In un recente articolo Marcantonio et al., 2020 (d’ora in poi Marc20) analizzano carotaggi delle acque profonde del Pacifico equatoriale orientale (EEP nell’articolo) che coprono gli ultimi 180 mila anni, con lo scopo di studiare il ruolo della ventilazione (presenza di ossigeno) nei depositi di carbonio delle acque profonde e la sua importanza nell’aumento della CO2 atmnosferica durante la deglaciazione del Pleistocene (da 2.58 milioni a 11700 anni fa).
La presenza del carbonio ventilato, detto anche “respirato” (respired) viene messa in evidenza da una serie di dati di prossimità (proxy) basati sul Torio 232 (232Th), sull’eccesso di Bario (xsBa) – entrambi derivati dal Torio 230 – e sull’Uranio 238 (238U) autigenico (non trasportato ma generato e residente in loco).
Le due carote disponibili si trovano al largo dell’Ecuador e al largo della Colombia, nella zona di formazione de El Nino e della risalita (upwelling) delle acque profonde durante lo spostamento delle acque superficiali verso ovest causato dagli alisei, cioè nella regione iniziale indicata dalla sigla nino1+2. Per confronto verranno anche usate due altre carote del 2002, estratte a nord-est di Papua Nuova Guinea (piattaforma Ontong Giava), ad uno dei terminali del fenomeno ENSO.
Marc20 conferma che il Pacifico profondo è un luogo di accumulo del carbonio respirato, associato a periodi di decrescita globale di CO2 atmosferica durante l’ultimo massimo glaciale; aggiunge però che una delle nuove informazioni prodotte dal loro lavoro è che la relazione si estende al di là del massimo glaciale (attorno a 22ka anni fa), fino ad almeno 70 ka.
Altri articoli, ad esempio Higgings et al., 2002 di cui Marcantonio è uno degli autori e di cui parleremo più avanti, sottolineano che nei proxy sono presenti i cicli di Milankovic, o almeno quello dell’eccentricità orbitale a 100 Kyr. In figura 1 sono mostrati i proxy della carota MV1014-8JC (al largo dell’Equador) più la temperatura (δ18O bentonico, quadro f) e la CO2 di EPICA in modo da permettere il confronto con le affermazioni di Higgings et al 2002 e di Marc20 (“The dominant signal in global climate over the last 800,000 years is the 100-kyr co-variation of air temperature and atmospheric CO2 concentrations observed in the EPICA Antarctica ice core”).
Due dei proxy di figura 1 (a e b) sono dominati dallo strato di cenere di Los Chocoyos e sono indicativi della polvere in atmosfera. Tutti i proxy (a-d) sono difficilmente correlabili con i periodi glaciali, mentre lo sono il quadro e), temperatura marina e il quadro f), temperatura della carota antartica, dati da Lisiecki e Raymo, 2005 (LR04).
Da figura 2 emerge nettamente che solo 2 spettri (4 se si considera il quadro f) mostrano un massimo che può essere assimilato a 100 kyr con qualche grado di incertezza. In compenso in tutti i proxy, e sempre con fluttuazioni nel periodo, compaiono sia il massimo dovuto all’obliquità dell’orbita (41 kyr) che quello dovuto alla precessione (26 kyr) a cui gli autori dei citati lavori di paleo-oceanografica non fanno cenno. La variabilità dei periodi potrebbe dipendere dal tipo di spettro (LOMB o MEM) e dalla lunghezza del dataset, come si può vedere in questa serie di spettri dei primi 800 kyr di LR04.
Da questi dati è difficilmente giustificabile l’enfasi data da Higgins a da Marcantonio al massimo spettrale di 100 kyr.
Uno degli scopi principali di questi carotaggi è la comprensione del meccanismo che regola le variazioni glaciale-interglaciale della CO2. Come meccanismo guida per queste variazioni è stato proposto il ciclo del carbonio oceanico, con le sue fasi di accumulo e rilascio legate all’ossigenazione delle acque oceaniche profonde. La riduzione di 80-100 ppm nella concentrazione di CO2 (figura 1f, all’inizio del MIS 6) non è però ancora spiegata completamente sia nei modelli di circolazione oceanica che nei modelli biologici (Yamamoto et al., 2019).
