Ad alcune considerazioni generali sull’analisi periodale segue l’analisi di un dataset di 5.3 milioni di anni alla ricerca della ciclicità di origine astronomica con periodo di 400.000 anni
di Franco Zavatti e Luigi Mariani
Introduzione
Il clima di un certo luogo o territorio (un vigneto, una vallata, un continente, l’intero pianeta) è frutto dell’azione di un insieme di fattori di tipo astronomico e geofisico che spesso interagiscono fra loro in modo anche complesso dando ad esempio luogo a caratteristici feed-back positivi e negativi. Molti di questi fattori sono soggetti a ciclicità su una vastissima gamma di periodi (da ore ai milioni di anni) come si può cogliere osservando la tabella 1. Ad esempio il Sole presenta cicli di attività undecennali e cicli più lunghi (Suess, Eddy, Hallstatt, ecc.) e la grande circolazione oceanica presenta ciclicità quali quella caratteristica di AMOC (Atlantic Meridional Overtuning Circulation) che poi agisce sulla temperatura di superficie dell’oceano Atlantico imponendole ciclicità caratteristiche note come AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation). Occorre peraltro dire che la coscienza della presenza di ciclicità climatiche è radicata nelle nostra cultura da millenni. Ad esempio i Saserna, trattatisti romani la cui opera è andata perduta ma che sono citati da Columella, sostenevano che il clima alla loro epoca si era fatto più mite che in passato, per cui oliveti e vigneti prosperavano dove prima non sarebbe stato possibile. Analogamente è diffusa in molte culture (popoli precolombiani, aborigeni australiani, ecc.) l’idea di cicli climatici che comprendessero un diluvio, di cui parla del resto anche la Bibbia e che ha tenuto per millenni in assillo i nostri progenitori. Nella prima metà del XIX secolo Joseph Fourier, occupandosi di studi sulla propagazione del calore, si avvide del fatto che le analisi erano molto più semplici se una funzione veniva rappresentata come la somma di semplici funzioni trigonometriche adeguatamente parametrizzate. Peraltro le ricerche condotte da Fourier sono molto vicine alla climatologia in quanto l’atmosfera terrestre è una macchina termica i cui moti sono legati alla necessità di riequilibrare gli scompensi imposti dall’ineguale ripartizione del calore sulla superficie del pianeta1.
1 Peraltro Fourier nel 1824 usa per primo il concetto di effetto serra che insieme alla circolazione atmosferica e oceanica sta a fondamento del clima del nostro pianeta.
Dal XIX secolo, grazie ai lavori geomorfologici condotti fra sette e ottocento e sintetizzati da Louis Agassiz si fa strada l’idea della presenza di ciclicità glaciali, il che apre la strada agli studi climatologici moderni sulle ciclicità climatiche che si concretizzano nella teoria di Milutin Milankovich sulle cause astronomiche delle ere glaciali provata poi da Cesare Emiliani (1955) grazie allo studio dei sedimenti a radiolari e foraminiferi di fondale oceanico. In sostanza le concettualizzazioni offerte da Fourier, Agassiz, Milankovich ed Emiliani hanno in sé tutto quanto occorre per comprendere l’analisi periodale e la sua utilità.
Oggi lo studio delle ciclicità viene in genere condotto su dati strumentali (temperature, precipitazioni, radiazione solare globale, ecc.) e su proxy data. Al riguardo si segnala che la presenza delle ciclicità in serie indipendenti (es. speleotemi, cerchie di accrescimento degli alberi e date di vendemmia) è un importante rafforzatore di evidenza circa il loro reale sussistere. Inoltre è di particolare importanza a fini applicativi collegare l’analisi periodale con evidenze documentali o di altra natura. Da questo punto di vista può essere ad esempio interessante collegare le ciclicità di origine astronomica a 2000 (ciclo di Bray o di Hallstatt) e a 1000 anni (ciclo di Eddy) (Scafetta et al., 2016) con il manifestarsi di periodi storici chiave per l’Olocene quali:
- grande optimum postglaciale
- evento siccitoso di 4200 anni fà
- optimum miceneo
- deterioramento dell’età del ferro
- optimum romano
- deterioramento altomedioevale
- optimum medioevale
- deterioramento della Piccola Era glaciale (PEG).
- fase di riscaldamento in atto dopo la fine della PEG.
(*) fattori soggetti a cicli caratteristici su una gamma amplissima di scale temporali (da giorni a milioni di anni).
La vasta gamma di periodicità obbliga a selezionare un particolare gruppo di periodi spettrali che hanno a che fare con cause precise, spesso non note. Nel caso esemplare presentato in questo scritto abbiamo usato serie che coprono circa 5 milioni di anni ed abbiamo indagato in particolare le ciclicità di alcune centinaia di migliaia di anni.
