Una vasta bibliografia e molteplici dati ufficiali attestano il declino globale degli incendi di boschi e praterie tanto in termini di numero di eventi che di superficie percorsa dal fuoco. Si tratta di un fenomeno in controtendenza rispetto al global warming, che vede l’Africa come entità territoriale più virtuosa e che è colpevolmente ignorato dai media, troppo impegnati nel propagandare l’olocausto climatico prossimo venturo per documentare quanto di positivo sta accadendo.
Gli incendi di boschi e praterie sono fenomeni legati ad una serie di variabili atmosferiche quali le temperature, le precipitazioni e il vento (velocità, direzione, grado di turbolenza) che influenzano sia l’entità del combustibile (lettiere forestale, materiale vegetale secco) sia la possibilità di innesco e successiva propagazione del fuoco. Ovviamente il ruolo dell’uomo nell’innesco e nella propagazione degli incendi è rilevante così come lo è quello dei fulmini. La crucialità delle precipitazioni in tale contesto si coglie in Italia per il fatto che il massimo rischio di incendi è nel semestre estivo (caldo e siccitoso) nell’areale a clima mediterraneo (Csa di Koeppen) mentre nell’areale alpino il massimo rischio è nel semestre invernale, in coincidenza con il minimo pluviometrico annuo e la massima frequenza dei venti di foehn, particolarmente insidiosi.
Global warming e incendi
I media enfatizzano spesso il “perverso” legame esistente fra anthropogenic global warming e frequenza degli incendi di boschi e praterie. Ad esempio l’altra mattina (2 agosto 2019) due giornali radio delle ore 6 (Radio 24 e GR1) hanno diffuso la notizia di incendi boschivi incontrollati che hanno colpito 2 milioni di ettari lasciando la Siberia in una morsa di fiamme e fumo. La giornalista del GR24 ha chiosato la notizia affermando che la principale causa degli incendi siberiani risiede nell’anthropogenic global warming.
Al riguardo mi preme anzitutto richiamare l’abstract dell’articolo scientifico di Doerr S.H. e Santin C. apparso nelle Philosophical transactions part B della Royal society nel 2016 e che viene presentato come contributo al meeting “The interaction of fire and mankind’ (di qui in avanti Doerr e Santin, 2016):
“Gli incendi sono un importante processo che interessa la superficie e l’atmosfera della Terra da oltre 350 milioni di anni e le società umane hanno convissuto con il fuoco fin dalla loro comparsa. Anche se molti considerano gli incendi come un problema in accelerazione … si deve dire che, importanti eccezioni a parte, le prove quantitative disponibili non supportano tale percezione. Infatti l’area globale soggetta a incendi appare complessivamente diminuita negli ultimi decenni, e vi sono prove crescenti che vi sono meno incendi nel panorama globale oggi rispetto a secoli fa mentre per quanto riguarda la gravità degli incendi i dati disponibili sono assai limitati. Per gli Stati Uniti occidentali i dati indicano complessivamente poche variazioni e anche l’area soggetta a incendi più gravi è complessivamente diminuita rispetto al periodo antecedente la colonizzazione europea…”.
I trend globali
Per quanto attiene ai trend globali, Andela et al. (2017) analizzando dati satellitari evidenziano un calo del 24,3% nella superficie totale bruciata per il periodo 1998-2015 e un calo del 13% nel numero di incendi per il periodo 2003-2015 con un trend negativo più deciso nelle aree a savana. Più nello specifico per quanto riguarda l’area bruciata gli autori evidenziano trend negativi per l’Africa (significativo al 99%) mentre sul resto del globo dominano trend non significativi e dunque possiamo parlare di stazionarietà. Per quanto riguarda invece il numero di incendi abbiamo trend negativi significativi per il Sud America (significativo al 90%), l’Eurasia (significativo al 95%) e l’Africa (significativo al 99%) mentre sul resto del globo dominano trend non significativi (stazionarietà).