Quanto affermato nelle frasi precedenti è almeno parzialmente confermato dai dati di Marc20: l’ossigenazione (figura 1c) segue con difficoltà il susseguirsi glaciale-interglaciale, con la forte diminuzione durante MIS2 e l’aumento durante MIS4. Il confronto con il quadro e) della variazione di temperatura mostra tuttavia una complessiva concomitanza (non si tenga conto del massimo dovuto a Los Chocoyos a ~80 ka, evento grandioso ma locale).
Carotaggi nel Pacifico occidentale
Franco Marcantonio è stato uno degli autori (Higgings et al., 2002) di un lavoro di analisi dei sedimenti oceanici profondi (sempre di isotopi del Torio e dell’Uranio), ottenuti nella piattaforma sottomarina di Ontong-Giava, a nord-est di Papua-Nuova Guinea. I proxy derivati dai due carotaggi (ODP806C e RC17-177) sono presentati nelle figure 3,4 e 5,6 (dati e spettri), da confrontare con le figure 1 e 2 per cercare elementi generali, almeno nella geografia dell’inizio e della fine dell’area interessata da ENSO e qui rappresentata dalla mappa del degassamento di CO2 (marina-aria).
Da notare che, malgrado le unità diverse, i singoli dati di prossimità delle figure 1 e 3 dovrebbero rappresentare la stessa grandezza (ad esempio, per i quadri b, il flusso di polvere) ma, sia i dati che gli spettri appaiono differenti.
Negli spettri delle carote di Higgins appaiono, con potenza tra molto alta e quasi trascurabile, il massimo a 42 kyr (obliquità) e quello relativo alla precessione (26 kyr). Il massimo a 100 kyr (eccentricità), nei due casi in cui compare, e cioè per l’Uranio 238 e per l’eccesso di Torio 230, assume un aspetto predominante negli spettri. Ancora una volta, e in situazioni temporali e geografiche diverse, il picco a 100 kyr è presente ma non sembra una presenza determinante per tutte le grandezze climatiche di cui si tratta.
Conclusioni
L’argomento di questo post è molto specialistico e non sempre è semplice sia comprendere le sottigliezze di certe affermazioni che le loro conseguenze: sono quasi certo di aver trascurato elementi che gli studiosi della materia considerano importanti e di aver sottolineato aspetti di mio interesse, ritenuti minori. I numerosi gruppi di lavoro che lavorano sui carotaggi profondi hanno prodotto e producono una notevole mole di risultati per la comprensione del ruolo delle profondità oceaniche nell’equilibrio climatico del nostro pianeta. Io, purtroppo, riesco a “vedere” solo il fatto che i modelli climatici non sono in grado di spiegare il fenomeno delle rapidissime variazioni della CO2 (da 100 e 200 ppm) ad esempio nella parte più recente di MIS6 e che questi studi si propongono di fornire elementi che possano spiegare tale meccanismo.
Bibliografia
- Bernhard Bereiter, Sarah Eggleston, Jochen Schmitt Thomas F. Stocker, Hubertus Fischer, Sepp Kipfstuhl and Jerome Chappellaz: Revision of the EPICA Dome C CO2 record from 800 to 600 kyr before present , GRL, 42, 542-549, 2015. https://doi.org/10.1002/2014GL061957
- John W.Drexler, W.I.Rose Jr, R.S.J.Sparks, M.T.Ledbetter: The Los Chocoyos Ash, guatemala: A major stratigraphic marker in middle America and in three ocean basins, Quaternary Research, 13, 327-345, 1980. https://doi.org/10.1016/0033-5894(80)90061-7
- Higgins S.M., Anderson R.F., Marcantonio F.,Schlosser P., Stute M.: Sediment focusing creates 100-ka cycles in interplanetary dust accumulation on the Ontong Java Plateau, Earth and Planetary Science Letters, 203, pp. 383-397, 2002. https://doi.org/10.1016/S0012-821X(02)00864-6
- Lorraine E. Lisiecki, Maureen E. Raymo: A Pliocene-Pleistocene stack of 57 globally distributed benthic δ18O records. , Paleoceanography, 20, PA1003, 2005. https://doi.org/10.1029/2004PA001071 (LR04)
- Cristina Lopes, Michel Kucera and Alan C. Mix: Climate change decouples oceanic primary and export productivity and organic carbon burial, PNAS, 112-2, 332-335, 2015. S.I.. https://doi.org/10.1073/pnas.1410480111
- Franco Marcantonio, Ryan Hostak, Jennifer Hertzberg & Matthew W. Schmidt: Deep Equatorial Pacific Ocean Oxygenation and Atmospheric CO2 Over The Last Ice Age ., Scientific Reports, 10, 6606, 2020 https://doi.org/10.1038/s41598-020-63628-x. Dataset
- Akitomo Yamamoto, Ayako Abe-Ouchi, Rumi Ohgaito, Akinori Ito and Akira Oka: Glacial CO2 decrease and deep-water deoxygenation by iron fertilization from glaciogenic dust, Clim.Past, 15, 981-996, 2019. https://doi.org/10.5194/cp-15-981-2019
Tutti i dati e i grafici sono disponibili nel sito di supporto |
si. però la CO2 è fondamentale nel ciclo biologico.
