Testuali le parole di Josè M. Barroso: se i politici e i negoziatori si arrendono adesso, se già adesso si parla di piano B (noi ne abbiamo parlato qui, qui e qui), allora probabilmente potranno passare al piano F, come Fallimento.
I think it is important not to give up before, because if we start (…) now to speak about Plan B in Copenhagen we’ll probably end in Plan F for failure1
Le aspettative per Copenhagen erano (e rimangono) altissime, d’altronde era dalla conferenza di Bali che si attendeva questo importantissimo momento negoziale che, a tutti gli effetti, costituisce il post-Kyoto o Kyoto II che dir si voglia. Fondamentale perchè, dalle tante parole e promesse (un po’ di circostanza) espresse a Kyoto, la politica sente la necessità di passare ad impegni più concreti. L’UE sottolinea come non sia ammissibile un risultato che porti a scelte individuali di riduzione delle emissioni e che, invece, sia necessario perseguire con tutte le forze un risultato che vincoli legalmente e politicamente ogni singolo stato.
Va anche detto, a onor di cronaca, che sempre più analisti ritengono improbabile qualsiasi forma di accordo a Copenhagen. Yvo de Boer, responsabile capo dell’ONU per il clima ha spostato il suo orizzonte temporale entro la fine del 2010 per il raggiungimento di un accordo:
I don’t think we can get a legally binding agreement by Copenhagen. I think that we can get that within a year after Copenhagen2
Il motivo è presto detto: la distanza tra le posizioni occidentali e quelle dei paesi in via di sviluppo è davvero eccessiva e, al momento, sembra incolmabile. Alcuni analisti, nel dubbio, cominciano a prepararsi per Bonn 2010.
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