di Franco Zavatti e Luigi Mariani
In questo post svilupperemo alcune riflessioni a partire dagli interessantissimi dati riportati nell’articolo di Diodato et al., 2020 che abbiamo brevemente descritto su CM (link). Tali dati hanno suscitato in noi moltissima curiosità e ci hanno spinto ad alcuni confronti con altre serie storiche di cui ci sembra utile informare i lettori di CM.
In premessa è opportuno però segnalare una questione terminologica che insorge quando si debbono rendere in italiano termini meteorologici anglosassoni. Gli autori parlano di “storm” che avevamo inizialmente tradotto con “tempesta”, così come avevamo reso “storminess” con “tempestosità”. Ciò tuttavia non ci soddisfaceva fino in fondo per cui abbiamo provato a verificare sul Glossary of meteorology dell’American Meteorological Society ove la voce storm nella sua parte iniziale recita come segue: “Any disturbed state of the atmosphere, especially as affecting the earth’s surface, implying inclement and possibly destructive weather”. Ciò spingerebbe a tradurre storm con “perturbazione intensa o violenta”, termine però che mal si presta poi a rendere il termine “storminess”. Alla fine, per uscire dalla questione di lana caprina in cui ci eravamo infilati abbiamo deciso di lasciare i termini in lingua inglese (storm o storminess).
Sempre a livello di premessa segnaliamo di aver riflettuto anche su altri due lavori di Diodato e Bellocchi e cioè:
- Il lavoro con Büngten (diodato et al., 2018) su un indice di “nevosità” in Italia, dall’800 al 2016. Qui, nel materiale supplementare, le fonti storiche sono ben documentate e, forse, sono le stesse usate per l’indice di storminess, anche se in Diodato et al., 2020 non abbiamo trovato alcun riferimento bibliografico a questo lavoro.
- Il lavoro (Diodato et al., 2019), dove si analizza una serie di eventi idrogeologici dannosi in Italia dall’800 al 2017 e si genera il catalogo di Storm Severity Index (SSI), le fonti storiche sono ben documentate nella bibliografia finale del materiale supplementare.
La classificazione degli autori è
classe | eventi | N. eventi |
---|---|---|
0 | normali o non registrati |
832 |
1 | stormy | 83 |
2 | very stormy | 219 |
3 | great stormy | 65 |
4 | extraordinary stormy |
20 |
Totale 1-4 | 387 | |
Totale | 1219 |
Ci si attende che gli eventi normali di classe 1 siano più numerosi di quelli delle classi successive mentre la tabella mostra che la classe 1 è poco popolata e la classe 0 lo è troppo. Questo ci dice che troppi eventi di classe 1 sono stati come ovvio ignorati nelle cronache. Per questo pensiamo che gli autori abbiano fatto bene a lasciare vuoti gli anni senza registrazione nella serie ASSIS (Annual Storm Severity Index Sum) del bacino del Po e a produrre una serie a passo variabile, a differenza di quanto avevano fatto nei due lavori precedenti, per l’indice della neve e per quello degli eventi idrogeologici su 7 aree geografiche italiane.
Analisi dei dati
Qui di seguito analizziamo la serie ASSIS pubblicata, sia nella sua interezza che suddivisa nei tre periodi climatici che la compongono: MWP (periodo caldo medievale), LIA (piccola era glaciale), MP (periodo moderno) e, successivamente, in relazione alla figura dell’Appendice B degli autori e al nostro commento (link) sui raggi cosmici galattici (GCR).
Dato che usiamo la serie originale a passo variabile, non potremo ottenere né lo spettro wavelet né la funzione di cross-correlazione con AMV perché entrambe richiedono il passo costante o almeno lo stesso passo.
In figura 1 mostriamo la serie originale, con l’identificazione dei tre periodi climatici, e il suo spettro Lomb.
Gli autori notano una diminuzione degli eventi estremi durante il minimo di Maunder (1645-1717) ma anche un forte aumento durante il minimo di Spörer (1490-1550). Noi possiamo aggiungere una diminuzione (meno precisa per via dei dati poco numerosi) poco prima del minimo di Oort (1010-1050). Forse questo fatto (sia aumenti che diminuzioni degli eventi in corrispondenza dei minimi solari) indica una relazione non troppo forte con le variazioni dell’irraggiamento solare (TSI), anche se gli autori (e anche la nostra analisi lo conferma) indicano un massimo spettrale di periodo 11 anni, tipico del ciclo delle macchie solari (ciclo di Schwabe). Si nota che gli eventi estremi più forti e più frequenti si osservano tra la fine del MWP e la parte centrale della LIA (o PEG) e che il periodo caldo moderno (MP, dal 1850 in poi) è caratterizzato da una ripresa, in numero e intensità, degli eventi estremi che si posizionano su 4 eventi per anno con due estremi a 5 e 6 eventi per anno. La ripresa segue una brusca diminuzione a 1 e 2 eventi per anno avvenuta alla fine della LIA.
