In un articolo di 7 anni fa, Hereid et al.(2013) affermano che ENSO (El Niño Southern Oscillation) fornisce energia alla variabilità climatica globale attraverso cambiamenti nella forza degli alisei, nella temperatura e salinità, livello marino e configurazioni della circolazione atmosferica, e che la sua variabilità è ben caratterizzata nei record strumentali (moderni). Questi record, però, secondo gli autori, non sono in grado di descrivere completamente la variabilità (la definiscono “naturale”) di ENSO causata dalla forzante antropica.
Inoltre, la variabilità solare può interagire con ENSO anche se la sua risposta al Sole è difficile da prevedere.
Allo scopo di analizzare il comportamento di ENSO rispetto al Sole, gli autori hanno prodotto alcune serie ricavate da carote di coralli nella zona nord-orientale di Papua Nuova Guinea e di queste rendono disponibili i dati dai coralli dell’isola di Misima tra il 1412 e il 1643 dell’Era Comune (CE), in piena Piccola Era Glaciale (PEG, 1350-1850), un periodo di minore influenza solare. Gli autori scrivono che durante il periodo 1560-1660 si osserva una variabilità ridotta di ENSO, anche se non è chiara la relazione tra attività solare e variabilità ENSO; questo sottintende che la variabilità deriva dalle dinamiche interne. Il lavoro, in qualche modo, si lega ad uno studio di ElNiño non strumentale di qualche anno prima, D’Arrigo et al. (2005), a cui anche io farò riferimento più avanti.
Come ho detto, le carote di Misima hanno dato origine ad una serie di δ18O a passo mensile (per facilità di scrittura li indico spesso con d180 nei grafici). Il δ18O, essendo un dato che riflette all’inverso le variazioni di temperatura, qui viene usato come un proxy di El Niño (le deviazioni positive dalla media) e di La Niña (le deviazioni negative). Lo mostro in figura 1 insieme al suo spettro MEM.
Questa serie mostra una prima fase, fino a circa il 1550, con ampie oscillazioni ma sostanzialmente a media costante; una diminuzione per i successivi dieci anni, fino a circa il 1560, e poi un aumento fino al 1630 seguito da un’apparente ripresa di oscillazioni più ampie. Sostanzialmente si osserva (tramite il filtro su 10 anni, linea gialla) una diminuzione della variabilità nel periodo di aumento della temperatura (ovvero del δ18O) e questo conferma quanto affermano Hereid et al. (2012) che identificano il periodo di quiescenza di ENSO tra il 1520 e il 1630 (v. la loro figura 2, quadro inferiore, disponibile nel sito di supporto).
Lo Spettro
Lo spettro è caratterizzato dai periodi tipici di ENSO e cioè dal gruppo 2-8 anni, dai periodi 9-26 anni e da un potente massimo a 93 anni. Entrambi i lavori citati, e in particolare D’Arrigo et al. (2005), si concentrano sui periodi 2-8 anni trascurando, ad esempio, il massimo a 9.8 anni che pure vedono sia nei dati osservati nella regione Niño3 del Pacifico sia nella loro stessa ricostruzione di El Niño per il periodo 1408-1858; non ne parlano semplicemente perché la potenza di questo picco spettrale cade sotto il livello di confidenza del 90%. Allo stesso tempo, in figura 1 si osserva che il periodo 9.7 anni è il quarto massimo dello spettro per potenza e quindi tutt’altro che trascurabile.
La considerazione precedente pone un problema: praticamente tutti i gruppi che calcolano gli spettri fissano dei limiti di “veridicità” sui periodi, limiti calcolati con un livello di confidenza derivato da simulazioni Monte Carlo: se i picchi spettrali hanno potenza inferiore ad un dato livello vengono considerati fluttuazioni statistiche e quindi non reali. Questo assunto è probabilmente vero nel caso del calcolo di un solo spettro ogni tanto, ma avendo io calcolato ormai centinaia di spettri di serie molto diverse e avendo notato che gli stessi periodi si ripetono in quasi tutte le serie con notevole precisione, anche se con possibili, forti, differenze di potenza, non sono più disposto ad accettare la regola del livello di confidenza; preferisco usare quella che in altre occasioni ho chiamato la regola della probabilità frequentista e cioè l’accettazione di un periodo, indipendentemente dalla sua potenza, che sia confermato dallo spettro di serie indipendenti, anche se simili. |
Non vengono presi in considerazione neanche i massimi tra 12 e 26 anni che nella figura 2c di D’Arrigo sono quasi tutti sotto la soglia del 50% o appena sopra. La stessa cosa per il massimo a 93 anni che esiste come un debole picco, ben al di sotto del 50%, e che non viene mai nominato, mentre in figura 1 è il massimo principale e ricorda il ciclo solare di Gleissberg (88 anni) o anche una ciclicità senza nome, a 104 anni.
