleoclimatiche di colle Gniffetti
Le serie storiche coprono il periodo compreso fra l’800 d.C. e il 2006 e sono state oggetto di pubblicazione sulla rivista scientifica Climate of the past da parte di un gruppo di ricercatori afferenti ad istituzioni scientifiche statunitensi, svizzere e tedesche. I dati ottenuti sono di per sé rilevanti in quanto i ghiacciai alpini sono in gran parte inutilizzabili per scopi di ricostruzione paleoclimatica in quanto si tratta di “ghiacciai caldi” che a differenza ad esempio di quelli artici e antartici (ghiacciai “freddi”) sono inadatti al prelievo di carote utili per scopi di paleoclimatologia. Oltre a Colle Gnifetti risultano essere stati oggetto di indagini i ghiacciai alpini “freddi” di Col du Dôme sul Monte Bianco (Preunkert et al., 2000), di Fiescherhorn nelle Alpi Bernesi (Schwerzmann et al., 2006), dell’Ortles (Gabrielli et al., 2016) e del Colle del Lys, sempre sul Monte Rosa (Wagenbach et al., 2012). Bohleber et al. (2018) sottolineano che fra tutti i ghiacciai alpini indagati, quello di colle Gnifetti è l’unico a presentare accumuli nevosi annui di scarsa entità per effetto di erosione da vento più attiva nei mesi invernali, il che rende più agevoli e accurate le datazioni degli strati.
L’area del ghiacciaio di Colle Gnifetti presenta un’ampiezza di circa 400 m e la profondità massima del ghiaccio è di 140 m. L’accumulo nevoso medio annuo varia dai 120 cm del versante sud ai 15 cm del versante nord, quello in cui nel 2005 e nel 2013 si sono effettuati i carotaggi (in sigla KCI e KCC).
I principali proxy misurati sono stati l’Ossigeno 18, il deuterio, lo ione calcio (Ca++), il pH e il pulviscolo minerale grossolano. Nello specifico l’Ossigeno 18 e la media di lungo termine dei livelli di ione calcio sono stati assunti come proxy delle temperatura mentre il deuterio, il pulviscolo grossolano e gli spikes dello ione calcio sono stati adottati come proxy dell’entità dell’avvezione meridionale di masse d’aria ricca di pulviscolo. La datazione degli strati è stata svolta analizzando i livelli di carbonio 14 dei residui carboniosi organici presenti nel ghiaccio.
Cosa emerge dalle serie paleoclimatiche di colle Gnifetti
Il primo risultato importante è quello relativo al trasporto eolico di pulviscolo grossolano: Bohleber et al. (2018) sottolineano che lo studio del pulviscolo accumulato nel ghiaccio evidenzia l’eccezionalità del periodo medioevale fra 1100 e 1200, suggerendo una crescita rilevante dell’afflusso di masse d’aria da sud in coincidenza con condizioni di forte aridità sul Mediterraneo. Le anomalie positive di polverosità si osservano nei periodi fra 1100–1200, fra 1400 e 1450 e, per il solo carotaggio KCC, fra 1500 e 1800. Gli autori segnalano che tale periodizzazione è in accordo con quella riportata da Thevenon et al. (2009) che indica massima deposizione nei periodi 1200–1300, 1430–1520, 1570–1690, 1780–1800 e dopo il 1870.
Per quanto concerne le temperature, Bohleber et al. (2018), presentano una ricostruzione delle temperature per il periodo 800 – 2006, esprimendola come anomalia termica rispetto alla media 1860-2006. Visto che i loro dati con passo di 2 anni sono disponibili qui e qui ho prodotto il diagramma di figura 2 in cui ho cercato di accrescere il più possibile la leggibilità. In esso si evidenzia la presenza di fasi calde più rilevanti rispetto a quelle osservate negli ultimi decenni, per cui la fase di riscaldamento attuale a Colle Gnifetti non può essere considerata un unicum.
