Nella ricerca ormai lunga (vedere un elenco qui) di situazioni meteo-climatiche nelle quali si manifesta il periodo di 18.6 anni del ciclo della linea dei nodi della Luna, ho incontrato alcuni articoli (ad esempio Royer, 1993; Parker et al., 1995;) che fanno riferimento a quel massimo in dati di località ad alta latitudine. Dalrymple e Padman (2019) sottolineano che le maree non dipendono dalla latitudine in primis ma che sono strettamente legate a grandezze che dipendono a loro volta dalla latitudine, come la forza di Coriolis. Ho pensato quindi di verificare l’esistenza del massimo “lunare” in 37 delle serie biologiche e climatiche disponibili nel sito NOAA, che fanno riferimento al Mare di Bering.
Le serie utilizzate sono:
- Pesca; 11 serie di abbondanza (recruitement), in varie unità.
- Biologia; 7 dataset, dall’indice di diversità al numero di cuccioli di foca, allo zoo-plancton.
- Indici climatici; 16 serie annuali, dalle variabili più note, come ENSO, PDO, AO (Oscillazione Artica) a quelle più locali come SAI (Siberian-Alaskan Index), SI (Siberian Index), AI (Alaskan Index), SST attorno alle Isole Pribilof, PNA (Pacific-North Atlantic Index).
- Variabili atmosferiche; 7 serie di misura del vento quali NS-wind (componente nord-sud del vento vicino alle Isole Priblof nel periodo dicembre-marzo), forza del vento WS (wind stress, in N/m2, lungo la Penisola dell’Alaska), pressione al livello del mare, temperatura superficiale dell’aria.
Tutte le serie sono utilizzate nella forma di anomalie. I periodi di riferimento sono vari e sono riportati nelle intestazioni dei file numerici delle serie.
Qui uso l’aggiornamento al 2016-2017 (ultimo disponibile) delle serie che avevo utilizzato con altri scopi in un post del 2013.
Un esempio per ognuna delle quattro categorie è illustrato in figura 2 (pdf)
Dalla figura 5, il dettaglio delle 15 serie con il massimo “lunare” e il rispettivo periodo evidenzia i due periodi distinti di 18.6 e 18 anni (ricordo che 18 anni e 11 giorni è il ciclo di oscillazione della linea degli apsidi lunari, cioè della linea che congiunge apogeo e perigeo):
- 18.6 yr (9 casi): PDO (18.7), PNA (18.9), SAI (18.6), SI (18.6), PDO WIN (19.3), IRI (18), NPI (19.5), SLPW (18.6), SATW (18.4)
- 18 yr (6 casi): ENSO (17.9), EPI (17.9), IRI (18), WPI DJF (17.6), WPI MAM (17.9), SATAn (18.2)
Bisogna anche sottolineare che i massimi tra 2 e 10 anni (estremo superiore escluso), tipici di El Niño, sono il 78% del totale (42/54, figura 3) per le serie di pesca (Fish); l’82% (27/33, figura 4) per le serie biologiche (Biology) e il 78% (141/181, figura 5) per le serie climatico-atmosferiche (Indices+Atmosphere). Questi sono numeri molto alti che confermano l’influenza del Pacifico equatoriale anche a latitudini elevate.
Commenti conclusivi
La conclusione che posso derivare da questo lavoro è che il picco “lunare” di 18.6 (e 18) anni, pur essendo presente in 15 serie legate all’oceano, non può essere considerato un fenomeno generalizzato. La bibliografia sull’argomento è ricca ma nessuno a mia conoscenza ha provato ad associare a questo massimo spettrale le serie di differenti variabili climatiche, ben distribuite geograficamente. Un articolo di Dalrymple e Padman (2019) tenta questo approccio basandosi su modelli, ma gli autori stessi esordiscono, nel riassunto, con:
A common belief about tidal sedimentation is that tides are always larger near the equator and negligible at high latitudes. This belief appears to be based on equilibrium tidal theory that predicts the existence of two ocean–surface bulges centered at low latitudes; however, it is a misconception because this theory is a poor model for real-world tides “. Questo è un articolo molto interessante che analizza le cause delle maree alte e basse nella forma di attrazione gravitazionale della Luna e forza centrifuga della Terra (forza di Coriolis) e che conclude il paragrafo sulla Latitudinal distribution of Tidal range con: “In summary, the tidal characteristics of coastal areas are governed by several factors other than latitude.