Analisi dei dati
A fine agosto 2019 ci siamo imbattuti in un lavoro di Kent et al., 2018, in cui viene evidenziato empiricamente un ciclo con periodo di 405 mila anni legato agli effetti di Giove e Venere sull’eccentricità dell’orbita della Terra, effetto che si ripeterebbe con notevole costanza su archi temporali di centinaia di milioni di anni (almeno 215 milioni di anni). Prima di aver visto questo lavoro non avevamo mai notato una tale periodicità, per indagare la quale abbiamo fatto ricorso alle serie storiche accessorie al lavoro di De Boer et al.(2014) “Ricostruzioni globali di livello marino, temperatura, e d18Osw su 5 milioni di anni” uscito su Nature Communications e nel quale si afferma fra l’altro che
La variabilità persistente del volume del ghiaccio antartico e del ciclo del carbonio a 400 mila anni si riveli attraverso il Plio-Pleistocene
Peraltro il sommario di De Boer et al.(2014) recita:
I sedimenti marini dall’Oligocene e dal Miocene mostrano con chiarezza i cicli climatici di 400 mila anni legati a variazioni dell’eccentricità orbitale. Questi cicli vengono osservati anche nei dati del Plio-Pleistocene del ciclo del carbonio globale; tuttavia essi sono assenti dai dati dell’età glaciale del tardo Pleistocene su 1.5 milioni di anni. Qui mostriamo una simulazione del volume globale di ghiaccio sugli ultimi 5 milioni di anni con un sistema accoppiato di quattro modelli tridimensionali dello strato di ghiaccio. La nostra simulazione mostra che i cicli lunghi dell’eccentricità, a 400 mila anni, dell’Antartide variano coerentemente con i dati del d13C durante il Pleistocene, il che suggerisce che essi abbiano guidato i cambiamenti del ciclo del carbonio a lungo termine attraverso gli ultimi 35 milioni di anni. La risposta a 400 mila anni dell’Antartide poteva forse essere soppressa dai cicli glaciali a 100 mila anni, dominanti, dei grandi spessori di ghiaccio dell’emisfero Nord
Il dataset di De Boer et al. (2014, che chiamiamo deboer2014.txt) copre un’estensione temporale di 5.3 Myr (milioni di anni) con un passo di 100 anni (è quindi composto da 53000 dati) e riguarda alcune variabili climatiche. In figura 1 viene mostrato il d18O bentonico (delta ossigeno 18, o δ18O, il rapporto tra 18O e 16O. In questo caso è “bentonico”, cioè derivato dai foraminiferi che si depositano sul fondo marino), con un punto ogni 10 (5300 dati) e che è un dato di prossimità (proxy) inversamente proporzionale alla temperatura.
Per verificare l’evoluzione dei massimi nel tempo abbiamo poi suddiviso deboer2014.txt in 8 file di 7000 dati ciascuno (l’ultimo di 4000 dati) in modo da poter calcolare gli spettri su una successione temporale che in qualche modo richiama la tecnica wavelet. Di tali sezioni adiacenti, che coprono 700 mila anni ciascuna abbiamo calcolato lo spettro MEM (i dati sono a passo costante).
Nello stesso tempo è stato calcolato il periodogramma di Lomb-Scargle (di seguito lo chiameremo spettro Lomb) dal pacchetto CRAN in R sull’intero dataset, derivando i massimi a ~400 mila anni e a 1 milione di anni, come mostrato in figura 2.
È stato poi calcolato lo spettro MEM delle due metà del dataset (26000 dati l’una) come mostrato in figura 3.
Il confronto tra gli spettri di figura 3 mostra che i massimi principali a 0.4 e 1 Myr mantengono abbastanza bene il valore del periodo mentre mostrano una variazione notevole della potenza massima nella seconda metà del dataset, quella più vicina a noi (variazioni di 730/130 o 7 volte e 230/11 o 21 volte); il picco a 024 Myr (è anche il più a sinistra in figura 2) diventa 7 volte più potente (50/7) durante i 2 milioni di anni più recenti. Gli altri massimi visibili, cambiano la loro frequenza (periodo). Le linee verdi delle figure 2 e 3 definiscono un gruppo di massimi secondari: da notare il massimo a 0.74 Kyr (0.68 Kyr nel quadro superiore di figura 3), chiaramente visibile nello spettro Lomb, che conferma che lo spettro di figura 2 è nettamente dominato dalla metà più recente del dataset in quanto questo massimo emerge nettamente dalla piccola “foresta” di massimi secondari.
Per verificare con maggiore precisione la variazione di frequenza con il tempo, abbiamo usato le 8 sezioni descritte sopra per calcolare gli spettri MEM. La sequenza temporale delle 8 sezioni è definita in tabella 2.