Occorre a questo punto segnalare che Willis Eschenbach si è spinto oltre, verificando per il periodo dal 1750 ad oggi la correlazione esistente fra i dati di temperatura di Colle Gnifetti e quelli della serie storica delle temperature globali per le terre emerse dell’Università di Berkeley. La figura 3 illustra il risultato finale da cui emerge un buon livello di correlazione fra le due serie (quella di Colle Gnifetti è in rosso e quella di Berkeley è in giallo) dopo che Eschenbach ha applicato alla serie di colle Gnifetti un correttore lineare (moltiplicando cioè i suoi valori per 1.6 e sottraendo 0.2°C) con lo scopo di minimizzare lo scostamento esistente fra le due serie. La figura 4 mostra poi le temperature medie annue globali delle terre per il periodo 8000-2006 ricostruite utilizzando i dati di Colle Gnifetti corretti come descritto.
Dai dati presentati si può a mio avviso arguire che i dati osservati a Colle Gnifetti negli ultimi decenni presentano dei precedenti illustri, per cui l’aggettivo “unprecedented” con cui vengono spesso designate le temperature degli ultimi decenni appare, almeno in questo caso, decisamente fuori luogo. Un altro luogo comune che almeno per Colle Gnifetti non trova conferma è quello secondo cui la variabilità odierna sarebbe più rilevante di quella passata, il che costituisce peraltro uno dei paradigmi del cosiddetto clima impazzito. Al riguardo si osservi il diagramma in figura 5 in cui viene riportata la deviazione standard calcolata su una finestra mobile di 14 anni e si noti il trend di tale grandezza, improntato al calo (linea nera).
Conclusioni
Concludo questa breve nota con un pensiero a Giovanni Gnifetti (1801-1867), parroco di Alagna Valsesia e grande alpinista (https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Gnifetti), che per primo raggiunse il colle e la punta che oggi portano il suo nome. In particolare Giovanni Gniffetti conquistò la punta, ove oggi sorge la capanna Margherita, nel 1842 in compagnia del medico Giovanni Giordani, dell’architetto Cristoforo Grober e del teologo Giuseppe Farinetti. Il resoconto della conquista ci è noto grazie alle sue Nozioni topografiche del monte Rosa ed ascensioni su di esso (Torino 1845, con numerose ristampe), un classico della fase pionieristica dell’alpinismo, dal quale emerge la poliedrica e originale personalità di Giovanni Gnifetti. L’intento di osservazione scientifica, addotto nei primi tempi quale motivazione primaria per le salite dei monti, vi risulta a detta dello stesso Gnifetti, che pure era appassionato raccoglitore di dati sull’estensione dei ghiacciai, nettamente secondario rispetto alla “sola naturale vaghezza di contemplare più da vicino la magnificenza delle opere del Sommo Creatore” (Dizionario biografico Treccani, voce Giovanni Gnifetti – http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-gnifetti_%28Dizionario-Biografico%29/).
Bibliografia
Bohleber P., Erhardt T., Spaulding N., Hoffmann H., Fischer H., Mayewski P., 2018. Temperature and mineral dust variability recorded in two low-accumulation Alpine ice cores over the last millennium, Clim. Past, 14, 21–37, 2018.
Gabrielli P. et al., 2016. Age of the Mt. Ortles ice cores, the Tyrolean Ice-man and glaciation of the highest summit of South Tyrol since the Northern Hemisphere Climatic Optimum, The Cryosphere, 10, 2779–2797, https://doi.org/10.5194/tc-10-2779-2016, 2016.
Preunkert, S., Wagenbach, D., Legrand, L., and Vincent, C., 2000. Col du Dôme (Mt Blanc Massif, French Alps) suitability for ice-core studies in relation with past atmospheric chemistry over Europe, Tellus, 52B, 993–1012.
Thevenon, F., Anselmetti, F. S., Bernasconi, S. M., Schwikowski, M., 2009. Mineral dust and elemental black carbon records from an Alpine ice core (Colle Gnifetti glacier) overthe last millennium, J. Geophys. Res.-Atmos., 114, D17102.
Wagenbach, D., Bohleber, P., and Preunkert, S., 2012. Cold alpine ice bodies revisited: What may we learn from their isotope and impurity content?, Geogr. Ann. Phys., 94, 245–263.
Il nome esatto è Gnifetti.
Ottimo articolo.
Due considerazioni relativamente all’andamento delle temperature riportato nell’articolo.
