L’Unione Europea ci informa che è stato approvato il nuovo bilancio per il 2020. In particolare, tra squilli di tromba e manifestazioni di incontenibile giubilo salvamondista, si sottolinea l’aumento delle risorse destinate a lottare contro la CO2: l’incremento generale di spesa porterà infatti a spendere il 21% dell’intero budget dell’Unione in iniziative e programmi “verdi”.
Al di là delle necessità di propaganda (l’Unione deve giustamente pagare il suo dazio politico, ovvero economico, alla crescente rappresentanza dei partiti verdi), resta il fatto che del budget-monstre di 30 miliardi destinato genericamente “all’ambiente e al clima” resta difficile identificare le singole voci di spesa, al netto di generici impegni salvamondisti. Del resto il bilancio dell’Unione non fa della trasparenza la sua virtù principale, in particolare quando si parla dei finanziamenti che l’Unione stessa elargisce alle ONG, oggetto di critiche pesantissime persino da parte di organismi comunitari come la Corte dei Conti Europea.
A questo proposito vale la pena segnalare che la determinazione del budget di spesa dell’Unione è il risultato inevitabile delle pressioni delle lobby: sono 30 mila i lobbisti che assediano Bruxelles, un numero identico a quello degli stessi dipendenti impiegati dalla Commissione Europea: una marcatura a uomo, letteralmente. Spingono (legittimamente) per l’approvazione di voci di spesa che vadano a premiare i settori di cui difendono gli interessi. E a questo proposito vale forse la pena segnalare che l’incremento delle spese “verdi” è il risultato dell’azione di potenti lobby “green”, in una interessante partita di giro che vedrebbe l’Europarlamento finanziare ONG “verdi” che presumibilmente si spenderanno a loro volta per la parte politica che meglio rappresenta i loro interessi. Alla faccia del conflitto di interesse e del no profit.
Di sicuro, allo strombazzato aumento di spesa per salvare il clima dell’Europa (forse dalle nevicate eccessive e precoci, che fanno gioire gli operatori turistici in questi giorni) fa da contraltare la diminuzione dei fondi destinati all’agricoltura. Venendo alle disgrazie di casa nostra, infatti, possiamo segnalare il crollo dei finanziamenti agricoli europei che nel 2020 costerà al nostro Paese perdite per 370 milioni di euro. In particolare la Coldiretti segnala che la regione più colpita sarà la Puglia, con tagli per quasi 40 milioni di euro.
Davvero interessante il caso della Puglia. Anni di lotta dura e pura contro la TAP, ovvero un tubo invisibile che porta il gas azero a casa nostra. Lotta nel nome di un pugno di olivi che si sarebbero comunque trapiantati altrove. Il risultato di questo magnifico, altissimo e civilissimo impegno, è che di ulivi nella stessa regione ne sono morti 20 milioni a causa della Xylella, in un clima cupo e medievale di caccia all’untore, tanto ricco di teorie cospirazioniste quanto imbelle di fronte all’emergenza.
Aggiungiamo adesso allo scenario horror offerto dai milioni di olivi scheletriti del Salento, la crisi dell’ILVA e la degenerazione finale del caporalato, ormai trasformato in forma di sfruttamento oscena di manodopera di importazione. Ed il quadro per la Puglia si fa semplicemente drammatico, in una ecatombe economica, paesaggistica e sociale che non ha precedenti dal dopoguerra. A fronte di questo disastro, vengono sottratti 40 milioni di finanziamenti ad una regione già economicamente stremata per andare a premiare l’impegno di ONG salvamondiste presumibilmente straniere, nel nome di una “emergenza climatica” nei fatti inesistente.
Riassumendo, quando i nostri giovani pugliesi sono scesi in piazza pensando di manifestare “per il clima”, essi manifestavano a loro insaputa a favore delle lobby ambientaliste che assediano Bruxelles. Manifestavano per distogliere fondi comunitari dalla loro regione a vantaggio di altri. Manifestavano per far sparire posti di lavoro e opportunità dalla loro terra. Manifestavano per essere “deportati” dalla loro regione in aree produttive europee più fortunate e meglio rappresentate a Bruxelles, per essere utilizzati come forza lavoro a basso costo. Proprio come i frantoi salentini che in questo periodo vengono venduti, a pezzi, dagli imprenditori agricoli pugliesi rovinati dalla xylella. Svenduti a produttori di paesi “emergenti” che inondano il mercato italiano del loro olio d’oliva scadente, in omaggio alle direttive europee che hanno spalancato i confini all’import, fregandosene della tutela dell’eccellenza della filiera produttiva italiana.