Sez | Inizio Kyr | Fine Kyr | Commenti |
---|---|---|---|
1 | 5300.0 | 4600.1 | 7000 valori |
2 | 4600.0 | 3900.1 | |
3 | 3900.0 | 3200.1 | potenza minima |
4 | 3200.0 | 2500.1 | |
5 | 2500.0 | 1800.1 | |
6 | 1800.0 | 1100.1 | potenza massima |
7 | 1100.0 | 400.1 | |
8 | 400.0 | 0.1 | 4000 valori |
- Spettri calcolati con 3500 valori, da linea 1500 a linea 4500.
- Intervallo temporale: 700 mila anni per file (escluso 8).
L’insieme dei risultati è mostrato in figura 4.
Analisi del massimo spettrale a ~0.41 Myr
Dalla figura 4 possiamo derivare il suggerimento che la potenza dei massimi spettrali evolva attraverso le sezioni (cioè con il tempo), e una lista più precisa dei massimi spettrali conferma questa ipotesi, come si vede in figura 5.
La variazione di potenza del massimo a ~04 Myr non ha niente a che fare con un andamento casuale ma sembra seguire una legge che sale (la linea blu è la parabola interpolante) fino alla sezione 6 per poi cadere in modo non troppo differente dalla salita corrispondente. Così possiamo supporre che alla fine della sezione 6 (1.8-1.1 Ma) sia accaduto qualcosa che ha fatto diminuire la potenza del ciclo più significativo dell’intervallo 200-700 mila anni. Non possiamo sapere cosa sia accaduto prima della sezione 1 (cioè prima di 5.3 milioni di anni fa) ma forse la figura 6 (il suo equivalente, esteso a di là di 5.3 Ma) potrebbe mostrare un andamento ciclico di periodo 5.7 Myr (semiperiodo da sez.2 a sez.6, 2.8 Myr).
L’aspetto caratteristico di figura 5 si mantiene nel caso delle 14 sottosezioni anche se i dati della sottosezione “1” sembrano spostati indietro di una sezione, rispetto ai dati “blu”. Non siamo in grado di spiegare questa differenza: notiamo solo, come appare in figura 7, e che se spostiamo in avanti di una sezione i dati “1” di figura 6, il confronto fra le due linee cambia notevolmente.
Niente di quanto è stato trovato dall’analisi della potenza del principale massimo di questa serie di De Boer sembra essere casuale. Sembra, invece, il risultato di una evoluzione (sconosciuta) di forzanti esterne o interne (o entrambe) agenti su inervalli temporali di milioni di anni.
I cicli di Milankovic
La serie δ18O benthic di De Boer et al. (2014) è molto valida per i massimi spettrali da ~0.4 Myr in poi ma pone un problema con i cicli di Milankovic da 100, 41, 26 Kyr (i cicli orbitali di eccentricità, obliquità dell’orbita, precessione) che non possono essere in alcun modo derivati dallo spettro di questa serie, come ad esempio si può vedere in figura 3 o in figura 2. Si potrebbe supporre che i cicli orbitali siano di potenza troppo debole rispetto a quello di 0.4 Myr (in realtà questi cicli sono potenti) e tentare di provocare una loro “emersione” moltiplicando per mille la potenza, ma, come si vede in figura 7, otteniamo un risultato in parte deludente: infatti si vedono massimi attorno a 100 mila anni ( ma ricordiamo che la loro potenza è moltiplicata per mille) ma non compare alcun massimo orbitale a 40 e a 26 mila anni.
I dati di d18O (in realtà tutti questi dati derivano dalla serie di Lisiecki e Raymo (2005) di cui parleremo più avanti) sono stati pubblicati anche dal consorzio PAGE800, fino a 800Ka, e sono qui presentati in figura 8 assieme allo spettro MEM.
Anche i dati di De Boer et al. (2014) usano il dataset LR04 bentonico di Lisiecki e Raymo (2005) a passo variabile oltre gli 800 Kyr, a cui è stato applicato un modello con lo scopo di ricavare una serie a passo 100 anni costante. Così abbiamo scaricato i dati completi (fino a 5.3 Myr) e abbiamo calcolato gli spettri Lomb e wavelet. Le fugure 9 e 10 seguenti mostrano che gli spettri sono gli stessi, il che ci porta ad escludere evenuali errori di procedura.
Conclusioni
De Boer et al. (2014) affermano che il segnale a 400 Kyr è presente nella serie del δ13C su 5 milioni di anni, mettendo in luce cicli di uguale periodo nella riserva del carbonio totale. In contrasto con questa situazione, l’assenza di un segnale a 400 Kyr del δ18O nell’età glaciale del Pleistocene ha dato origine al cosiddetto “problema dei 400 Kyr“.