L’analisi spettrale di figura 1 viene confermata anche dallo spettro wavelet di δ18O mostrato nella successiva figura 2.
Lo spettro wavelet mostra anche l’esistenza, costante su tutta la lunghezza della serie, del massimo a 93 anni -il più potente- che però appare fuori dal cono di influenza, l’area al cui interno i massimi sono considerati attendibili. Si può localizzare appena sotto la potenza “10”, cioè sotto il valore (2^10)/12=1024/12 mesi=85.3 anni. Si osserva anche la fascia di periodo 1 anno che in figura 1 è identificata dalla sigla 1 (18).
Analisi del δ18O e di ENSO
Se si vuole analizzare la serie dell’ossigeno, è necessario costruire la corrispondente serie detrended, in particolare del periodo 1560-1643 che mostra una pendenza 50 volte maggiore di quella della prima parte dei dati. L’operazione si vede in figura 3 dove il grafico superiore mostra la scelta delle due parti in cui la serie è stata divisa e i fit lineari da cui è stato calcolato il detrended; il grafico inferiore mostra la serie completa detrended con i due limiti (±0.2 permille) al di là dei quali sono stati selezionati gli eventi El Niño (positivi) e La Niña (negativi).
Ho calcolato per le due serie di figura 4 gli spettri MEM che confronto in figura 5:
Gli spettri mostrano che El Niño e La Niña sono eventi che rispondono a stimoli esterni diversi, anche se a volte -ad esempio per 93, 9.8, 6.4, 4.6 anni- presentano le stesse ciclicità. I periodi di 34.4, 12.1, 10.8, 7.3, 4.2, 3.8 anni sembrano essere di competenza esclusiva di El Niño, mentre 46.4, 8.8, 7.7, 3.5 anni sarebbero appannaggio di La Niña.
È difficile attribuire i massimi spettrali ad una causa certa: oltre al già ricordato picco a 93 anni e al gruppo 2-8 anni, troviamo massimi tra 10 e 25 anni forse -ma con più di un’incertezza- legati ai cicli solari di Schwabe e di Hale; un massimo a 46.4 anni (solo La Niña) ricorda molto il ciclo sinodico Saturno-Urano (45.3 anni) mentre quello a 34.4 anni (solo El Niño) è simile ai 35.8 anni del ciclo sinodico Saturno-Nettuno. Il picco a 9.8 anni, comune ad entrambi gli eventi, ha durata pari alla metà del ciclo sinodico Giove-Saturno (9.93 anni).
Ma non farei troppo affidamento su queste similitudini e mi limiterei al solo elenco dei massimi osservati e all’elenco dei cicli e dei massimi solari di tabella 1 a causa della natura dei dati di prossimità e delle incertezze ad essi associate..
Tabella 1: Cicli e minimi solari
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Confronto con gli indici moderni
Ci possiamo chiedere se gli eventi ENSO hanno avuto una evoluzione nel tempo e se mostrano differenze tra il periodo della PEG e i tempi moderni con dati strumentali.
Per capire meglio mettiamo a confronto gli istogrammi di frequenza (numero di aventi per anno) sia di El Niño che di La Niña sui periodi 1411-1643, 1874-2018 e 1950-2018 ricavati, gli ultimi due dagli indici SOI (Southern Oscillation Index) di NOAA e del BOM (Bureau Of Meteorology australiano) e il primo dal δ18O dell’isola di Misita di figura 3, assumendo, che si possano considerare eventi Niño i valori dell’indice rispettivamete inferiori a -0.5, -7 e -0.2‰ e Niña quelli superiori a +0.5, +7 e +0.2‰.
Dalle tre figure che seguono non sembra di poter osservare una evoluzione significatica. Si notano periodi di ridotta variabilità di El Niño, sia in figura 7 (tra il 1925 e il 1960, interrotta da un forte evento nel 1940) che in figura 8 (tra il 1952 e il 1964; una parte dello stesso evento precedente), durante un periodo di ridotta attività solare tra il 1880 e il 1940.
Nelle due figure dell’indice SOI (7 e 8) spicca per la sua larghezza un evento El Niño tra il 1990 e il 1995, argomento del lavoro di Allan e D’Arrigo (1999) che definiscono la sequenza di El Niño “persistente” e si chiedono quanto sia inusuale questa situazione.