Nel suo complesso, la figura 1 ci dice che lungo il bacino del Po gli eventi più estremi si sono avuti di preferenza nei periodi più freddi.
Tra gli altri massimi spettrali, ne abbiamo individuato uno a 272 anni (gli autori scrivono a ~300 anni) e due a 480 e a 102-111 anni che potrebbero corrispondere ai due cicli solari (senza nome) di 506 e 104 anni. A 1120 anni osserviamo il massimo di maggiore potenza, che potrebbe rappresentare il ciclo solare di Eddy (1000 anni): tale interpretazione tuttavia ma che dev’essere vista con prudenza dato che questo periodo si trova al limite temporale della serie.
Tra i massimi di più alta frequenza, osserviamo quelli a 3.6-7.1 anni, tipici di ENSO; quello a 11 anni già visto e quello a 18.6 anni. Quest’ultimo merita un minimo di attenzione: è il ciclo nodale della Luna (18.6 anni) e lo troviamo nello spettro di SRI (Summer Rain Index) delle piogge in Argentina (Agosta, 2014) e nello spettro delle piogge di 15 bacini fluviali in Inghilterra e Galles (su CM e anche nel sito di supporto di questo post). Sembra essere quindi una “firma” lunare posta sulle precipitazioni di due emisferi e su un ampio intervallo temporale, anche se per una conferma saranno necessarie ulteriori verifiche.
Gli autori usano lo spettro wavelet dei dati, a passo costante e filtrati su 15 anni (filtro gaussiano), mentre noi usiamo la serie originale; per poter ottenere qualcosa di simile ad una evoluzione temporale dei massimi spettrali abbiamo calcolato lo spettro nei tre periodi climatici MWP, LIA, MP. In figura 2 mostriamo la serie completa, con i fit lineari parziali da cui sono state calcolate le serie detrended richieste dallo spettro Lomb.
Dagli spettri dei tre sottoperiodi deriviamo che:
- Sono presenti massimi attorno a 100-150 anni, attorno a 550 e a 20-25 anni.
- Il massimo a 18.6 anni resta solo per MWP e MP e non si osserva durante la LIA, ove forse è sostituito da quello a ~15 anni.
- Il massimo a 11 anni tende a posizionarsi tra 10 e 10.5 anni in tutti e tre i periodi climatici (riquadro giallo).
- I massimi “ENSO” mostrano alcuni spostamenti di periodo ma non sembrano esserci molte differenze di periodo, anche se la LIA appare un po’ diversa dalle altre due sezioni temporali.
Nel complesso le analisi dei sottoperiodi confermano i risultati ottenuti dalla serie completa e una debole deriva dei periodi spettrali.
Confronto con AMO, NAO, GCR
Diodato et al. 2020 confrontano la serie ASSIS (in questo caso filtrata su una finestra di 30 anni) con la serie AMV (Atlantic Multidecadal Variation, Wang et al., 2017) tramite la funzione di cross-correlazione (CCF, Appendice B) che mostra quasi dappertutto una correlazione negativa (le piogge crescono quando AMV diminuisce) con un minimo di -0.4 quando le due serie sono spostate (lagged) di circa +60 anni. Questo suggerisce un ciclo di oscillazione di alcuni decenni, come succede alle SST del nord Atlantico.
Nel nostro commento precedente avevamo suggerito un confronto con la serie dei raggi cosmici galattici (GCR) che agirebbero come generatori di nuclei di condensazione per formare le nubi, nel senso che -assai schematicamente- quando l’attività magnetica solare è più elevata, i GCR sono deviati maggiormente e raggiungono la Terra in misura inferiore e allora piove di meno.
Queste considerazioni portano a una serie di confronti tra ASIS e
- AMO, che ha un massimo spettrale a 66-67 anni e quindi compatibile con la CCF degli autori.
- NAO, che non ha un massimo attorno a 60 anni ma è una delle oscillazioni di riferimento;
- GCR osservati al Neutron Monitor (NM) di Oulu in Finlandia, dal 1964 al 2020
- GCR modellati in modo da ricostruirne i valori dal 1611 al 2002 (qui usiamo i dati dal 1700 al 2002)
che sono illustrati dalle quattro figure successive. Dai confronti si vede che ASSIS:
Non sembra in relazione con AMO;
Mostra una certa relazione con NAO dope però non c’è il massimo a ~60 anni evidenziati dalla CCF degli autori;
Sembra in relazione con i GCR osservati ma nell’intervallo (1964-2020) i dati ASSIS sono sparsi e non definiscono bene la relazione.
Non sembra in relazione con i GCR modellati.