I trend per macroaree
Molto interessanti sono anzitutto i dati ufficiali degli incendi boschivi per il periodo dal 1980-2018 riferiti al Canada (Nazione con una superficie forestale enorme e molto attenta al tema degli incendi boschivi) e che ho tratto dal Canadian National Forest database (https://cwfis.cfs.nrcan.gc.ca/ha/nfdb; http://nfdp.ccfm.org/en/data/fires.php). Tali dati mostrano una stazionarietà in termini di area interessata al fuoco (pur con grandissima variabilità interannuale e massimi negli anni 1981, 1989, 1994 e 1995) e un significativo calo in termini di numero di incendi con trend lineare negativo significativo al 90%* (figura 1).
Si noti che in Canada ogni anno si verificano oltre 8000 incendi e bruciano in media oltre 2,1 milioni di ettari di bosco. Impressionante in tale peculiare contesto è il ruolo dei fulmini, responsabili del 50% degli incendi e dell’85% dell’area annualmente bruciata.
Per l’areale euro-mediterraneo sono oggi essenziali i dati dell’European Forest Fire Information System (EFFIS) (San-Miguel-Ayanz et al., 2016) perché raggruppano statistiche di ben 40 Paesi euro-mediterranei e cioè 25 stati dell’Unione Europea (Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lituania, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia , Slovenia, Spagna, Svezia, Olanda Gran Bretagna), 10 Paesi Europei non aderenti all’UE (Albania, Bosnia & Erzegovina, Serbia e Macedonia, Kosovo, Montenegro, Norvegia, Russia, Serbia, Svizzera e Turchia), e infine 5 Paesi MENA (Algeria, Israele, Libano, Marocco e Tunisia). Le serie storiche di sintesi nazionali per il periodo 1990-2016 su numero di incendi e superficie bruciata (tabelle dalla 67 alla 70 da pagina 116 in avanti – San-Miguel-Ayanz et al., 2016) riportano tuttavia i dati di 33 dei 40 Paesi copra citati. Di questi ho considerato solo quelli che nella serie del numero di incendi hanno almeno il 65% dei valori per cui i Paesi si sono ridotti a 19, per ognuno dei quali ho sostituito gli eventuali dati mancanti (in tutto solo il 6% del totale) con la media dei dati presenti. Ho così ottenuto i diagrammi in figura 2 dalla cui analisi statistica si evidenziano trend negativi significativi al 90% per il numero di incendi e al 95% per le aree bruciate*.
Sempre EFFIS (San-Miguel-Ayanz et al., 2016) riporta per il periodo 1980-2016:
- i dati relativi a 5 paesi dell’Europa Mediterranea (Francia, Spagna, Portogallo, Italia e Grecia), dalla cui analisi visiva si evince un trend negativo nel numero di incendi in atto grossomodo dal 1995 e un trend negativo nella superficie bruciata su tutta la serie (figura 3).
- i dati relativi all’Italia che evidenziano un calo sia della superficie percorsa dal fuoco sia del numero di incendi (figura 4).
Conclusioni
Dai dati mostrati si coglie che gli incendi boschivi sia a livello globale sia per alcune importanti macroaree (area Euro-mediteranea, area canadese, Africa, ecc.) sono in significativo calo sia in termini di numero che di area percorsa dal fuoco e dunque in controtendenza rispetto all’aumento delle temperature globali. Sul trend degli incendi agiscono le politiche gestionali di prevenzione e spegnimento che si sono affinate non poco negli ultimi decenni e che hanno portato ad esempio all’attivazione di iniziative di cooperazione internazionale di cui EFFIS è un esempio. Al riguardo spiace costatare l’incapacità dei media di prendere atto di evidenze circa le quali la documentazione quantitativa resa disponibile da fonti ufficiali e da lavori scientifici originali è particolarmente vasta e sufficientemente univoca. Peraltro colpisce in modo positivo che molti ricercatori si stiano negli ultimi anni spendendo per affermare una verità basata su dati, come attestano ad esempio i lavori di Andela et al (2017), Doer e Santin (2016) e lo stesso report EFFIS (San-Miguel-Ayanz et al., 2016).