I lavori che ho tentato di sviluppare in questi ultimi mesi, citati all’inizio, mostrano che il massimo esiste (in alcuni casi e luoghi è più presente che in altri) anche se non sono riuscito ad associarne la presenza alla posizione della Luna (e del Sole)rispetto alla Terra.
È interessante il caso di PDO che a volte viene definita “simil-ENSO” (ENSO-like): sia l’ultimo aggiornamento dal 1845 al 2019 mostrato di seguito come valori medi annuali derivati dalla serie mensile di NOAA-NCDC, che la PDO di BeringClimate (dal 1900 al 2016) presentano un picco nell’intervallo di interesse: 19 anni nel primo caso e 18.7 nel secondo. Sarebbe ragionevole pensare che i dati siano gli stessi (entrambi sono siti NOAA) e quindi la differenza di periodo pone limiti alla precisione con cui si possono apprezzare i periodi: spesso, ad esempio in Treloar (2002), si definiscono i periodi con 3-4 cifre decimali e con questi numeri si fanno deduzioni sulle armoniche dell’una o dell’altra frequenza fondamentale. Io ritengo che 1 cifra decimale (in qualche caso 2) sia sufficiente per contenere l’incertezza complessiva connessa con le fluttuazioni dei dati (che, ricordo, sono quasi sempre frutto di elaborazioni anche complesse e sono quindi stime e non dati, cioè misure, in senso stretto) e con le incertezze (ad esempio troncamenti numerici) del processo di calcolo.
Tornando alla PDO, Yasuda (2018) spinge molto sul concetto di “ENSO-like”, credo con lo scopo di sostenere che il massimo presente nella PDO possa essere esteso anche ad ENSO; questo non è vero, dato che ENSO (in particolare ONI, l’Oceanic Niño Index ma anche gli spettri delle quattro “zone Niño”, v. questo grafico) non mostra mai il massimo attorno a 18.6 anni, ma solo alcune armoniche non sempre definibili chiaramente (ad esempio, 4.65 e 4.7; 3.66 e 3.51 anni, che sono armoniche di massimi diversi, cioè 18.6 e 1.17 anni, e non è chiaro come debbano essere usati).
L’impressione generale che ne ricavo è che siano disponibili troppi cicli, a cui si vuole associare un condizionamento esterno, ricavati da valori che usano una precisione maggiore di quella consentita dai dati e dagli algoritmi.
Bibliografia
- Dalrymple R.W. and Padman Laurie: Are Tides controlled by Latitude?. In Latitudinal Controls on Stratigraphic Models and Sedimentary Concepts, SEPM Special Publication No. 108, 2019, SEPM (Society for Sedimentary Geology), ISBN 978-56576-346-3, eISBN 978-56576-347-0, p. 29–45. https://doi.org/10.2110/sepmsp.108.03.
- Parker K.S., Royer T.C. and Deriso R.B.: High-latitude climate forcing and tidal mixing by the 18.6-year lunar nodal cycle and low-frequency recruitment trends in Pacific halibut (Hippoglossus stenolepis), in Climate change and northern fish population, Ed. R.J.Beamish, Can. Spec. Publ. Fish. Aquat.Sci., 121, 1995.
- Royer T.C.: High‐latitude oceanic variability associated with the 18.6‐year nodal tide, JGR, 98, C3, 4639-4644, 1993. https://doi.org/10.1029/92JC02750
- Treloar N.C.: Luni-solar tidal influences on climate variability, International Journal of Climatology, 22, 1527-1542, 2001. doi:10.1002/joc.783
- Yasuda I.: Impact of the astronomical lunar 18.6-yr tidal cycle on El-Niño and Southern Oscillation, Scientific Reports, 8, 15206, 2018. doi:10.1038/s41598-018-33526-4
I grafici e i dati di tutte le serie sono disponibili nel sito di supporto |
Un elenco dei casi in cui si osserva il massimo a 18-20 anni si trova in questo sito |
“L’impressione generale che ne ricavo è che siano disponibili troppi cicli, a cui si vuole associare un condizionamento esterno, ricavati da valori che usano una precisione maggiore di quella consentita dai dati e dagli algoritmi.”
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Concordo pienamente con la considerazione di F. Zavatti: non credo che si possa fare altrimenti di fronte alla chiarezza dei risultati numerici che emergono dai suoi studi.
Ciao, Donato.