Conclusioni
L’articolo di Diodato et al., 2020 è un lavoro molto interessante, che merita di essere letto e che è in grado di suscitare molteplici riflessioni su vari aspetti del suo contenuto, ed in tal senso obbedisce perfettamente allo scopo per cui vengono scritti gli articoli scientifici. Pensiamo che le ciclicità presenti nella serie storica nei fenomeni estremi presentata in Diodato et al., 2020 siano la conseguenza di fluttuazioni nelle forzanti astronomiche esterne e nella circolazione atmosferica e oceanica. L’analisi periodale complessiva e quella dei tre sottoperiodi (800-1249), (1250-1849), (1850-2018) mette in luce il persistente peso della variabilità naturale nella ciclicità della storminess, peso che si mantiene nei tre sottoperiodi indagati. Al riguardo si coglie il peso della ciclicità solare e di Enso mentre non siamo stati in grado di evidenziare legami con AMO (che ricordiamo essere fra i principali determinanti delle ciclicità nelle temperature europee). Infine una debole relazione si è colta con NAO e GCR osservati.
Bibliografia
- Eduardo Andres Agosta: The 18.6-year nodal tidal cycle and the bi-decadal precipitation oscillation over the plains to the east of subtropical Andes, South America, Int. J. Climatol., 34, 1606-1614, 2014. https://doi.org/10.1002/joc.3787
- Nazzareno Diodato, Ulf Büntgen, Gianni Bellocchi: Mediterranean winter snowfall variability over the past millennium, Int.J.Clim., 39, 384-394, 2018. https://doi.org/10.1002/joc.5814 App.S1 (800-1599) and App.S2 (1600-2017, described, not classified)
- Nazzareno Diodato, Fredrik Charpentier Ljungqvist, Gianni Bellocchi: A millennium-long reconstruction of damaging hydrological events across Italy,, Scientific Reports, 9, 9963, 2019. https://doi.org/10.1038/s41598-019-46207-7; S.I. (800-2017)
- Nazzareno Diodato, Fredrik Charpentier Ljungqvist, Gianni Bellocchi: Monthly storminess over the Po River Basin during the past millennium (800–2018 CE), Environ. Res. Commun, 2, 2020. https://doi.org/10.1088/2515-7620/ab7ee9
- Usoskin,I.G., Mursula, K., Solanki S.K., Schüssler, M., Kovaltsov, G.A.: A physical reconstruction of cosmic ray intensity since 1610 , J.Geophys.Res., 107A11, 1374, 2002 doi:10.1029/2002JA009343
- Jianglin Wang, Bao Yang, Fredrik Charpentier, Ljungqvist, Jürg Luterbacher, Timothy J. Osborn, Keith R. Briffa, and Eduardo Zorita: Internal and external forcing of multidecadal Atlantic climate variability over the past 1,200 years , Nat.Geoscience, 29 May 2017, 2017. href=”https://doi.org/10.1038/NGEO42962″ target=_blank>https://doi.org/10.1038/NGEO42962
Tutti i dati e i grafici sono disponibili nel sito di supporto |
Luca maggiolini, certo che sì.. comunque gli eventi estremi li hai sempre quando passi dal caldo al freddo..sia che tu sia dentro un optimum o un pessimum…non cambia niente…l’Italia visto che è per la gran parte una montagna che va al mare è sicuramente più soggetta di altri paesi ad eventi estremi ed alluvionali sopratutto trovandosi al confine tra le alte e le basse pressioni ( molto di meno adesso che una volta comunque )
@Andrea.
Sarebbe meglio dire: gli eventi estremi sono sempre quelli ma le loro conseguenze no.
L’uso indiscriminato e sciagurato del suolo, con scelte spesso palesemente assurde – ma guidate da altri interessi, in primis la sete di soldi dei Comuni, che favoriscono nuove costruzioni anzichè la demolizione/ricostruzione/sistemazione su spazi già occupati – non fa che acuire le naturali conseguenze.
Se costruisco in aree golenali che ciclicamente, ma non necessariamente in tempi a memoria d’uomo, si riempiono, la colpa non è del clima ma di chi ha costruito lì. Fatto perdonabile in tempi di ignoranza tecnico-scientifica, ingiustificabile oggigiorno (ma lì in zona, stranamente, costa pochissimo edificare- chissà come mai).
Il contributo antropico negli eventi estremi c’è ma non è atmosferico, è territoriale , finché qui in Italia costruiscono sugli alvei dei fiumi hanno poco da dare la colpa ai movimenti dell’aria invece che rivedersi e non continuare a perseverare
Gli eventi più forti e frequenti accaduti tra la fine dell’optimum medievale e l’inizio della piccola età glaciale possono essere connessi al cambio di circolazione dell’aria e allo smaltimento del calore accumulato durante l’optimum e smaltito con le basse pressioni a rotte meridionali del post optimum ?
Non sono bravo in fatto di circolazione atmosferica, ma la spiegazione mi sembra possibile. Dal mio punto di vista il fatto importante è che l’aumento di fenomeni estremi e la loro diminuzione non dipendono da attività antropica, senza escludere un (piccolo) contributo umano che però non modifica sostanzialmente l’andamento naturale. Franco