Ballano figurativamente, i gretini nostrani, sui cadaveri di 20 milioni di olivi che hanno dato da vivere per 2000 anni alle generazioni che li hanno preceduti. Ballano sulle macerie di una industria nazionale in dismissione. Ballano sulla tomba delle loro legittime aspirazioni di giovani che si affacciano ad un mondo che li sta fregando fin dalla culla.
Condiranno le loro friselle con olio tunisino, o saudita. Ammesso che non siano stati convertiti, nel frattempo, alle virtù superiori di una dieta inclusiva tutta insetti & kebab. E se non avranno un lavoro che gli permetta di sfamarsi, mangeranno Global Warming, direbbe la Maria Antonietta dei tempi nostri, sghignazzando nel grigio ufficio di una lontanissima capitale europea.
Ritengo che ogni discussione sull’olio d’oliva che si riduca al chiedersi se l’olio è “scadente” e non se è “buono” è viziata in partenza. Non solo: è sbagliato usare il termine “olio” al singolare, perché – senza dover arrivare al livello degli assaggiatori esperti – ne esistono tante varietà, con gusti totalmente diversi adatti a contesti totalmente diversi. Che questo non si consideri è già un grande impoverimento della nostra cultura gastronomica e una dimostrazione di quanti danni fa il mercato lasciato a sé stesso.
Ovviamente questo non vale solo per l’olio italiano. Io acquisto olio in ogni luogo che visito (se è zona di produzione) e c’è dell’ottimo olio d’oliva anche in paesi come Francia e Spagna (ma non hanno la nostra varietà): solo che anche in quei casi non si tratta dell’olio prodotto per uso industriale, che si trova nei supermercati, ma dei “soliti” frantoi gestiti da chi sa ancora cosa vuol dire tradizione e gusto. E ovviamente sono prodotti che hanno il loro prezzo.
@ LORENZO
Produco modeste quantità di olio di oliva ad uso esclusivamente famigliare e conosco bene il ” dietro le quinte ” di questa realtà. Ciò che risulta a me, toccando con mano, che da quelle parti arriva soltanto porcheria poi ci pensa l’industria dell’olio a farlo diventare EXTRA VERGINE. Per renderti conto della realtà, senza essere dei grandi esperti, fatti un giro nei frantoi nostrani e assapora, percepirai immediatamente la/le differenze, inoltre calandoti un po nell’ambiente ti renderai conto che è una grossa presa in giro la vendita dell’ Extra V. a soli 3 euro.
Franco posso solo confermare quello che dici, come potrebbe farlo chiunque abbia ancora la fortuna di assaggiare olio italiano di qualita’. La cosa si puo’ anche esprimere in numeri: la spagna produce ormai circa il 75% della produzione olearia europea. Lo fa utilizzando prevalentemente la arbequina che e’ una varieta’ che produce un olio di qualita’ pessima (contenuto in polifenoli inferiore del 50% a quello dei disciplinari italiani, e fino al 75% inferiore rispetto alle varieta’ piu’ pregiate della produzione nostrana). L’olio spagnolo, grazie alle meravigliose normative europee, finisce sotto la dicitura “oli comunitari”, la gran parte dei quali vengono imbottigliati in italia con marchi che suonano italiani, ma che di olio italiano non ne contengono. Al contrario contengono in massima parte olio-immondizia spagnolo.
Ovviamnte nessuno in europa sogna di indicare la quota di olio prodotta nei singoli paesi, o la varieta’ di olivo utilizzata (come si fa per i vitigni), come se una arbequina valesse una “bella di cerignola” o una ‘Frantoio’. Per quanto riguarda gli oli africani, li’ parliamo di contesti in cui il controllo qualita’ nella filiera praticamente non esiste. Quindi Dio solo sa cosa ci finisce dentro quelle bottiglie, o quali sostanze si usano nella lotta contro funghi/parassiti etc. Anche qui forse vale la pena notare come da una parte si mostra la faccia truce ai produttori nostrani, imponendobli vincoli durissimi, e dall’altra si spalancano le frontiere a prodotti su cui non si ha sostanzialmente controllo.
