Qualche giorno fa ho pubblicato su CM un post in cui mettevo in evidenza una discrepanza tra le conclusioni ed il senso degli articoli scientifici e le note divulgative emesse dai media generalisti. La fattispecie riguardava un comunicato ANSA e le conclusioni di un articolo scientifico (Wagner et al., 2017 da me erroneamente indicato con Wagner et al., 2019). A seguito di una precisazione dell’amico F. Zavatti, mi sono reso conto che l’articolo commentato risaliva al 2017 e non al 2019 come da me indicato. A questo punto appariva chiaro che la nota dell’ANSA fosse riferita ad un articolo diverso da quello commentato. Dopo qualche ora di ricerca mi sono imbattuto in un altro articolo pubblicato nel mese di aprile del corrente anno:
Sediment residence time reveals Holocene shift from climatic to vegetation control on catchment erosion in the Balkans
a firma di A. Francke ed altri nove ricercatori (da ora Francke et al., 2019). Dei 10 autori dell’articolo, ben 8 hanno firmato anche Wagner et al., 2017, per cui possiamo essere certi che entrambi gli articoli comunicano i risultati del lavoro scientifico dello stesso gruppo di ricerca. Dopo aver letto Francke et al., 2019, ho la quasi certezza che la nota dell’ANSA è riferita a questo articolo e non a Wagner et al., 2017. L’amarezza per la deprecabile svista è, quindi, stata ampiamente mitigata dall’opportunità di analizzare un altro interessante contributo alla conoscenza del clima che ha caratterizzato l’Olocene.
Tanto Wagner et al, 2017 che Francke et al., 2019 si basano sullo studio della stessa carota di sedimenti estratta dal lago di Ocrida o Ohrid, ubicato tra Macedonia del Nord ed Albania.
L’unica differenza tra i due studi deve essere ricercata nella metodologia di datazione dei sedimenti e nel periodo geologico indagato. In Wagner et al., 2017 si studiavano gli ultimi 637.000 anni di storia, in Francke et al., 2019 si studia il periodo relativo agli ultimi 16.000 anni (praticamente l’Olocene).
Francke e colleghi hanno datato il tratto terminale della carota di sedimenti relativa agli ultimi 16.000 anni mediante una tecnica innovativa che utilizza sia il dosaggio degli isotopi dell’uranio che quello degli isotopi del carbonio. Si è ottenuta, in tal modo, una serie di dati con risoluzione di circa 500 anni. All’interno di ognuno di questi tratti di sedimenti, gli autori hanno provveduto a determinare una serie di dati di rilevanza geologica, ambientale e climatologica. Essi hanno misurato, in particolare, le concentrazioni di pollini di diverse specie vegetali, la velocità di sedimentazione, le abbondanze relative isotopiche del carbonio e dell’uranio, l’abbondanza relativa del carbonio organico e di quello inorganico e le abbondanze degli isotopi di altri elementi (calcio, potassio, ecc.).
Il dosaggio degli isotopi dell’uranio consente di determinare. tra l’altro, il cosiddetto tempo di permanenza, ovvero il tempo intercorso tra la formazione del sedimento (particelle di diametro inferiore ai 63 micron) ed il momento in cui esso è depositato definitivamente sul fondo del lago. Tale parametro consente di stabilire il tipo di erosione dei terreni costituenti il bacino idrografico del lago. Tale dosaggio è in grado di stabilire anche le età relative dei sedimenti. Per quella assoluta si è fatto riferimento ad alcuni sedimenti vulcanici ben noti da altri studi.
I pollini presenti nei sedimenti, consentono di ricostruire la copertura vegetale del bacino idrografico. Francke et al., 2019 ha misurato il rapporto relativo tra pollini di specie arboree e di specie erbacee, stabilendo, quindi, un modo per classificare il tipo di copertura vegetale del bacino idrografico del lago Ocrida.
Combinando tutte queste informazioni Francke et al., 2019, ha potuto stabilire che, nell’ultima parte del periodo glaciale che ha preceduto l’attuale interglaciale e nel primo Olocene, il bacino idrografico del lago Ocrida era caratterizzato da una copertura forestale piuttosto ridotta, con prevalenza di vegetazione erbacea. In questo periodo geologico, dei periodi umidi determinavano erosione piuttosto profonda che interessava terreni a grana fine, mentre periodi secchi comportavano erosione superficiale di terreni a grana più grossa. Ciò determina tempi di permanenza diversi: brevi per l’erosione profonda e, quindi periodi umidi, lunghi per erosione superficiale e, quindi periodi secchi. In tale periodo le variazioni dei tempi di permanenza consentono, pertanto, di distinguere periodi secchi da periodi umidi.
Intorno a circa 8.000 anni fa il tempo di permanenza ebbe un brusco aumento e, contemporaneamente, il rapporto tra le abbondanze dei pollini di specie arboree e di specie erbacee divenne tale da consentire di ipotizzare una copertura forestale molto estesa del bacino idrografico. I tempi di permanenza crebbero notevolmente a testimoniare un tipo di erosione piuttosto superficiale, in quanto quella profonda era ostacolata dalla presenza degli alberi.