Il fatto che noi identifichiamo nello spettro di deboer2014.txt un forte segnale a 400 Kyr e che lo stesso segnale si veda molto debole anche nei dati originali LR04 di Lisiecki e Raymo (2005) ci fa pensare che il problema suddetto sia causato in gran parte dal livello di confidenza che si è disposti ad accettare (nella figura 7 questa periodicità è poco sotto la soglia del 95%). In ogni caso, il fatto che dati con la stessa origine producano risultati tanto diversi in termini di massimi spettrali è qualcosa che non riusciamo a spiegarci. È come se i modelli usati per interpolare i dati di LR04 ottenendo una serie a passo costante avessero amplificato la potenza del ciclo di 400 Kyr.
Tutti i dati, iniziali e derivati, e i grafici, sono disponibili nel sito di supporto |
Bibliografia
- B. de Boer, Lucas J. Lourens, and Roderik S.W. van de Wal: Persistent 400,000-year variability of Antarctic ice volume and the carbon cycle is revealed throughout the Plio-Pleistocene, Nature Communications, 5 issue 2999, 2014. http://dx.doi.org/10.1038/ncomms3999
- C. Emiliani C.: Pleistocene Temperatures, The Journal of Geology, 63, 6, 538-578, 1955. http://dx.doi.org/10.1086/626295
- Lisiecki, L. E., and M. E. Raymo, A Pliocene- Pleistocene stack of 57 globally distributed benthic d18O records, Paleoceanography,20, PA1003, 2005. http://dx.doi.org/10.1029/2004PA001071
- Dennis V. Kent, Paul E. Olsen, Cornelia Rasmussen, Christopher Lepre, Roland Mundil, Randall B. Irmis, George E. Gehrels, Dominique Giesler, John W. Geissman, and William G. Parker: Empirical evidence for stability of the 405-kiloyear Jupiter-Venus eccentricity cycle over hundreds of millions of years , PNAS, , 2018. http://dx.doi.org/10.1073/pnas.1800891115
- Past Interglacials Working Group of PAGES (2016), Interglacials of the last 800,000 years, Rev. Geophys., 54, 162–219, https://doi.org/10.1002/2015RG000482
- Scafetta N., Milani F., Bianchini A., Ortolani S., 2016. On the astronomical origin of the Hallstatt oscillation found in radiocarbon and climate records throughout the Holocene, Earth-Science Reviews, Volume 162, 24-43,November 2016. https://doi.org/10.1016/j.earscirev.2016.09.004
Articolo estremamente interessante!
Sono due, secondo me, le considerazioni che emergono dalla sua lettura.
In primo luogo risulta confermata, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l’estrema complessità del sistema climatico terrestre. In questo post il focus è rappresentato dalle temperature, ma il discorso può essere esteso a tutti i parametri climatici. Si tratta di un sistema caotico, però, dal caos climatico emergono delle regolarità che solo la matematica riesce a mettere in evidenza. L’intuizione di Fourier ne esce ulteriormente valorizzata.
.
E da questa conclusione scaturisce la seconda considerazione. L’analisi statistica dei dati ha consentito di mettere in evidenza che tecniche di omogeneizzazione e trattamenti numerici dei dati, possono alterarli in modo tale da farci giungere a conclusioni opinabili. Se non ho sbagliato ad interpretare il senso del post, infatti, ho l’impressione che l’applicazione di un trattamento analitico dei dati originari di Lisiecki e Raymo (2005) da parte di De Boer e colleghi, abbia “alterato” i dati stessi, facendo emergere conclusioni potenzialmente errate o fuorvianti. Questo fatto deve farci riflettere ogni volta che mettiamo mano ai dati numerici derivati da sperimentazioni e/o misure.
Ciao, Donato.
.
p.s.: ho l’impressione che dopo la fig. 3 “…. 0.74 Kyr (0.68 Kyr …” debbano essere corretti in “…. 0.74 Myr (0.68 Myr …”.
Caro Donato,
hai ragione: i due Kyr sono in realtà Myr.Grazie per averlo notato. Non sono riuscito a rispondere subito perché con due autori il commento va ad admin e noi lo vediamo con ritardo.
Anche noi abbiamo avuto l’impressione che il processo di De Boer abbia alterato in qualche modo i dati originali di
Lisiecki e Raymo. E’ difficile da immaginare che una modellazione che all’atto pratico si configura come una interpolazione possa aver modificato tanto i dati. Evidentemente non è solo un’interpolazione …
Io non ho mai usato interpolazioni (fatte da me) ma Luigi le usa abbastanza spesso e non ha mai espresso dubbi sulla loro efficacia. Ciao. Franco