Venendo a noi, io con l’olio “comunitario” (leggi spagnolo) ci friggo, del resto e’ totalmente insapore come un oliaccio di semi, ma almeno (si spera) e’ stato estratto a freddo e non con solventi. Sebbene la meccanizzazione estrema delle produzioni super-intensive “regali” tracce di idrocarburi cancerogeni di cui si sono occupate (nel silenzio generale) riviste di settore. L’olio vero lo compro al frantoio, e lo pago.
ma sono poi così scadenti l’olio marocchino e quello tunisino? Io francamente non ne ho idea, ma non credo.
Le aziende “Fossili” stanno spendendo paccate di Soldi in “Energie Rinnovabili”, è vero, costrette, ma solo in UE , dalla Normativa vigente in tema di “Certificati Bianchi” che :
“Il sistema prevede obblighi di risparmio di energia primaria per i distributori di energia elettrica e gas naturale con più di 50.000 clienti finali (i “Soggetti obbligati”) e attribuisce, per ogni anno, obiettivi da raggiungere.
I soggetti obbligati possono adempiere alla quota d’obbligo di risparmio in due modi:
realizzando direttamente i progetti di efficienza energetica ammessi al meccanismo
acquistando i titoli dagli altri soggetti ammessi al meccanismo”.
Questo spiega, in parte, anche l’attivismo che alcune società green stanno mettendo in essere nel cosiddetto “Risparmio Energetico” degli edifici, possibilmente pubblici !!!
https://www.gse.it/servizi-per-te/efficienza-energetica/certificati-bianchi
@Lupicino
Ha ragione, sono milioni e non miliardi, per la fretta mi sono confuso, avevo in mente i sussidi alle fossili nell’UE, che sono stati 289 miliardi (nel 2017, quando su scala globale sono arrivati a 5.200 miliardi). Al di là dell’errore: lei davvero mi sta dicendo che le compagnie fossili spendono paccate di soldi per favorire l’approvazione delle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici?
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Suvvia: le aziende dei fossili hanno speso e spendono paccate di soldi per distorcere i mercati e rallentare l’approvazione delle norme che andrebbero a comprimere i loro profitti. Nel contempo, hanno timidamente iniziato a diversificare (qui può trovare qualche numero sugli investimenti in rinnovabili https://reader.elsevier.com/reader/sd/pii/S2211467X19300574?token=59378927927E7EB15BF0E651E9767F981AF105706D6898C6D01950FE17A7A81CC532F121D190A82C6CEAF43033FC8078), sia perché hanno capito che con le rinnovabili c’è da guadagnarci mentre estrarre fossili costa sempre di più, sia perché sanno che è solo questione di tempo (poco, auspicabilmente) prima di trovarsi con portafogli pieni di stranded assets inutilizzabili. In più, la strizza sale perché anche la finanza sta iniziando a spostare gli investimenti dai settori considerati rischiosi (fossili) a quelli più redditizi e sicuri (rinnovabili).
Ah, le ho appena dato gratis un paio di consigli di investimento, dovrebbe ringraziarmi 😉
Non ci sono più granché profitti da difendere per le oil company in Europa. Non si fa più sviluppo oil and gas in Europa al di là di realtà in depletamento e marginali come il mare del nord norvegese. L’Italia avrebbe risorse ingenti da sviluppare ma restano abbandonate da decenni. La torta da spartirsi è quella del Green, sulla pelle del contribuente europeo ovviamente.
Quanto agli investimenti… Lo spostamento da Value a Growth va avanti ormai da anni, infatti ne abbiamo parlato già tempo fa. È per questo che è stupido oggi prendersela con le oil company quando il potere (incluso quello di distogliere investimenti da aziende rivali per dirottarli sulle proprie) è tutto concentrato nelle mani di un pugno di società high tech Californiane.
PS il miglior investimento che ho fatto è stato comprare BTP quando i nostri amici d’oltralpe giocavano con lo spread. Ho guadagnato e mi sono anche sentito un patriota. Cosa chiedere di più? 😉
L’articolo è incompleto, manca un dato nel passaggio sul conflitto di interessi. Dal 2010 Shell, Exxon, Chevron, Totale e BP hanno speso 251 miliardi di euro in azioni di lobby presso la UE per bloccare l’adozione di misura di tutela del clima e miglioramento della qualità dell’aria.
https://www.foeeurope.org/big-oil-spent-over-250-million-lobbying-EU-241019
251 miliardi di euro.