Quella descritta è, ovviamente, la media climatica dei periodi considerati. Possono individuarsi, però, sottoperiodi in cui le cose andavano diversamente da quello che ci indica la media del periodo come dimostra la fig. 4 dell’articolo. A tal proposito possiamo individuare delle grosse oscillazioni climatiche che caratterizzano la prima parte dell’Olocene. Tra queste oscillazioni, appare molto evidente lo Younger Dryas che, come è noto, fu caratterizzato da un ritorno a condizioni quasi glaciali e che durò poco più di un migliaio di anni e di cui ancora oggi non conosciamo con certezza le cause.
A partire da circa 4000 anni fa, le cose hanno subito un’ulteriore variazione. La vegetazione e le variazioni climatiche non sono state le principali cause che determinano le variazioni del tasso di erosione e del tipo di sedimentazione. Comincia a prendere il sopravvento l’impatto antropico e, in particolare, l’utilizzo del suolo. Le lavorazioni agricole modificano, infatti, la struttura dei suoli, la copertura vegetale e, quindi, il tasso di erosione del suolo stesso e la velocità di sedimentazione.
Da questo breve commento dell’articolo di Francke e colleghi, emerge in modo assolutamente chiaro come il clima dell’Olocene sia cambiato anche in modo drastico ed improvviso, indipendentemente dall’azione dell’uomo. Per quel che riguarda le cause, credo che possa esserci d’aiuto lo studio che il gruppo di Wagner ha pubblicato nel 2017 (Wagner et al., 2017) a cui rimando.
Con riferimento ad alcuni commenti al post su Wagner et al., 2017, vorrei svolgere qualche ulteriore considerazione. Nel post ho accennato brevemente all’evidenza degli eventi di Dansgaard–Oeschger ed Heinrich nella serie stratigrafica di Ocrida.
In passato ebbi modo di occuparmi di tali eventi e della loro portata (emisferica o globale), in un commento ad un articolo scientifico (Buizert et al., 2015). Buizert e colleghi esaminando i dati desunti da due carote di ghiaccio (una groenlandese e l’altra antartica), hanno potuto notare che durante le fasi calde dei cicli di Dansgaard-Oeschger in Groenlandia, si potevano registrare dei periodi freddi in Antartide e viceversa.
Tale circostanza suggerisce una redistribuzione inter-emisferica di calore, attraverso il meccanismo dell’altalena bipolare. Si tratta di un fenomeno che comporta un ribaltamento della circolazione oceanica nell’Atlantico Meridionale (AMOC) che, secondo alcuni studi (Tzedakis et al. 2012, per esempio), non è estranea alle glaciazioni.
Questa tesi è ripresa anche da Wagner et al., 2017 che, pertanto, attribuiscono a tali eventi carattere globale grazie alla mediazione dell’AMOC.
E per finire solo una brevissima puntualizzazione circa la divergenza tra comunicazione scientifica effettuata sulle riviste scientifiche e divulgazione scientifica operata dai media. Ammesso che la nota dell’ANSA cui facevo riferimento nel post su Wagner et al., 2017, si riferisse a questo articolo e di ciò ho quasi la certezza sulla base dello specifico riferimento ai pollini, devo notare che le perplessità emerse a proposito dell’articolo di Wagner e colleghi, vengono ulteriormente rafforzate dalla lettura di Francke e colleghi.
I risultati dello studio illustrati in Francke et al., 2019, dimostrano che l’erosione del suolo dipende dalla vegetazione, dal tipo di clima e dall’uso del suolo da parte dell’uomo. Durante l’Olocene, inoltre, si sono verificate condizioni climatiche caratterizzate da periodi secchi e periodi umidi, cioè il clima è stato molto variabile. Poco o nulla ci dice l’articolo circa le temperature ed il legame tra temperature e precipitazioni.
In un solo punto è possibile trovare un riferimento al cambiamento climatico in atto. Gli autori scrivono, infatti, che
“Comprendere come possa cambiare lo stato del suolo su scale temporali geologiche è di fondamentale importanza per prevedere lo sviluppo del paesaggio futuro alla luce del rapido riscaldamento globale e dell’intensificazione dell’impatto antropogenico”
Alla luce di quanto è scritto nell’articolo, mi sembra la solita genuflessione alla linea di pensiero principale e nulla di più. In tale ottica la nota dell’ANSA dimostra che il redattore è stato, ancora una volta, più realista del re.
Detto in altre parole, secondo il divulgatore, dobbiamo aspettarci che il previsto riscaldamento globale futuro, determinerà una variazione delle precipitazioni e l’erosione del suolo potrebbe risentirne. Soprattutto in presenza di un uso sconsiderato dello stesso. Perfetto, ma dove è scritto nell’articolo che il clima futuro sarà certamente più caldo di quello di oggi e che a ciò sarà associata una variazione sostanziale delle precipitazioni? Anche perché se è vero che “riusciamo” a modellare le temperature future, non mi sembra che lo stesso discorso valga per le precipitazioni che costituiscono la bestia nera del modellisti.
Devo concludere, pertanto, che ancora una volta dobbiamo registrare una discordanza sostanziale tra la comunicazione scientifica propriamente detta e la divulgazione della stessa da parte dei mezzi di comunicazione di massa. Con tutto ciò che ne consegue.
Molto interessante – grazie !
Caro Donato,
Lieto di aver contribuito ad un maggiore approfondimento dei temi sul lago Orchid e sull’evoluzione climatica dell’Europa centro-orientale durante l’Olocene..
Purtroppo non ho trovato il full text di quest’ultimo articolo per cui non saprei come commentare , anche se mi sembra di capire che le perplessità relative al lavoro del 2017 si sono mantenute anche qui. Ciao. Franco