I dati di questo post sono disponibili nel sito di supporto. |
Bibliografia
- Robert M. Allan, Rosanne D. D’Arrigo: ‘Persistent’ ENSO sequences: how unusual was the 1990–1995 El Niño? , The Holocene, 9,1, 101-118, 1999. Full text a: https://www.researchgate.net/publication/263495436_Allan_RJ_and_D%27Arrigo_RD_1999_%27Persistent%27_ENSO_Sequences_How_unusual_ was_the_recent_El_Niño_The_Holocene_9_101-118
- Rosanne D’Arrigo, Edward R. Cook, Rob J. Wilson, On the variability of ENSO over the past six centuries, GRL , 32,L03711 http://dx.doi.org/10.1029/2004GL022055
- Kelly A. Hereid, Terrence M. Quinn, Frederick W. Taylor, Chuan-Chou Shen, R. Lawrence Edwards and Hai Cheng: Coral record of reduced El Niño activity in the early 15th to 17th centuries , Geology, 41,1, 51-54, 2013. http://dx.doi.org/10.1130/G33510.1.
Caro Franco,
complimenti per questa tua ultima fatica.
Noto che ENSO continua ad essere avvolto nel mistero: ci sfuggono le cause che determinano il fenomeno e la sua struttura è tale da impedire previsioni piuttosto precise.
Ciò che mi ha stupito leggendo il tuo articolo, è la mancanza di correlazione tra i periodi delle fasi calde e fredde dell’ENSO. Effettivamente sembrano fenomeni con cause diverse e ciò mi lascia molto perplesso. Io ho sempre considerato la NINA ed il NINO come due facce della stessa medaglia, ma la diversa distribuzione dei periodi, manda in crisi le mie certezze, circa il meccanismo su cui è basato il fenomeno. Certo che l’idea di due fenomeni diversi (NINO e NINA) che si combinano, per dare vita al complesso fenomeno ENSO, è molto intrigante.
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Altro aspetto che mi ha colpito, è stata la similitudine della struttura dell’ENSO attuale e quello della PEG. Mi sarei aspettato schemi diversi e, sulla base alle mie conoscenze, l’invarianza strutturale dell’ENSO moderno e di quello passato, mette in crisi un’altra mia idea.
Sulla scorta di un paio di studi paleoclimatici relativi alla distribuzione delle piogge nell’Australia, sembrava che, durante la PEG, ENSO fosse diverso da quello di oggi. Il tuo lavoro sembrerebbe mettere in discussione questa circostanza e potrebbe avere anche un’ulteriore conseguenza: la PEG non fu un evento globale, in quanto nell’emisfero meridionale non modificò la struttura dell’ENSO.
Cosa ne pensi di queste mie considerazioni? Sono molto curioso di conoscere il tuo parere.
Ciao, Donato.
Caro Donato,
le tue ottime domande mi hanno “costretto” (si fa per dire) a ricontrollare e integrare un mio post del 2016 su El Nino. Ho calcolato lo spettro wavelet dell’indice SOI del BOM dal 1876 al novembre 2019 e l’ho aggiunto al sito di supporto di quel post (http://www.zafzaf.it/clima/cm70/cm70home.html ). Per
non farti fare troppa strada :-), metto il confronto tra i due spettri wavelet nell’immagine in fondo.
La mia considerazione è che lo spettro moderno è diverso da quello “antico”.
I massimi moderni sono “spezzati” in maniera più netta, cioè con intervalli (attorno agli anni ’30 e agli anni ’60) in
cui i massimi non sono presenti; si vedono massimi di periodo fino a 43 anni (quest’ultimo costante su tutto il periodo, ancorchè fuori dalla zona di influenza) e sono forti i massimi con periodo 2-8 anni, mentre sono scomparsi i massimi attorno ad 1 anno.
Per questa serie moderna non ho avuto tempo di separare Nino e Nina e non posso fare confronti.
C’è poi un’altra considerazione: se guardi la figura 4 del post del 2016 vedi che gli spettri degli indici che descrivono ENSO sono abbastanza diversi tra loro (malgrado la somiglianza tra le tre serie mostrate nelle
figure precedenti) e SOIBOM risulta quello più dotato di massimi spettrali di maggiore periodo (in particolare 90-110 anni); questo fatto potrebbe portare ad esprimere considerazioni diverse sulla struttura di Nino e Nina.
A mio parere la PEG è stata un evento globale (magari con qualche macchia di leopardo, anche per la notevole variabilità osservata nell’emisfero nord) e questo fatto è sottolineato (anche) dalla figura 4 di questo post, dove si
nota una diminuzione della variabilità del Nino e una corrispondente maggiore variabilità della Nina (tra i bin 200-220 si hanno un paio di Nina tra le più forti dell’intero periodo).
Non credo che tu debba cambiare le conclusioni (e le convinzioni) del tuo post su http://www.climatemonitor.it/?p=51423 sulla globalità della PEG e sui problemi del calcolo della coerenza spaziale fatto da Neukom et al., 2019.
Anche nell’emisfero nord, dove la PEG è stata descritta e misurata direttamente, le condizioni sono state diverse da zona a zona e da periodo a periodo, con buona pace della coerenza spaziale e temporale. Ciao. Franco
Immagine allegata