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Non posso fare a meno di notare come le temperature desunte dai dati di prossimità di Colle Gnifetti, perdano la buona correlazione con quelle del progetto Berkeley Heart Temperature per l’emisfero settentrionale nel corso delle ultime decadi. Capita sempre quando ai dati di prossimità, si “attaccano” quelli strumentali e, ancora oggi, non riesco a spiegarmi il perché. Sarebbe meglio se il confronto avvenisse tra dati omogenei, ma forse si perderebbe il picco termico moderno e ciò non gioverebbe alla causa. A pensar male si fa peccato, ma ….. 🙂
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La seconda considerazione vuole essere una garbata polemica circa il correttore lineare di Eschembach. Se non ho capito male, la correzione prevede che le temperature determinate a partire dai dati di prossimità di Colle Gnifetti, siano moltiplicate per 1,5 e, ai valori così ottenuti, sia detratto 0,2. Sono perfettamente conscio del fatto che questa procedura ha la sola funzione di “scalare” il grafico delle temperature di Colle Gnifetti, per agevolare il confronto, con le temperature desunte dal progetto Berkley Heart Temperature per l’emisfero settentrionale, ma mi sorprende: Eschenbach ha sempre criticato l’utilizzo di parametri numerici nei lavori degli altri, salvo poi ad utilizzarli nelle sue elaborazioni. Nessuno è perfetto! 🙂
Ciao, Donato.
Donato, posto la risposta di Luigi.
Caro Donato,
Grazie per il tuo interessante commento. Rispondo direttamente a te perché sono in vacanza a san Vincenzo in Toscana ove la rete funziona in modo pessimo e metto in copia anche Guido che magari riesce a caricare sul sito il mio commento.
Circa la prima obiezione posso dirti che tutte le ricostruzioni paleoclimatiche di temperatura basate su proxy si basano su modelli di correlazione fra temperature di epoca strumentale e valore dei proxy. E’ ovvio che da qui nascono problemi legati al presupposto di costanza delle relazioni in epoca non strumentale che non e’ mai da dare per scontata (ad es c’ e’ il problema della divergenza che tu ben conosci). Tuttavia a mio avviso non si può fare molto di più, se non avere molta prudenza nell’uso delle ristruzioni stesse, cosa oggi assai poco praticata (penso a Mann e all’hockey stick…).
Circa Willis, bisogna dargli atto che nel suo articolo inserisce frasi con cui invita i lettori a essere prudenti nell’uso di quanto emerge dal suo modello di ricostruzione.
In ogni caso concludo rilevando che da parte nostra abbiamo il dovere di evidenziare le incoerenze rispetto alla retorica del cambiamento “unprecedented” che emergono valutando i proxy.
Un cordiale saluto.
Luigi
“In ogni caso concludo rilevando che da parte nostra abbiamo il dovere di evidenziare le incoerenze rispetto alla retorica del cambiamento “unprecedented” che emergono valutando i proxy.”
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Sottoscrivo parola per parola.
Ciao, Donato.
Molto interessante quelle due oscillazioni al ribasso intorno al 1030 e attorno tra il 1060 e il 1070, quali anomalie oceaniche negative possono aver causato un cambio circolatorio da indurre un abbassamento termico di tale portata ?
In quanto al secolo tra il 1100 e il 1200 è già riconosciuto come il secolo più caldo e arido del periodo caldo medievale sia da vecchi testi come quello di Le Roy Ladurie sia da annotazioni storiche svizzere ed europee
Grazie per la disamina, molto interessante. Il trend di figura 5 (su finestra mobile di 9 anni, non 14) è di leggero aumento, non calo, della deviazione standard, corretto?
Alessandro,
i miei diagrammi (a differenza dei diagrammi di Eschenbach) hanno l’asse dei tempi va da destra a sinistra, per cui il trend è improntato al calo (anch’io ho visto ieri il post da cellulare e non riuscivo a vedere i numeri sull’asse delle ascisse…).
Per prova le allego il file originale, voglio vedere se si vede meglio….
Immagine allegata
Grazie Luigi, in effetti era un problema di immagine troppo piccola. Grazie ancora per l’articolo.