(*) Trend analizzati con il SW Makesens del Servizio meteorologico finlandese che implementa il test di Mann-Kendall e il test di Sen per la significatività delle pendenze delle rette (Salmi et al., 2002).
Bibliografia
- Andela N., D. C. Morton, L. Giglio, Y. Chen, G. R. van der Werf, P. S. Kasibhatla, R. S. DeFries, G. J. Collatz, S. Hantson, Kloster, D. Bachelet, M. Forrest, G. Lasslop, F. Li, S. Mangeon, J. R. Melton, C. Yue and J. T. Randerson, 2017. A human-driven decline in global burned area (6345), 1356-1362. 356 Science, DOI: 10.1126/science.aal4108
- Doerr S.H., Santin C., 2016. Global trends in wildfire and its impacts: perceptions versus realities in a changing world. Phil. Trans. R. Soc. B 371: 20150345. http://dx.doi.org/10.1098/rstb.2015.0345
- Salmi T. et al., 2002. detecting trends of annual values of atmospheric pollutants by the Mann-Kendall test and sen’s slope estimates the excel template application makesens, Publications on air quality No. 31, Meteorologiska Institutet Finnish Meteorological Institute, Helsinki
- San-Miguel-Ayanz J., Durrant T., Boca R., Libertà G., Branco A., de Rigo D., Ferrari D., Maianti P., Artés Vivancos T., Schulte E., Loffler P. (2017), Forest Fires in Europe, Middle East and North Africa 2016. Joint Research Centre, Publications Office, Lussemburgo http://effis.jrc.ec.europa.eu/media/cms_page_media/40/Forest_fires_in_Europe_Middle_east_and_North_Africa_2016_final_pdf_JZU7HeL.pdf)
[…] analizzavano i trend globali degli incendi boschivi e che ho citato in un mio passato intervento su Climate Monitor (Mariani, […]
Ci riprovano i mass media a sparare fake news, stavolta sulla foresta amazzonica…i piromani oltre ai classici agricoltori e alle società produttrici di legname, penso che ci siano anche fanatici ambientalisti che appiccano incendi contro la politica di Bolsonaro e non mi stupirei che siano anche pagati per farlo..di disperati con bisogno di soldi ce ne sono a bizzeffe…
Il record chiaramente si riferisce alla serie di dati degli incendi su tutto il Brasile e non solo sui nove stati della macro regione amazzonica.
L’INPE ha rilevato un numero alto e non rassicurante di incendi sull’area coperta dalla foresta, 39033 incendi e quindi non da record. A questo punto si andrà a parare sulle emissioni di anidride carbonica che sono elevate ma anche queste in Amazzonia non erano così alte dal 2010…una serie storica che lascia il tempo che trova per qualsivoglia genere di record.
Invece il tasso di deforestazione calcolato dall’INPE ha una serie che inizia dal 2014…tra l’altro attuato dai piromani in Amazzonia…
Questi sono i risultati che si ottengono con l’informazione catastrofista ambientalista mediatica nella coscienza dell’essere umano e nel’educazione ambientalista…proporrei di dare fuoco all’editoria internazionale forse così diminuiranno quelli in Amazzonia, che dite?
“No other #typhoon season on record (since 1950) had 0 typhoons between February 28 – August 4.”
… nel Pacifico?
Ve lo immaginate se in media ce ne fossero stati N e quest’anno ne avessimo gia’ avuti N+1???
“unprecedented”!…
Ah beh, ma loro si staranno fregando le mani perché zero è evidentemente il minimo assoluto e dunque, “in futuro non potranno che aumentare”, classica conclusione di praticamente tutti i paperi climatologici. 😉
@daniele chierico
Posso dire la mia risposta alla tua domanda?
L’articolo, molto interessante, da te linkato dice:
“The apparent limit to MCA burning has been surpassed by the regional fire regime of recent decades, which is characterized by exceptionally high fire frequency and biomass burning.”