Innanzitutto fai ordine nel tuo cervello perché tra milioni e miliardi ballano tre zeri. Per il resto, la lobby riconducibile al solo Soros ha avuto almeno una settantina di incontri dal 2014, e parliamo di un singolo, non di un manipolo di compagnie. Poi capirai, 250 lobbisti su 30,000…
Quanto ai 251 milioni (quale che sia la fonte di questa informazione) il punto è proprio questo, che l’ambientalismo scassato costruisce castelli su congetture che valevano 30 anni fa. Magari quei soldi sono stati spesi per davvero, ma solo un ambientalista da osteria può credere che le oil company spendano per bloccare la follia climatista. Perché sono le prime a specularci.
Chi realizza mega progetti verdi? Tu? Io? O mega compagnie energetiche? Per non parlare del gas, su cui si sono buttate le major petrolifere, il cui sviluppo è proposto come forma di lotta alle emissioni di co2, ovvero in contrapposizione al carbone. Quei soldi sono spesi per partecipare alla festa, non per sabotarla.
L’ambientalista distratto e prevenuto, partendo da una premessa giusta (attività di lobby) arriva alla conclusione sbagliata (lo fanno per sabotare il verde). Anche lui, del resto, è funzionale al disegno complessivo. Se gli ambientalisti fossero più preparati mangerebbero la foglia e la polemica si sposterebbe su tutti altri fronti.
@Massimo Lupicino – il tuo articolo E’ politico, perché parla della res publica. E la mia voleva solo essere un’espressione di pessimismo sulla capacità dei politici di far fronte a questi problemi enormi (che sono stati creati e devono essere risolti DA POLITICI). Ma ti sembra facessi pubblicità a una parte, ad una fazione particolare? Comunque, se fosse stato, chiedo scusa.
Niente scuse, ci siamo capiti 😉
Personalmente, sono stanco …
Stanco di battagliare, ogni giorno, contro i Sardi di Sardegna, adoratori della Gallina Prataiola !!!
Hanno, dalla loro parte, MILIARDI di Euro da spendere in Campagne Stampa …
Ciò nonostante, ogni qual volta guardo mia figlia, mi ricarico e scendo in Campo, a battagliare !!!
La Xylella da noi non c’è, ma ci sono alcuni focolai in Costa Azzurra. C’è da sperare che li sappiano cosa fare, invece di perdere tempo in belinate.
Articolo giustamente e squisitamente politico, dacché la “climatologia” a livello globale ormai E’ solo politica. E parlando di questo livello, la cui qualità in Italia è direttamente proporzionale alla trasparenza in Europa (ZERO), mi chiedo se avremo mai politici italiani in grado di difendere davvero gli interessi nazionali, riabilitando i settori primario e secondario e battendo i pugni sul tavolo a Bruxelles. La scelta per ora – parere personale eh – è tra servi ottusi del globalismo che ci ha rovinato, e peracottari pseudo-sovranisti senza un minimo di visione, competenza ed organicità di programma. Prospettive non belle per i nostri figli.
Ale ti ho pubblicato il post solo per stroncare sul nascere ogni tentazione di politicizzazione. Si’ e’ vero, il tema e’ politico perche’ chi fa terrorismo climatico per primo rinuncia a riconoscere dignita’ scientifica all’argomento. Ma politica italiana per favore no. La situazione della Puglia e’ il risultato di un processo che va avanti da tanto, e che ha millemila responsabili. Se ne facciamo una questione di colori non si va da nessuna parte. Il punto e’ un altro qua: la manipolazione del pensiero, e l’utilizzo dei giovani per fini che NULLA hanno a che vedere con il loro futuro. Anzi, che il loro futuro lo rovinano, servendosene per giunta. I fatti dicono che tra la narrativa del “moriremo tutti di caldo” e la realta’, ci sono di mezzo…i soldi. Oggi come sempre del resto.
PS da questo post in poi, riferimenti alla politica italiana saranno moderati come da costume, cosi’ siamo tutti avvisati (piu’ che un avviso, un reminder…) 😉
La Liguria ha varie cose in comune con la Puglia: clima, mare, olivi, acciaierie… per fortuna da noi la xylella per ora non c’è, ma i gretini sì, i disoccupati sì, gli emigranti sì, tutte categorie in aumento… già è brutta ora, ma non invidio i miei nipotini…
Tosto come sempre Dr. Lupicino ma terribilmente veritiero…sob! Franco