un aumento potrebbe anche significare una diminuzione di organismi fotosintetici ed una diminuzione potrebbe significare anche un’aumento degli organismi fotosintetici.
In questi studi non si rileva l’aspetto biologico; e come se la CO2 venise dal nulla e svanisse nel nulla a seconda dei cicli climatici.
Ammettiamo che ci sia clima freddo, probabilmente pochi organismi fotosintetici, la concentrazione di CO2 sarà più alta, pochi organismi la utilizzano per la costruzione della loro “materia”; una concentrazione più alta non significha obbligatoriamente un clima più caldo.
Si dice che gli oceani assorbono CO2. Si, ma in che modo: sono gli organismi biologici ad utilizzarla?
Ecco, io vedo una carenza di analisi dal punto di vista biologico.
Questo studio (Fires prime terrestrial organic carbon for riverine export to the global oceans https://www.nature.com/articles/s41467-020-16576-z ) dice che gli oceani accumulano la CO2 degli incendi boschivi: in che modo?
Potrebbe anche darsi che un accumulo di CO2 maggiore nei carotaggi dipenda da un asteroide che ha incendiato una foresta (e migliaia, centinaia di migliaia di anni fa, nessuno spegneva gli incendi, se non la pioggia!). E’ corretto correlare esclusivamente la CO2 con la temperatura?
Solo negli ultimi 800kyr i cicli glaciali seguono il timing dell’eccentricità , prima adettare il tempo è l’obliquità. la co2 in atmosfera varia in conseguenza all’espansione e alla contrazione della calotta polare antartica che apre e chiude la finestra meridionale e cambia in questo modo una serie di processi che avvengono negli oceani meridionali e la circolazione amoc globale. questi processi sono collegati all’emisfero nord che invece mostra variazioni più ad alta frequenza, documentati bene negli ultimi cicli (eventi heinrich). Almeno questa penso sia l’ipotesi più accreditata.
Sicuramente c’è un qualche tipo di discontinuità (che ho discusso in http://www.climatemonitor.it/?p=44127).
In una serie abbastanza lunga di post (ad esempio qui, qui qui legati tra loro, ho trattato le serie tratte da varie carote antartiche.
Non credo di essere completamete d’accordo con la CO2 che segue la contrazione-espansione della calotta (suppongo che questo significhi aumento-diminuzione della temperatura): ho verificato, ad esempio in
http://www.climatemonitor.it/?p=51877, e in
http://www.climatemonitor.it/?p=52003 che CO2 e temperatura sono intrecciate e alternativamente una precede/segue l’altra. Per me significa che entrambe rispondono, seguendo ognuna le sue caratteristiche, ad un segnale (forcing) “terzo”.
Per gli eventi ad alta frequenza nelle carote groenlandesi, nella figura 1f di questo post c’è un esempio di simil-eventi D-O in Antartide; per un confronto, gli eventi D-O hanno un periodo di 1-2.5 kyr; quelli di Heinrich 6-7 kyr; quelli di Bond (1.47+-0.5)kyr. Franco