Le decadi recenti, per quel che riguarda gli USA… paese del quale si parla spesso e volentieri su questo argomento degli incendi, hanno il picco degli incendi, il giorno con il maggior numero, invariabilmente il 4 luglio.
Ora, non occorre essere climatologi professionisti per capire che questa non e’ una coincidenza, no?… e che quindi l’aumento della frequenza degli incendi ha molto a che fare con la pressione demografica.
Le aree della California recentemente distrutte da vigorosi incendi erano quasi disabitate 50 anni fa.
Salve a tutti:
piccolo offtopic… che dire dell’assordante silenzio su questo???
“No other #typhoon season on record (since 1950) had 0 typhoons between February 28 – August 4.”
… nel Pacifico?
Ve lo immaginate se in media ce ne fossero stati N e quest’anno ne avessimo gia’ avuti N+1???
“unprecedented”!…
Caro Luigi, grazie per il bellissimo pezzo. Quello che emerge ancora una volta è il ruolo virtuoso dell’azione umana in contrapposizione alle sfide poste dall’habitat in cui vive.
È un problema di prospettive e di narrativa, come al solito: nei modelli si tiene conto dell’azione dell’uomo solo in termini negativi (vedi, emissioni di CO2), ma mai positivi. Eppure gli effetti positivi dell’azione umana sull’efficienza nelle pratiche agricole come nella protezione da catastrofi (anche qui i dati parlano chiaro) sono tangibilissimi.
Nel nostro piccolo (ma non troppo) si potrebbero citare i lavori importanti nella zona di Genova per mettere in sicurezza fiumi e torrenti, ultima l’approvazione del progetto sullo scolmatore del Bisagno.
Piuttosto che spendere trilioni per organizzare kermesse per “cambiare il clima”, se si spendessero quei soldi in opere civili per salvare vite umane o per incrementare le produzioni agricole si farebbe veramente il bene dell’essere umano. Cosa che evidentemente non è in cima alla lista dei Migliori.
I giornalisti non guardano i dati, fanno notizie… È così.
Grazie per lo sforzo.
Vorrei però osservare che in molti casi i trend sono difficilmente interpretabile su larga scala. In alcuni casi sembrano molto evidenti andamenti ciclici dei quali si vede solo una parte. Ma se le politiche di gestione delle aree boschive ha avuto un significativo impatto, allora abbiamo a che fare con un vero impatto antropico che va ad interferire con dinamiche “naturali”!
Luigi Mariani vorrei sapere cosa ne pensa di questa ricerca, che afferma che negli ultimi 10.000 anni ci sono stati due picchi negli incendi delle foreste boreali (periodo medievale e questo degli ultimi anni)
https://www.pnas.org/content/110/32/13055
Risposta a Daniele Chierico
Il lavoro di Kelly et al 2013 giunge a conclusioni che sono del tutto coerenti con quelle da me proposte e con quelle di lungo periodo (ultimi 1000 anni) ricavate con un modello dalla NASA (https://www.nasa.gov/topics/earth/features/fiery-past.html).
In sostanza in coincidenza con il periodo caldo medioevale gli incendi sarebbero stati molto frequenti sia per il clima cado-arido tipico di quella fase sia per l’aumento della popolazione globale. Nel periodo attuale l’imponente aumento della popolazione ha dato una nuova recrudescenza degli incendi che tuttavia come confermano Kelly et al (2013) sono ora in calo dopo un picco registrato intorno agli anni ’90 del XX secolo.
Luigi Mariani
Caro Luigi,
quando ci si confronta con i dati, si hanno sempre molte sorprese. Anche in questo caso il sentire comune viene smentito dai numeri che, in genere, non mentono mai. A meno che non li si “torturi” per fargli dimostrare ciò che non è. 🙂
Ciao, Donato.
questo le potrà interessare signor mariani
Chissà perchè ce l’hanno tanto con sta CO2 quando poi, senza CO2, le piante non potrebbero vivere… mah!
Ma, questi signori, sono andati a scuola?